Cos'è il latticello?

Un sottoprodotto del burro molto usato negli USA e nell'Europa settentrionale: ecco di cosa si tratta e come impiegarlo in cucina

Cos'è il latticello?

Il latticello (in francese babeurre, in tedesco Buttermilch, in inglese buttermilk, in finlandese kirnupiimä) è il sottoprodotto della trasformazione in burro della panna. Dal sapore acidulo, è una bevanda popolare (simile ad uno yogurt liquido da sorseggiare) nell'Europa settentrionale, dalla Bretagna a Germania e Paesi Bassi, e in alcune aree asiatiche (Afghanistan e Pakistan).

Il latticello è il liquido rimasto dalla produzione del burro dalla panna. Tradizionalmente, veniva fatto fermentare all’aria con un processo naturale: i batteri (produttori di acido lattico dal lattosio) presenti nel latte lo facevano fermentare. Anticamente si otteneva quando si faceva il burro in casa, lasciando inacidire i residui della lavorazione del burro stesso. Quello che risultava da questa trasformazione veniva infatti chiamato "latte del burro" ovvero "latticello".

Il latticello in commercio non è più prodotto assieme al burro, ma direttamente aggiungendo al latte batteri che fanno fermentare il lattosio. Il latticello è un ingrediente fondamentale per moltissimi dolci americani e utilizzato per la marinatura del pollo da cuocere fritto. Dall’antichità fino alla fine dell’Ottocento il latte bevuto naturalmente dai nostri antenati era ben poco: quasi tutto era trasformato in formaggi, ricotta e burro, prodotti di più facile conservazione e commercio. Dalla lavorazione per realizzare questi alimenti rimanevano, allora come oggi, il siero di latte, residuo del processo di coagulazione della caseina, e il latticello, sottoprodotto della trasformazione della panna in burro.

In passato il siero di latte era usato soprattutto nell’alimentazione animale, in particolare del maiale, perché favoriva la salute e la qualità delle sue carni, tanto che i produttori di prosciutti pregiati ne vantavano l’impiego. Sempre nel passato il siero di latte e il latticello, entrambi dal sapore acidulo e più o meno ricchi di lattosio, hanno avuto qualche uso in cucina e come medicamento. Per quanto riguarda quest’ultimo uso Ippocrate, nel 460 a. C., consigliava il siero di latte per il trattamento delle infezioni, la guarigione delle ferite e le malattie dello stomaco, con risultati che oggi possiamo in buona parte attribuire all’acido lattico.

Un antico uso medicamentoso era l’immersione nel siero di latte caldo di un’articolazione sofferente per uno stiramento, caduta o trauma. Oggi i diversi costituenti di questo sottoprodotto della lavorazione del formaggio si presentano come integratori proteici dietetici che vantano un’attività antimicrobica e di modulazione immunitaria e contribuiscono a prevenire malattie cardiovascolari e osteoporosi. Alcune ricerche scientifiche dimostrano inoltre che particolari componenti del siero di latte agiscono come antiossidanti, antipertensivi, antitumorali, ipolipidemici (riducono la concentrazione di colesterolo e trigliceridi nel sangue), antivirali e antibatterici.

In buona parte però, considerata la sua composizione nutrizionale e la grande quantità disponibile, oggi il siero di latte non è adeguatamente utilizzato. La produzione annua mondiale è stimata tra i 180 e i 190 milioni di tonnellate e nella sola Unione europea si aggira sui 40 milioni di tonnellate. Questi sono in parte usati per l’estrazione del lattosio, ma ne restano inutilizzati circa 13 milioni di tonnellate e il loro smaltimento rappresenta un problema economico e ambientale.

Solo in Italia si stima che derivino ogni anno dalla produzione dei formaggi circa 9 milioni di tonnellate di sottoprodotti, e il recupero di tutti i suoi componenti, come il suo uso in processi di fermentazione, sarebbe molto utile non solo per l’ambiente, ma anche per un’economia sostenibile. Il siero di latte contiene infatti più della metà dei solidi presenti nel latte intero originale: il 20% delle proteine totali, la maggior parte del lattosio, vitamine e minerali.

Per la sua valorizzazione non è più sufficiente la trasformazione in polvere, ma si devono usare tecnologie che permettono di recuperare composti preziosi, come le diverse frazioni proteiche e il lattosio. Questo è oggi possibile usando tecniche ‘pulite’ come l’ultrafiltrazione, l’osmosi inversa, la separazione, la demineralizzazione ed essiccazione, la dialisi e la pervaporazione.

Le frazioni ottenibili con i nuovi metodi di lavorazione hanno proprietà funzionali di solubilità, gelatinizzazione, emulsionabilità e schiumosità di grande interesse per l’industria alimentare, per innovazioni che riguardano salse, creme e yogurt, ma anche insaccati, prodotti da forno e bevande. Molti sono gli impieghi possibili anche per le industrie cosmetiche e farmaceutiche, queste ultime interessate alla produzione di alimenti funzionali usando singoli componenti del siero di latte che possono essere isolati e concentrati con i nuovi sistemi di lavorazione.

Photo made in AI via Canva

Dopo la laurea in Lettere Antiche segue la passione per la cucina non smettendo mai di approfondirne l'essenza sia nella pratica che nell'approfondimento degli aspetti storici. Oggi cura varie attività che cura in qualità di chef e libero professionista, supportando diverse tipologie di aziende.

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