Bartolomeo Scappi

La cucina italiana cinquecentesca raccontata nella sua “Liste delle cose, le quali generalmente s’usano in Italia”

Bartolomeo Scappi

Bartolomeo Scappi (Dumenza, Varese, probabilmente dopo il 1500 – Roma13 aprile 1577) è stato un famoso cuoco italiano, precursore nel cercare di “mettere ordine” nel grande patrimonio gastronomico italiano. Famosa resta infatti la sua opera culinaria, un poderoso ricettario, intitolato “Liste delle cose, le quali generalmente s’usano in Italia in cui vengono elencate - oltre alle ricette - anche moltissime cose che si usano in cucina in Italia, specialmente a Roma. 

Il riferimento a Roma deriva non solo dal fatto che l’autore viveva nella città e dove era il cuoco privato del papa Pio V, ma anche e più perché città prima era vertice del sistema alimentare  e mercantile italiano, in quanto centro di arrivo e smistamento di merci italiane e di altri paesi,  mentre quando scrive lo Scappi (1.570) rappresentava un nodo nevralgico soltanto per le merci italiane: perciò, da quel momento, in campo culinario Roma significò sempre Italia.

Quello dello Scappi è un libro che potremmo definire di tipo comparativo, come quelli di altri autori antecedenti e contemporanei a lui, e in esso vengono individuate “tre Italie in cucina”: una lombarda (Padana), una granducale e pontificia (Laziale, toscana, marchigiana) e una del regno di Napoli (tutto il sud e la Sicilia). A queste tre realtà, l’autore aggiunge anche altri due territori molto importanti per la cucina dell’epoca, cioè Genova e Venezia, e accerta le diverse denominazioni locali o regionali tra le diverse zone elencate per un medesimo prodotto, o al contrario nomi uguali per prodotti differenti. 

Bartolomeo Scappi riesce ad evidenziare le caratteristiche degli usi alimentari e gastronomici delle zone e si tuffa letteralmente nella descrizione di molti prodotti tipici delle zone, come per esempio i caci freschi e quelli salati, quelli  germanici e quelli napoletani (detti già all’epoca caci cavalli da cui successivamente caciocavalli per il modo di farli stagionare a coppia a cavallo di travi di legno, in appositi locali di stagionatura) o toscani; tra i caci salati, l’autore si dilunga sul al parmigiano (definendolo già allora come il migliore formaggio esistente) e sul pecorino sardo (diffuso sia in Sardegna che in Lazio e Toscana). 

Scappi affronta anche l’argomento pesci di mare elencando le differenze tra i prodotti della pesca nel mare Adriatico e quelli del Mar Tirreno; non si scoraggia nell’elencare e descrivere anche le differenze tra i pesci di acqua dolce dei laghi lombardi e di quelli dell’Italia centrale, i mercati del pesce, i modi di preparazione.

Scappi insiste poi sull’importanza e sul ruolo fondamentale svolto dai mercati, non solo per l’approvvigionamento e la distribuzione delle derrate alimentari, ma anche per la diffusione di ricette e ricettari con conseguente ampliamento della cultura gastronomica di tutte le zone che ad ogni mercato si servono. Lo scambio di ricette certamente non giunge a rendere uniforme la gastronomia sul territorio nazione, in quanto ogni zona resta molto legata ed orgogliosa delle proprie ricette, ma ha come risultato la conoscenza di ciò che accade nelle diverse zone italiane. 

Si inquadra quindi una conclusione incontestabile, ovvero che non esista una cucina italiana, ma tante cucine che insieme la formano: infatti nella sua opera Scappi usa solo una volta il termine “all’italiana” per una preparazione di ombrina (pesce). In definitiva, Scappi evidenzia come l’esistenza del mercato favorisca decisamente anche lo scambio di ricette e di usi gastronomici, contribuendo con lo scambio di ricette alla formazione di una cultura del cibo italiano.

Nel libro di Scappi si ritrovano quindi ricette tipicamente regionali e ricette decisamente locali, con prevalenza di quelle tipiche della Lombardia (probabilmente per la sua origine, visto che Dumenza, luogo di nascita, è in provincia di Varese), caratterizzate dalle vivande ripiene (siano esse carni, torte o paste) che assumono per questo autore un ruolo centrale e caratterizzante della cucina lombarda.

Rilevante è anche il numero di ricette alla veneziana (prevalentemente a base di pesce), e di quelle genovesi (pesci, maccheroni, cotognata, ecc.), a cui fanno seguito quelle della tradizione emiliana connotate dalla indicazione alla bolognese” (trippa, torta d’erbe, panna cotta, ecc.), quelle toscane, definite sempre dall’aggiunta “alla fiorentina” perché Firenze è sinonimo mondiale di Toscana (in particolare a base di uova come le frittate di tantissimi tipi, capaci di esaltare non tanto le uova quanto i prodotti della terra che le arricchiscono, sia spontanei che coltivati), quelle delle Marche (es. paperi e anatre cotte), dell’Umbria (molte a base di pesce di lago). 

Molto rilievo viene dato da Scappi alla cucina romana (città adottiva dell’autore), citando ricette tipiche come zeppole (cioè frittelle di ceci), maccheroni, polpettoni e alla cucina tradizionale di Napoli, come broccoli, maccheroni, dolci.

Scappi ha, quindi, in mente un’Italia culinaria ma allo stesso tempo decisamente cittadina, considerando però la città come un’area regionale, quindi rappresentativa di un territorio costituito a sua volta da tante piccole realtà locali, le quali si riconoscono e si riuniscono nel mercato urbano, quello appunto della grande città. La città, grazie al fenomeno dell’inurbamento che già allora iniziava, è vista non solo come sede di amministrazione, politica e potere ma anche come punto di incontro  delle merci e della vendita di tutte le derrate alimentari prodotte nel territorio della città.

Nel testo di Scappi si nota lo scarso rilievo dato al Sud oltre Napoli e al Piemonte, che resterà più a lungo del Sud in un ruolo di marginalità della cucina italiana. Mentre per il Sud oltre Napoli lo Scappi non aveva o non aveva voluto percorrere le strade per timore, per cui non poteva conoscere la gastronomia dei luoghi, per il Piemonte il motivo risiedeva certamente nella considerazione che quella di tale regione era una cucina molto francesizzata, quindi mai definibile italiana: solo successivamente questa regione comincerà ad essere citata, ma senza mai rivestire ruoli importanti nella cucina definibile all’italiana. 

Soltanto nel libro Dello scalco del 1584, di Giovan Battista Rossetti (scalco alla corte di Lucrezia d’Este duchessa d’Urbino) si riporta la ricetta dei carciofi alla Piemontese. Per meglio intenderci preciso che “Scalconel Medioevo e nel Rinascimento era colui che trinciava le carni cotte e le serviva ai convitati (in seguito si identificò con il direttore di mensa), mentre “Scalcheriaera l’arte di organizzare i servizi di tavola e cucina (originariamente indicava sia la mansione dello scalco che il luogo ove agiva lo scalco come direttore della mensa).

Scappi pubblicò il suo libro (il più grande trattato di cucina del suo tempo) al culmine della sua fama, includendo oltre mille ricette e trattando anche degli strumenti di cucina e di tutto ciò che doveva conoscere un cuoco rinascimentale di alto livello. In quest'opera si ha la prima raffigurazione conosciuta di una forchetta e vengono introdotti nuovi metodi di preparazione e l'uso di ingredienti importati dalle Americhe, da poco scoperte.

L'opera ebbe grande successo e venne ristampata regolarmente fino al 1643, contribuendo con tante ricette (pasta, pasta ripiena, torte e altre preparazioni a base di pasta sfoglia e pasta frolla, l’infarinatura, l’impanatura, la sigillatura delle carni bianche e rosse prima della cottura) alla costruzione della cucina italiana moderna. 

Concludiamo affermando che certamente Scappi ha dato inizio alla gastrosofia, cioè a quella disciplina che ha come scopo la ricerca degli elementi che uniscono appetito, arte culinaria e piacere per il buon cibo ed il bere, rendendo l’alimentarsi non solo un fatto necessario e fisiologico ma un vero e proprio percorso culturale del piacere a tavola, valutando anche i riflessi psicologici del consumo di un certo cibo e i significati impliciti del medesimo.
 

Note bibliografiche e sitografiche

Scritto da Luciano Albano

Laureato con lode in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Bari nel 1978, ha svolto servizio come dirigente del servizio miglioramenti fondiari della Regione Puglia presso l’Ispettorato Agrario della città di Taranto. Appassionato di oli e vini, ha conseguito il diploma di sommelier A.I.S. e quello di assaggiatore ufficiale di olio per la sua regione

Già specializzato in Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli presso il C.I.H.E.A.M. di Bari (Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Mediterraneennes), nonché iscritto all'Ordine dei Dottori Agronomi della Provincia di Taranto e nell'Albo dei C.T.U. del Tribunale Civile di Taranto

, da sempre ama approfondire il food e il beverage per metterne in rilievo ogni sfaccettatura.

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