Consumi nazionali in aumento del 10%
In Italia sono il primo piatto per eccellenza in onore le feste: scopriamo i formati più celebri tra storia e differenze
Casunziei, tortelli, ravioli… culurgiones, cjarsons, agnolotti: tante sono le paste farcite tipiche delle nostre belle regioni che si ama preparare per celebrare il Natale anche attraverso una delle più storiche tradizioni gastronomiche. Sapori che riportano al calore di casa, ai profumi che si espandono, alla serenità che si prova nell’osservare e nell’imparare dalla mamma o dalla nonna come confezionare con tanta maestria manuale questi diversi, piccoli scrigni racchiusi in un impasto da trattare con cura, stendere allo spessore giusto, e ritagliare sprecandone sempre il meno possibile.
Preparazioni ottime da servire in brodo nel giorno di Santo Stefano, ma anche con burro e parmigiano, ragù bianchi o al pomodoro, nonché salse tipiche come quella di noci. Forme e ripieni differenti hanno preso vita in Italia a partire dall’epoca medievale: già nella sua opera rinascimentale, Bartolomeo Scappi, “cuoco segreto dei papi”, include tavole illustrate che dimostrano l’esistenza già ai suoi tempi di numerosi utensili da cucina che tornavano utili nelle lavorazioni della pasta all’uovo. Non solo matterelli, ma anche pale in legno per sollevare delicatamente la pasta, stampi e mollette speciali per imprimervi sopra particolari disegni, e c’era già persino lo “sperone da pasta”, che altro non è se non l’indispensabile rotella tagliapasta rigata per ricavare la pasta ripiena!
La tradizione della pasta all’uovo da farcire per fare festa in tavola è molto radicata soprattutto nelle regioni del centro-nord: la storica produzione di grandi quantità di granaglie, accanto ad una buona irrigazione dei campi, rendeva qui più frequente l’allevamento avicolo anche al fine di ottenere le uova, da utilizzare al meglio negli impasti anche grazie alle temperature più fredde rispetto ai territori del sud, che consentivano anche una migliore asciugatura delle paste ripiene senza subire alterazioni. Ma affrontiamo un po' di storia delle tipologie più famose sia in Italia che nel mondo!
Tortellini
Rappresentano l’orgoglio natalizio (e non solo) della città di Bologna, immancabili sulla tavola delle feste accanto a tagliatelle e lasagne al ragù. Preziosa pasta farcita in miniatura, ciascun tortellino viene modellato intorno alla punta di un dito, richiedendo pazienza e abilità: ma non è mai tardi per imparare! Esistono diverse leggende riguardanti le origini di questo formato di pasta ripiena, ma la più nota riguarda certamente la sua somiglianza alla forma di un ombelico femminile.
C’è chi racconta che fosse quello di Lucrezia Borgia, rimirato dal buco della serratura dall’oste di un ristorante di Castelfranco Emilia e subito dopo frutto della sua nuova ispirazione in cucina, e chi invece resta più legato alla mitologia greca, sostenendo che in realtà l’ombelico sia quello di Venere. Questa parte del corpo si presta al meglio a rappresentare anche un altro aspetto di grande rilievo nella cultura di ogni italiano, ovvero l’importanza del legame fra madri e figli. Il ripieno più tradizionale dei tortellini è a base di carne suina, prosciutto, mortadella, parmigiano, uova e un immancabile tocco di noce moscata: dopo averlo preparato, occorre ricavare dei piccoli quadrati dalla sfoglia di pasta all’uovo, posizionare una piccola dose di ripieno e piegare a metà il quadrato a formare un triangolo, poi arrotolandolo su un dito chiudendo le estremità ad anello e ripiegando la punta libera del triangolo verso l’esterno. Perfetti da servire in brodo (un tempo quello prediletto era di cappone), i tortellini non disdegnano di essere serviti anche in condimenti semplici al burro e salvia, e altre tradizioni della regione li vedono perfetti anche da inserire nei timballi in crosta.
Cappelletti
Anch’essi d’origine emiliano-romagnola, i cappelletti sono strettamente imparentati con i tortellini: basta volgere lo sguardo alle modalità per confezionarli, pressoché identiche, ma la differenza sta nell’assenza della classica punta all’insù. I cappelletti sono infatti facili da ottenere anche da dischetti rotondi di sfoglia all’uovo, ripiegati e fermati alle estremità sempre girandoli intorno a un dito. In questo modo, la loro forma ricorda più il berretto degli alpini, o ancora il copricapo dei cardinali (proprio dall’aspetto di un cappello deriva il loro nome). Ma oltre alle lievi differenze nel confezionamento, i cappelletti sono diversi anche nel ripieno.
Se per alcuni romagnoli comprende un mix di carne bovina, suina e avicola (in alcune ricette figura anche l’impiego del piccione), altri ammettono che questo formato sia farcito esclusivamente con formaggio. A Modena è infatti molto frequente trovarli farciti con semplice ricotta lavorata con Parmigiano Reggiano grattugiato e profumata con aromi come pepe, noce moscata o buccia di limone. Ma non tutti sanno che storicamente ad occuparsi delle sfoglie di pasta e della loro cura in questi territori erano le rezdore. Mogli dei capofamiglia delle campagne emiliane (i cosiddetti “azdour”), dirigevano la vita familiare e la casa occupandosene a tutto tondo con grande senso di responsabilità e dovere. Accudivano i figli e al contempo si occupavano dell’orto e dell’ovile, a tempo debito anche di mietiture e vendemmie; rassettavano, tessevano, e non in ultimo cucinavano tutte le delizie di un tempo, contribuendo a farle sopravvivere fino ai giorni nostri, dalle creazioni di pasta fresca fino a polenta, zuppe di legumi e crescentine.
Agnolotti
Questa specialità piemontese (sono detti agnolòt o gnolòt nel dialetto locale) deve probabilmente l’origine del suo nome ad un cuoco monferrino chiamato Angiolino (soprannominato Angelòt) che ne mise a punto la prima ricetta. Gli agnolotti sono poi diventati eredità della cucina popolare tradizionale: il ripieno veniva infatti ottenuto soprattutto dagli avanzi, in particolare quelli di carni arrosto, finemente triturate e unite ad ancora altre rimanenze di verdure e formaggi per dar vita ad un sapore ancora oggi unico da gustare nelle trattorie locali. Di agnolotti esiste tuttavia anche una versione pavese, ma nella bassa Lombardia il protagonista della farcitura è uno stufato di carne. Tornando in Piemonte, tipici del paese di Calliano (AT), sono invece agnolotti di carne d’asino; mentre nel Canavese e fino alla Valle d’Aosta gli agnolotti diventano farciti di fontina.
Ci sono poi gli agnolotti del plin, termine piemontese che sta a significare “pizzicotto”, dal momento che la pasta viene forgiata come un raviolo rettangolare e poi ripiegata e pizzicata per conferire la forma finale. Tipici della zona di Langhe e Monferrato, oggi sono diffusi in tutta la regione, e sono annoverati nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali italiani. Gli agnolotti ben si adattano ad accogliere diversi condimenti: tuttavia, quelli più celebri sono il sugo di carne (una volta era quello ricavato dalla cottura dell’arrosto del ripieno, oggi invece si tratta più spesso un fondo bruno di carne preparato a parte con le giuste attenzioni), il ragù di carne alla piemontese (che contiene tipicamente una parte di salsiccia), il brodo (anch’esso di carne) oppure burro, salvia e formaggio grattugiato.
Pansotti
“Tutto l’anno con gran stento / se se mangia pe no moî,/ quande a Zena ven Natale/ ciaschedûn mangia pe duî…”: se per tutto l’anno si mangia quel poco indispensabile a non perire, quando a Genova (Zena nel dialetto locale) arriva il Natale, ciascuno mangia per due. Così recita un’antica filastrocca ligure, che racconta l’assennata essenza della gente genovese che svanisce in occasione dei pasti dei giorni di festa. Un tempo era usanza comune, presso le famiglie genovesi, digiunare la sera della Vigilia, astenendosi rigorosamente dal cibo anche a colazione del giorno di Natale, concedendosi non più di una tazza di brodo. E a tavola ci si sedeva soltanto verso le 5 del pomeriggio, per iniziare la festa fino a notte inoltrata. Ed ecco arrivava fumante in tavola il primo piatto, che poteva e può ancora oggi essere rappresentato dai lunghi e morbidi natalini (o maccheroni di Natale) cotti tradizionalmente nel brodo di cappone, spesso serviti anche con piccole polpettine (che oltre a rendere ancor più saporito il piatto, stavano a simboleggiare nella loro forma e dimensione le monete, un classico emblema dell’augurio di prosperità).
Ma non solo: perché la festa sulla tavola ligure è garantita anche dalla presenza dei pansotti, panciuti fagottini confezionati sempre a partire da un quadrato che si trasforma in triangolo, ma dalla chiusura più rustica dovuta anche alla maggiore grandezza. I pansotti si presentano particolarmente rigonfi del ripieno a base di prescinseua (formaggio fresco locale) e preboggion (ovvero un misto di erbe selvatiche raccolte in collina). Per rendere la ricetta replicabile sia in tutte le case liguri che in tutta Italia, vengono usati ricotta e borragine, ma anche biete.
Marubini
In Lombardia c’è Crema e c’è Cremona: due comuni che hanno tanto da raccontare in fatto di tradizioni legate alla pasta fresca ripiena! Nel primo nascono i turtèi cremasch, originalissimo piatto immancabile sulla tavola di tutte le feste del luogo (non solo in Natale) dalla fine dell’Ottocento, che pare essere nato ai tempi della dominazione veneziana del territorio, dal momento che il ripieno prevede ingredienti che un tempo potevano provenire solo da scambi commerciali con l’Oriente attraverso i grandi porti, come quello della Serenissima. Costituiti da un impasto ottenuto con sola farina e acqua, accolgono infatti una farcitura che annovera amaretti e biscotti simili ai mostaccioli tritati, marsala, buccia di cedro, noce moscata, uva sultanina, formaggio grattugiato e uova.
Particolare non è solo il gusto, ma anche la loro forma: sono infatti confezionati pizzicandoli lungo i bordi a formare cinque “creste”. Cremona regala invece l’assaggio dei marubini: dal bordo goffrato o liscio, ripiegati come un tortellino ma rustici come un cappellaccio, di forma quadrata o rotonda, sono pronti a sorprendere con il loro ripieno tradizionale a basa di brasato, pistöm (un impasto di salame tipico locale), formaggio grana grattugiato e profumo di noce moscata. Ancora una curiosità? Nella tradizione i marubini vengono serviti “ai tre brodi”, ovvero con brodo di manzo, di pollo e di quello che localmente viene chiamato “salame da pentola”, opportunamente sgrassati e filtrati da ogni impurità. Oggi per praticità si ottiene un brodo unico, ma per un risultato da veri gourmet, la cottura separata delle tre tipologie e la miscelazione al momento del servizio daranno luogo a tutto un altro sapore.
Photo via Pexels
Scritto da Sara Albano
Laureata in Scienze Gastronomiche , raggiunta la maggiore età sceglie di seguire il cuore trasferendosi a Parma (dopo aver frequentato il liceo linguistico internazionale), conseguendo in seguito alla laurea magistrale un master in Marketing e Management per l’Enogastronomia a Roma e frequentando infine il percorso per pasticceri professionisti presso la Boscolo Etoile Academy a Tuscania. Dopo questa esperienza ha subito inizio il suo lavoro all’interno della variegata realtà di Campoli Azioni Gastronomiche Srl, , dove riesce ad esprimere la propria passione per il mondo dell'enogastronomia e della cultura alimentare in diversi modi, occupandosi di project management in ambito di promozione, eventi e consulenza per la ristorazione a 360°, oltre ad essere referente della comunicazione on e offline di Fabio Campoli e parte del team editoriale della scuola di cucina online Club Academy e della rivista mensile Facile Con Gusto.

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