Halal & Haram

Cosa significano questi termini legati all’alimentazione nel mondo islamico? Approfondiamo insieme le radici storico-culturali dei suoi dettami

Halal & Haram

Il nuovo millennio ha portato con sé tante nuove dinamiche che hanno iniziato man mano a farci sentire un po' tutti “cittadini del mondo”. C’è chi ogni anno ama (ed ha la fortuna) di regalarsi un viaggio alla scoperta di nuovi luoghi e culture, chi invece lo fa attraverso i libri, il web ed i ristoranti etnici di qualità nati in ormai tutte le nostre città, ed anche la stessa globalizzazione ci ha avvicinati ad altri popoli con i quali fino a pochi decenni fa non avremmo creduto di venire in contatto quotidiano. Proprio per queste ragioni, oggi abbiamo pensato di esplorare un per voi gli aspetti fondamentali delle usanze alimentari dei popoli islamici.

L’Islam costituisce la seconda religione, dopo il Cristianesimo, per numero di fedeli al mondo (1,8 miliardi), dislocati principalmente in Indonesia, nell’Asia Meridionale (25%), Turchia, Penisola Araba, Egitto, Maghreb (Africa di Nord Ovest), nel resto del Medio Oriente (Giordania, Iraq, Iran, ecc.) e nell’Africa sub sahariana, con minoranze (che diventano più consistenti in seguito alla globalizzazione) in Europa, Cina, Russia e USA.

Nel Corano (il testo di riferimento per ogni musulmano), pressoché tutto, dunque non solo l’alimentazione, è suddiviso in halal, cioè “lecito, consentito”, e in haram, cioè “non lecito, proibito”; di conseguenza anche nell’ambito dei cibi e delle bevande esistono alimenti halal e alimenti haram. Prima di proseguire diciamo subito che qualunque cibo e bevanda può diventare haram se viene a contatto con elementi di tale categoria, nel qual caso bisognerà seguire precise procedure precettistiche per farlo tornare a essere halal.

Purezza interiore e fisica dipendono per i musulmani dalla purezza di ciò che si mangia e si beve. Questo accomuna l’Islam a tutte le altre religioni, perché in ciascuna di esse esiste il limite che divide il consentito dal proibito. Bisogna però evidenziare subito (e questo vale per tutte le religioni) che molti studiosi di teologia e alimentazione hanno dimostrato che in ogni religione la distinzione tra cibi concessi e cibi proibiti si fonda su evidenze relative all’ambiente abitato e alla salute degli essere umani, sempre da tutelare. In altre parole, nella grande maggioranza dei casi le scelte alimentari religiose si sono basate sulla concreta presenza di terre coltivabili o di deserti, di acqua abbondante o scarsa nei territori che ne hanno visto la nascita, nonché sulla predilezione di animali facilmente allevabili a seconda degli habitat, sulle loro proprietà nutritive e sull’essere esenti da pericoli per la salute dell’uomo.

Da tali considerazioni discendono, quindi, i precetti religiosi, sia quelli effettivamente trasmessi dall’alto ai profeti, sia quelli decisi propriamente da profeti, re e sacerdoti, tutti basati sul semplice buon senso nel tenere conto dei fattori ambientali, nutritivi, economici, medicali e salutari. Sono quindi precetti che vogliono il bene dell’essere umano e della natura, la quale deve essere sempre rispettata.

Bisogna precisare che, come accade nelle altre religioni, anche nell’ambito islamico esistono scuole di pensiero per cui cibi e bevande sono considerati halal e haram in modi leggermente differenti: per cui vi sono scuole un po’ permissive (hanafita), scuole molto ortodosse (hanbalita) e scuole intermedie (malikita e shafiita).

Secondo alcune scuole coraniche recitare prima di mangiare la formula “in nome del Dio clemente e misericordioso”, renderebbe halal anche una carne haram; secondo altre scuole con tale rituale qualunque cibo haram diventerebbe halal. Molti però non condividono questa teoria. I musulmani sono anche molto attenti alle etichette in quanto alcuni elementi aggiunti ai cibi in commercio rendono il prodotto finale haram, come alcol, enzimi, grassi particolari, gelatine animali, coloranti, conservanti ecc. (accade nei formaggi, nei gelati, e in tanti altri prodotti): praticamente, un musulmano deve ricercare la massima purezza del cibo e della bevanda.

Iniziamo dunque col dire che tutti i cibi di origine vegetale sono halal salvo nel caso conservati in alcol o in aceto alcolico o contenenti gli altri ingredienti haram sopra citati. Per questo di seguito analizzeremo cosa è consentito in merito soprattutto all’alimentazione di derivazione animale, terricola e acquatica.

Tra i prodotti ittici o acquatici, prescindendo dal metodo di pesca, è consentito mangiare solo i pesci con le squame e le loro uova, i gamberi e i gamberetti, purché pescati vivi, perché per il Corano un animale trovato morto è sempre haram. Sono quindi considerati haram pesci quali l’anguilla, il pesce spada, la razza, ma anche molluschi come i calamari e le seppie, crostacei come aragoste, astici e scampi, nonché frutti di mare, balena, tartaruga di mare, rombi, murene e molti altri ancora.

Per i prodotti animali, sono halal le carni degli animali addomesticati ruminanti, con piede fesso (diviso) quindi bovini, ovini, caprini, camelidi (il cammello in realtà è un ruminante un po’ diverso dagli altri perché ha tre stomaci e non 4, inoltre non ha lo zoccolo fesso, ma due dita ben divise! Ne parleremo in seguito). Rifacendoci dunque a quanto detto prima sul rapporto precetti religiosi alimentari/ambiente, è evidente che per l’Islam sono leciti quegli animali che per alimentarsi sfruttano i prodotti agricoli ricchi di cellulosa (fieno, erba fresca, foraggi), vegetali che non fanno parte dell’alimentazione umana perché l’uomo non digerisce la cellulosa, per cui non sottraggono alimento all’uomo e tanto meno superficie da destinare alle coltivazioni utili.

Tra gli animali selvatici, sono halal ovini, caprini, bovini di montagna, gazzelle e cervi. Nel caso del cammello sembra strano che possa essere mangiato, vista la sua importanza vitale per gli spostamenti nel deserto, luogo in cui nessun altro animale può uguagliare i camelidi. Orbene, è vero che il cammello risulta utile per trasporti di uomini e cose, oltre che per il latte e altri lavori che fornisce, ma se la sua carne fosse stata dichiara haram, moltissimi storici viaggiatori musulmani avrebbero rischiato la morte non potendosene nutrire in casi estremi.

Di contro, sono haram quindi proibite le carni di maiale, cinghiale, coniglio e animali carnivori; sconsigliati sono asini, muli e cavalli. La carne suina rappresenta di certo l’alimento proibito più noto della cultura islamica: questo animale viene scartato perché ritenuto altamente impuro, senza dubbio per le sue “sporche abitudini” (come rotolarsi nel fango, mangiare le sue feci – se costretto dalle necessità o dall’incuria umana - e talvolta essere cannibale con i suoi simili). Ma guardando più profondamente, il maiale non è un ruminante ma un animale monogastrico, per cui non gradisce molto alimentarsi di cellulosa (perché la digerisce pochissimo e non lo aiuta a crescere e ingrassare), preferendo altri prodotti, tanto da essere onnivoro. In particolare, mangia prodotti destinati all’uomo: il maiale ingrassa bene solo nutrendolo con vegetali nobili, come patate, granaglie, orzo, avena e altri cereali del tempo, tutti alimenti utili anche all’uomo.

Inoltre, non è un dettaglio che gli arabi avessero intuito da lungo tempo che il maiale poteva portare parassiti all’interno delle sue carni (Trichinella e tenie), e che queste non venivano ben cotte potevano essere trasmessi all’uomo. Così come che il maiale vorrebbe luoghi ombrosi e ricchi di acqua, in quanto non ha melanina nella pelle e il sole gli fa male (ha bisogno perciò di bagnarsi spesso per eliminare il calore corporeo, visto che non ha ghiandole sudoripare); allevandolo bisognava, quindi, nei caratteristicamente caldi luoghi di nascita della religione islamica, investire molto tempo, spazio e denaro per fornire alle genti le carni di un animale che non produceva in vita né latte né lavoro (a differenza dei buoi). L’ennesima dimostrazione, dunque, che il precetto sacro trova la sua spiegazione logica in motivi pratici.

Il termine halal non si riferisce però solo ed esclusivamente alla razza di appartenenza: perché sia halal, la carne deve infatti provenire da allevamenti che garantiscono il benessere degli animali in vita. Gli animali devono inoltre arrivare vivi al macello e vanno tranquillizzati con del cibo prima di entrarvi, limitando comunque al massimo del possibile le sue sofferenze fino alla fine (gli animali non devono assistere all’uccisione dei loro simili, i coltelli non devono essere affilati stando di fronte all’animale). Anche nella fasi di logistica e trasporto la carne non deve essere contaminata con elementi impuri, altrimenti diventa haram.

La macellazione secondo i dettami islamici è inoltre un vero rito: chi la opera deve essere necessariamente credente (dovrà invocare il suo dio prima di iniziare), i coltelli devono essere possibilmente di ferro, il muso dell’animale deve essere rivolto verso la Mecca.

Per quanto riguarda i volatili, sono halal quelli coperti di piume, non devono veleggiare per un tempo superiore a quello in cui battono le ali, non devono possedere artigli; non conoscendo il tipo di volo dell’uccello per considerarlo halal si valuterà la presenza di uno dei seguenti elementi: gozzo, ventriglio, protuberanza posteriore della zampa simile artiglio. In definitiva sono considerati halal polli, galli e galline, tacchini, oche, anatre, capponi, pernici, quaglie, faraone, piccioni, allodole, beccacce, fagiani, struzzi, tordi e uccelletti. Sono invece haram gli uccelli rapaci (aquile, falchi e avvoltoi), pavoni, corvi e cornacchie. La rondine, l'upupa e il cigno sono invece sconsigliati. Tutti gli altri esseri che volano (pipistrelli, api ed altri), così come le loro uova e le uova di tutti gli uccelli illeciti, sono haram.

Nell’ambito dei liquidi sono haram l’urina (tranne quella di cammello se usata come medicina), il sangue, il latte degli animali haram, la birra, il vino e l’alcol, nonché il succo d’uva (a meno che non diventino aceto).

Per quanto riguarda il vino, la tolleranza moderata varia da scuola a scuola. Infatti quella hanafita è molto tollerante, quella hanbalita è intransigente, quelle malikita e quella shafiita sono meno tolleranti della prima ma non rigoriste. Le differenze sembra discendano dalla constatazione che mentre nella 5^ Sura ai versetti 90 – 91 si afferma che il vino e il gioco d’azzardo sono satanici e quindi proibiti, nella Sura 47 al versetto 15 si afferma che nel Paradiso ai Giusti verrà servito un vino delizioso, insieme ad acqua purissima, miele e latte. Quindi nel Corano esiste un vino terreno da rigettare e un vino paradisiaco a cui aspirare: una ambivalenza che ha determinato nei secoli l’apprezzamento delle bevande alcoliche in molte fasce di credenti musulmani.

Concludiamo con un’ultima nota sul cibo haram evidenziata nello stesso Corano: una persona può nutrirsene (o berne) quando si trova in pericolo di vita, ma deve farlo assumendone solo lo stretto indispensabile per la sua sopravvivenza.

Note bibliografiche

  • H. Elasrag, L' industria del Halal, Ed. Streetlib
  • E. Toselli, Kosher, halal, bio. Regole e mercati, Ed. Franco Angeli
  • M. Ghazi Bin, Guida all'islam per persone pensanti. L'essenza dell'islam in 12 versetti del Corano, EDB

Scritto da Luciano Albano

Laureato con lode in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Bari nel 1978, ha svolto servizio come dirigente del servizio miglioramenti fondiari della Regione Puglia presso l’Ispettorato Agrario della città di Taranto. Appassionato di oli e vini, ha conseguito il diploma di sommelier A.I.S. e quello di assaggiatore ufficiale di olio per la sua regione

Già specializzato in Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli presso il C.I.H.E.A.M. di Bari (Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Mediterraneennes), nonché iscritto all'Ordine dei Dottori Agronomi della Provincia di Taranto e nell'Albo dei C.T.U. del Tribunale Civile di Taranto

, da sempre ama approfondire il food e il beverage per metterne in rilievo ogni sfaccettatura.

1 Commento

  1. Igor Molon15 ottobre 2023 alle ore 17:53

    Complimenti per l'articolo

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