Broccoli e salsiccia: un abbinamento classico rivive in un primo piatto piccante, ideale per scaldare la tavola invernale
E’ il formaggio re della Valle d’Aosta, dal gusto caratteristico che non teme imitazioni: scopriamo come è fatta e come gustarla al meglio
Tipico formaggio da tavola e da cucina della Valle d’Aosta, la Fontina non può non richiamare, con le sue caratteristiche organolettiche, le vallate di montagna di questa splendida regione, vallate ricche di prati e pascoli naturali caratterizzati da una flora spontanea colma di essenze vegetali altrove poco diffuse, tali da invogliare il bestiame al pascolo a consumarne tanta, trasmettendo prima al latte e pi al formaggio aromi e sapori ineguagliabili.
Si tratta di un formaggio veramente puro dato che sui prati e sui pascoli non vengono mai effettuati trattamenti antiparassitari e, tanto meno, sparsi concimi minerali: l’unico fertilizzante che vi giunge è il letame dei bovini. La Fontina dal 1996 è un formaggio DOP, cioè a denominazione d’origine protetta, elemento che valorizza il prodotto in quanto realizzabile solo nel territorio della Valle d’Aosta e solo seguendo alla lettera il disciplinare di produzione approvato dalla UE e sotto il controllo del Consorzio di Tutela (più precisamente si tratta del Consorzio Produttori Latte e Fontina, costituito nel 1957), il quale imprime il proprio marchio su ogni forma di Fontina, in modo da rendere inconfondibile la Fontina originale, che è stata inserita tra i 26 migliori formaggi al mondo.
Volendo acquistare vera Fontina, controlliamo sempre che sulla forma da cui traggono il nostro acquisto, vi sia il logo specifico, formato dalla sagoma del monte Cervino, la scritta Fontina, il tutto racchiuso in un cerchio, colore del marchio è il verde; sulla forma sono riportati anche data di produzione e nome del produttore. Il timbro viene apposto dal Consorzio solo se la forma sottocontrollo possiede una maturazione di almeno 90 giorni e presenta i giusti caratteri analitici e organolettici. L’idoneità di una forma di Fontina per il commercio viene stabilita anche attraverso un carotaggio (estrazione di un tassello dalla forma, per controllare l’occhiatura e la morbidezza della pasta) e una prova di resistenza (un pezzetto di formaggio viene stretto tra le dita: se le due estremità si toccano vuol dire che è pronto per la vendita e può ricevere il marchio DOP).
Molte sono le ipotesi sull’origine del nome Fontina, ma la più accreditata vorrebbe il nome derivato dall’Alpe Fontin, un alpeggio (area a pascolo e prato naturale, in cui pascolano durante l’estate le mandrie dei bovini) situato presso il comune di Quart nel cuore della regione; secondo altri studi il nome deriverebbe dal villaggio di Fontinaz, oppure per indicare che fonde facilmente col calore (quindi fontina da fondere, caratteristica principale di questo formaggio). Altra ipotesi vorrebbe il nome derivato da quello della famiglia de Funtina o de Fontines.
Di questo formaggio si hanno notizie risalenti al 1200 sia in scritti notarili che in archivi dei signorotti feudali, nelle lunghe liste dei prodotti commercializzati o presenti nei depositi. La fama aumenta notevolmente tra il 1700 e il 1800, grazie a documenti della nobiltà valdostana che ospitava viaggiatori inglesi di riguardo, i quali apprezzavano particolarmente questo formaggio. Proprio a seguito di questa notorietà e per contrastare il gioco al ribasso dei grossisti di formaggio, già nel 1890 i produttori pensano di costituirsi in consorzio in modo da ottenere il giusto riconoscimento economico del loro prezioso e apprezzato formaggio (nel 1957 nascerà il Consorzio, come già citato).
Prodotto con latte bovino intero, proveniente solo vacche della razza Valdostana sia Pezzata Rossa che Pezzata Nera (uno dei legami col territorio che una DOP richiede), le quali devono trascorrere sei mesi in stalla ricevendo fieno fatto con i foraggi allevati in Valle, e sei mesi all’aperto alimentandosi di foraggi freschi, restando da inizio Giugno a fine Settembre in alta montagna sui pascoli degli alpeggi alimentandosi di vegetazione spontanea e foraggio fresco a integrazione, sotto lo sguardo di pastori chiamati arpian); il latte (quello di una sola mungitura) viene lavorato al massimo dopo 2 ore dalla mungitura, questo formaggio viene posto in vendita quando ha raggiunto almeno i 3 mesi di stagionatura.
Si tratta di un formaggio a latte crudo (quindi riscaldato al massimo a 36°C), grasso (sostanza grassa uguale o superiore al 42% sulla sostanza secca, cioè sul formaggio al netto dell’acqua), a pasta semicotta (cagliata cotta fino a 48°C) o cotta (cagliata cotta a T tra 48 e 58°C), pressata e a maturazione media (fino a 6 mesi) e lunga (di 6- 24 mesi), con ingredienti per la preparazione che sono essenzialmente latte, caglio e sale.
La fontina ha forma cilindrica (con diametro tra 30 e 45 cm) a scalzo basso (scalzo è l’altezza del cilindro, 7 – 10 cm) e leggermente concavo, con peso medio tra 8 e 18 kg, anche se sembra che verso la fine del 1800 il peso fosse più elevato, giungendo fino a 20 kg (elemento da rapportare certamente al modo di commercializzazione dell’epoca, quando esistevano soltanto poche botteghe di alimentari che riuscivano certamente a esercitare una sorta di oligopolio della distribuzione nei paesini e nei grossi centri, per cui una forma da 20 kg certamente sarebbe stata venduta velocemente, per mancanza di concorrenza, al contrario di ciò che accade oggi).
La pasta si presenta morbida, di colore giallo paglierino, leggermente occhiata quasi compatta, di gusto aromatico e profumo caratteristico, elastica, piuttosto molle, morbida in bocca. La crosta, sottile (circa 2 mm), con aspetto talvolta morchioso (cioè come se fosse imbrattato di morchia, cioè di quel residuo che resa in fondo all’olio dopo la decantazione, formato da ciò che nell’olio è in sospensione e che se non filtrato conferisce all’olio il difetto di sapore e odore di morchia) dovuto alle pratiche di cura del formaggio durante la stagionatura, morbida, è di colore nocciola – rossiccio, compatta. Il sapore di questo formaggio è definito da taluni intenditori dolce “languido”.
La fontina prodotta durante la permanenza degli animali all’aperto è la Fontina d’Alpeggio, la quale ovviamente risente moltissimo dell’alimentazione quasi esclusiva con flora spontanea e dei batteri naturali correlati a questa; la Fontina Invernale o di latteria, prodotta durante i mesi invernali, ha caratteristiche diverse per via dell’alimentazione secca, ma non risulta inferiore alla prima, è semplicemente differente. Molti allevatori, tenuto conto del fatto che il fieno dato agli animali deriva da coltivazioni di foraggi comunque coltivati in montagna, pregiati nella loro composizione botanica e nutrizionale, preferiscono non portare le mucche in alpeggio per evitare che esse mangino erbe non valide per la riuscita del formaggio (conferiscono odori e sapori sgradevoli), per cui producono solo fontina di latteria.
Scegliere di gustare sempre la Fontina di latteria o assaporare solo da ottobre a tutto gennaio quella d’alpeggio, dipende solo dal gusto del consumatore, visto che la qualità è eccellente per entrambi, così come il prezzo al chilo (oggi pari almeno a circa 22 €/kg). Le caratteristiche del formaggio dipenderanno non solo dall’alimentazione delle vacche e dai batteri naturalmente presenti nel latte, ma anche dalla stagionatura: la Fontina giovane ha un gusto dolce e delicato, mentre quella più stagionata si presenta molto più aromatica e leggermente piccante (in aumento con la stagionatura).
La Fontina invernale ha bisogno di una stagionatura maggiore di quella estiva, per cui avrà un sapore e un aroma più intensi; quella estiva è più delicata come aroma e profumo e presenta un retrogusto amarognolo, certamente derivato dall’alimentazione con flora mista spontanea, tra cui vi sono essenze cosiddetta colagoghe, cioè amaricanti e con funzione pro-epatica.
L’aspetto nutrizionale della Fontina vede un apporto di circa 374 kcal/100 g di parte edibile, acqua 39%, proteine 25%, 30% e anche più sulla s.s., (per il 18 - 20% sono grassi saturi), zuccheri 1,6%, colesterolo 90 mg, Sodio 451 mg, Potassio 89 mg, Calcio 870 mg, Fosforo 540 mg, Ferro 0,3 mg, oltre a tracce di altri elementi minerali e vitamine specialmente A, D, K. Come tutti i formaggi, la Fontina di qualunque tipologia dopo l’acquisto va conservata in frigo , avvolta in foglio di alluminio o carta oleata, chiusa in un contenitore contro le muffe: così resterà valida per circa 5 – 6 giorni (allungare finoi a 10 non farà che declassare questo ottimo formaggio.
Il vino giusto per la Fontina giovane non deve annullare i sentori e sapori del formaggio, molto più tenui del tipo stagionato, ma affiancarli per esaltarli. Andrà bene un bianco (della zona o di altre parti), secco, giovane (al massimo un anno dalla vendemmia), fresco (perciò acidulo in funzione della tendenza dolce e alla grassezza del formaggio), delicatamente fruttato (i profumi del formaggio giovane non sono intensi e non vanno coperti dal vino), volendo anche leggermente frizzante (potremmo dire meglio: vivace o mosso).
Passando al vino giusto per la Fontina stagiona, considerato che questa ha un gusto decisamente più intenso, leggermente piccante, dotato di grande personalità, ne sceglieremo uno rosso e ben fruttato (sempre privilegiando quelli territoriali), in modo da equilibrare l’intensità aromatica e gustativa della Fontina e restare molto in bocca: praticamente in bocca dobbiamo poter sentire sia il formaggio che il vino e non solo uno dei due. La Fontina molto stagionata gradisce tanto l’abbinamento con vini dolci (passiti, muffati, liquorosi, dolci naturali), alla stregua dei formaggi erborinati e di quelli molto piccanti.
In cucina la ricetta più famosa che vede attrice incontrastata la Fontina è la Fonduta Valdostana, la cui ricetta base contempla formaggio, tuorli d’uovo e latte. Nella versione svizzera si usa anche il liquore kirsch o del vino bianco secco, il tutto per ridurre la pesantezza data dai tuorli e dal formaggio grasso. La fonduta può essere consumata sia fredda che calda in accompagnamento primi e secondi. Famosa e prelibata è la fonduta con tartufi che ben si accompagna bene con un vino rosso, maturo (4-5 anni), di medio corpo, secco, da servire a 18°C.
Non sono da dimenticare gli gnocchi alla fontina, la bistecca a la valdostana, la seuppa à la vapelenentse, la polenta alla valdostana, la seupetta di Cogne, le crespelle alla valdostana
Dalla lavorazione della fontina resta una sorta di siero che riscaldato fornisce la la brossa, ossia la schiuma bianca prelevata man mano che si forma con un mestolo piatto e largo a condire fredda o calda la polenta.
I vini da abbinare saranno simili a quelli usati per la fontina degustata tal quale, con piccoli adattamenti per tenere conto dell’aromaticità, della grassezza, della succulenza, dell’untuosità e della più o meno spinta tendenza dolce della preparazione in esame.
Note bibliografiche
- Mucchetti – Neviani, Microbilogia e tecnologia lattiero casearia, ED. Tecniche Nuove
- Fidanza – Liguori, Nutrizione umana, Ed. Idelson
- Mensile il Mio vino, Ed. Il Mio Castello
- L. Veronelli, Bere giusto, Ed. Bur Rizzoli
- AA.VV., Merceologia degli alimenti, Ed. AIS
- AA.VV., Tecnica dell’abbinamento cibo – vino, Ed. AIS
Scritto da Luciano Albano
Laureato con lode in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Bari nel 1978, ha svolto servizio come dirigente del servizio miglioramenti fondiari della Regione Puglia presso l’Ispettorato Agrario della città di Taranto. Appassionato di oli e vini, ha conseguito il diploma di sommelier A.I.S. e quello di assaggiatore ufficiale di olio per la sua regione.
Specializzato in Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli presso il C.I.H.E.A.M. di Bari (Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Mediterraneennes)" . Iscritto all'Ordine dei Dottori Agronomi della Provincia di Taranto. Iscritto nell'Albo dei C.T.U. del Tribunale Civile di Taranto

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