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Viaggio da Nord a Sud nel pregiato prosciutto crudo nazionale: ecco le principali tipologie tra differenze e consigli di taglio e degustazione
Sappiamo bene quanto l’avventurarsi in giro per l’Italia consenta di immergersi in un mondo naturalistico e gastronomico formidabile: e non è casuale la scelta di accostare le parole “natura” e “gastronomia”, ancora oggi strettamente connesse fra loro per contribuire a dar vita a specialità uniche, soprattutto se si parla di alimenti fermentati.
Appartengono a questa categoria tutti quei prodotti per il cui ottenimento è fondamentale sfruttare il lavoro dei microrganismi cosiddetti “utili”, siano essi di natura batterica o fungina: è il caso del vino, della birra, del pane a lievitazione naturale, dei formaggi, e non per ultimi dei salumi, tra i massimi fiori all’occhiello dell’esperienza e del buongusto italiani. Protagonista principale è la carne di maiale, animale abbastanza facile da addomesticare, e anche da alimentare: per questo l’allevamento si è diffuso a partire da diverse razze in varie zone d’Italia, interessando periodi storici anche distinti, ma pur sempre guidando all’applicazione di una metodologia comune per conservarne le carni fresche dopo la macellazione.
Le origini della pratica della salagione e della successiva asciugatura del prodotto si perdono nella notte dei tempi: si pensi che già nel I secolo a.C. Plinio Il Vecchio affermava nei suoi scritti “nulla è più utile del sale e del sole". E non v’è dubbio, sia in base alle fonti scritte che ai reperti archeologici rinvenuti (di cui numerosi di origine etrusca), che tra i salumi più ancestrali figurasse il prosciutto crudo (dal latino perexsuctum, ovvero “asciugato”) fra i più magri, saporiti e graditi di tutti i tempi.
Il prosciutto crudo, o meglio i prosciutti crudi, nella nostra bella Italia danno vita ad un percorso sensoriale da vivere ed assaporare da nord a sud: se l’ideale è goderne durante un viaggio turistico costruito appositamente sulle migliori tappe del gusto nazionale, oggi tuttavia è possibile reperire, assaggiare e testarne le differenze anche a casa propria, grazie a supermercati sempre più forniti, negozi di specialità gastronomiche o shop online degli stessi produttori all’origine.
Si parte dall’estremo nord-est con il Friuli e i suoi a dir poco innumerevoli prosciutti: accanto al celebre, morbido e dolcissimo prosciutto di San Daniele (DOP), ci sono quelli di Sauris (IGP), di Cormons (PAT), del Carso e della Carnia. Prodotti resi unici da allevamento, alimentazione dei suini e pratiche produttive umane, e non di meno dalla coesistenza di venti freddi provenienti dalle Alpi Giulie, di altri temperati e ricchi di salsedine provenienti dall’Adriatico, dell’umidità regalata dal fiume Tagliamento e dai forti sbalzi termici tra giorno e notte. I prosciutti di Sauris e Cormons vengono inoltre sottoposti a speciali trattamenti di affumicatura (tecnica tipicamente austriaca, ma anche teutonica), con legno di faggio il primo, con legni di ciliegio, di alloro ed erbe aromatiche il secondo.
Dirigendosi poi verso l’Emilia, il territorio di Parma ha dato i natali al prosciutto DOP più conosciuto (e anche imitato) al mondo, ma non solo: a Zibello, nella Bassa Parmense, fascia pianeggiante posta sul lato a sud del fiume Po, è nato il pregiato culatello DOP, ricavato solo da una parte della coscia suina (il fiocco, muscolo che affianca la più grande noce nella zona femorale) e stagionato in grotte. Nell’area marchigiana di Pesaro-Urbino prende invece vita il prosciutto di Carpegna DOP, dal gusto dolce e aromatico, in contrapposizione alla sapidità e dal sapore più selvatico dei prosciutti prodotti nella regione opposta, ovvero la Toscana: non a caso qui l’abbinamento migliore per il prosciutto locale è quello con il pane sciapo (senza sale).
In Umbria l’arte della norcineria, che prende il nome proprio dal comune di Norcia, dà vita ad un prosciutto a marchio IGP sapido ma non salato, leggermente più speziato per la presenza di pepe nella concia. Più a Sud, troviamo i prosciutti di suino nero calabrese e dei “cugini” neri lucani, che stanno espandendo sempre maggiormente la propria fama grazie all’allevamento ancora oggi brado o semibrado che rende le loro carni rivestite da un grasso particolarmente profumato, e la cui consistenza, colore e sapore ricorda quasi i prosciutti iberici (anch’essi sono ideali da tagliare a mano al coltello).
Infine, val la pena menzionare l’esistenza di prosciutti crudi tipici particolari, ottenuti da altre tipologie di carni: tra Umbria, Toscana e Alto Lazio è possibile trovarne di cinghiale, mentre in Veneto e Friuli il prosciutto crudo d’oca stupirà senza dubbio i palati più raffinati, nonché chi è sempre in cerca di novità.“Prosciutto crudo” è dunque un nome generico che raccoglie al suo interno una molteplicità di prodotti e qualità differenti: a ciascuno il suo preferito, l’importante sarà ricordare di lasciar sempre stemperare 5-10 minuti il salume a temperatura ambiente prima di degustarlo. Occhio però alla stagione estiva, in cui questi tempi si riducono, pena l’affioramento dell’untuosità superficiale sul prodotto (seppur gradita, è bene che non sia mai eccessiva).
Quando utilizzate il prosciutto crudo in cucina, soprattutto in paste, risotti, e sformati, abbiate cura di lasciarlo prima asciugare in forno senza aggiunta di grassi a temperatura non troppo elevate (sistemandolo semplicemente su della carta da forno) oppure di lasciarlo appassire in una padella con un filo d’olio o una noce di burro. Otterrete degli “straccetti” di prosciutto crudo croccanti molto versatili da usare per condimenti, ripieni e rifiniture dei piatti, resi più idonei nella consistenza ai fini dell’uso come vero e proprio ingredienti.
Infine, un dettaglio non meno trascurabile è rappresentato dal verso di taglio delle fette di prosciutto crudo. Come ci insegna Fabio Campoli, è importante che le fibre muscolari vengano tagliate “contro fibra” e non “lungo fibra” per migliorarne la masticazione. Nel caso dei prosciutti tagliati all’affettatrice, è molto importante che questa regola venga seguita affinché il prosciutto non si presenti filamentoso e più duro da masticare; il prosciutto va tagliato dunque nel senso della larghezza della coscia, non della sua lunghezza. Diverso è tuttavia il caso dei prosciutti che vanno preferibilmente tagliati a mano al coltello (come quelli iberici ma anche quelli toscani, umbri, lucani e calabresi), posizionati sui classici porta prosciutto per essere tagliati “lungo fibra”. In questo caso la percezione al palato è effettivamente diversa, generata dalla degustazione di trancetti di fette che possiedono inoltre uno spessore più consistente.
Scritto da Sara Albano
Laureata in Scienze Gastronomiche , raggiunta la maggiore età sceglie di seguire il cuore trasferendosi a Parma (dopo aver frequentato il liceo linguistico internazionale), conseguendo in seguito alla laurea magistrale un master in Marketing e Management per l’Enogastronomia a Roma e frequentando infine il percorso per pasticceri professionisti presso la Boscolo Etoile Academy a Tuscania. Dopo questa esperienza ha subito inizio il suo lavoro all’interno della variegata realtà di Campoli Azioni Gastronomiche Srl, , dove riesce ad esprimere la propria passione per il mondo dell'enogastronomia e della cultura alimentare in diversi modi, occupandosi di project management in ambito di promozione, eventi e consulenza per la ristorazione a 360°, oltre ad essere referente della comunicazione on e offline di Fabio Campoli e parte del team editoriale della scuola di cucina online Club Academy e della rivista mensile Facile Con Gusto.

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