Capocollo di Martina Franca

Perché anche la Puglia produce gustosi fiori all’occhiello della salumeria!

Capocollo di Martina Franca

Spesso, quando si pensa alla Puglia e ai suoi prodotti tipici, il pensiero ricade per molti sulle specialità ittiche, per altri su quelle casearie, e per altri ancora sull’ortofrutta. In realtà, non vi è regione d’Italia che si possa dire esente dalla produzione tradizionale anche di prodotti di salumeria.

E se i salami, al Sud meglio conosciuti con il nome di “salsiccia” (probabilmente perché confezionata per lo più in diametri e lunghezze ridotte dei pezzi) fanno da padroni anche dalla Puglia alla Basilicata fino in Calabria e in Sicilia, le regioni meridionali nascondono ciascuna tanti altri patrimoni di gusto “suino” tutti da conoscere e ricercare nelle più fornite gastronomie, o perché no cogliendo l’occasione di un viaggio.

Martina Franca, graziosa cittadina in provincia di Taranto, posta alla stessa distanza fra lo Jonio e l’Adriatico, sul bordo esterno delle Murge, punto d’incontro di civiltà diverse oltre che famosa per i suoi prodotti caseari (risultato di allevamenti bovini, ovini, caprini e bufalini di riconosciuto valore) è il principale centro di produzione (si affiancano i comuni di Cisternino e Locorotondo, tutti nella Valle d’Itria) di una vera e propria “chicca” della salumeria pugliese: il capocollo di Martina Franca.

In dialetto martinese il prodotto si chiama “chépecùedde” e nel 2001 ha ricevuto il riconoscimento di P.A.T. cioè prodotto agroalimentare tradizionale (Gazzetta Ufficiale del 14/06/2001), mentre nel 2000 è divenuto anche Presidio Slow Food. Quest’ultimo riconoscimento ha determinato la nascita di un’Associazione di Tutela e la redazione di un preciso disciplinare di produzione, in modo da garantire la qualità del prodotto nel rispetto della tradizione, ed evitare di sconfinare in tecniche e tecnologie che poco hanno di tradizionale (e molto di industriale).

La presenza in Puglia di un prodotto come il capocollo di Martina Franca, quindi di un salume crudo, sconfessa e non poco la convinzione che il clima della regione non sia adatto a tali produzioni viste le temperature medie annuali e la rilevante umidità del clima: ma in realtà zone vocate ve ne sono, e tra queste appunto Martina Franca, posta a 450m sopra il livello del mare, caratterizzata da temperature fresche e da ventilazione asciutta favorevole alla produzione e stagionatura del capocollo.

Il capocollo corrisponde in pratica alla coppa, detta appunto anche capicollo in Campania e Calabria, ossocollo nel Veneto, finocchiata a Siena, lonza nel Lazio, lonzino in Marche e Abruzzo, capicollu in Corsica, tutti ottenuti dalla lavorazione della porzione superiore del collo del maiale e da una parte della spalla. E’ evidente perciò che il punto di partenza per l’ottenimento di un capocollo di qualità é il maiale.

Anticamente i suini allevati nel Salento erano portati a Martina Franca per la macellazione e la formazione dei tagli da destinare ai vari tipi di salumi e alla macelleria, in virtù della specializzazione di questo territorio nell’allevamento suinicolo e di conseguenza nella macellazione ed operazioni successive correlate, tra cui la produzione dei salumi vari. Proprio l’alta specializzazione raggiunta dagli allevatori martinesi e dalla manodopera addetta ha consentito di produrre salumi di elevata qualità, giungendo oggi a proporre salumi sempre apprezzatissimi tra cui il capocollo di Martina Franca.

La fama dei salumi di Martina Franca non è recente: infatti già ai tempi del regno di Napoli, quindi nel XVIII secolo, essi erano molto apprezzati e richiesti per dolcezza e profumo.  Già all’epoca sfruttando i boschi (in particolare di fragno - un tipo particolare di quercia - insieme a Leccio e Roverella) molto diffuso nelle Murge) dati in concessione alle diverse famiglie nobili, i maiali (razza locale pezzata) venivano allevati allo stato semibrado, consentendo loro di alimentarsi in particolare di ghiande, essenze spontanee della macchia mediterranea, integrate dai cereali coltivati e da frutta di scarto, come le mele.

Col passare del tempo e delle forme di governo, ai nobili sono subentrati quelli che erano i fittavoli o i mezzadri o i coloni, i quali hanno continuato ad allevare il maiale non in forma intensiva e stallina, ma in modo estensivo e con alimenti naturali, senza integrazione di prodotti industriali.

Oggi il risultato è l’ottenimento di maiali di qualità, non troppo pesanti, con carni non troppo grasse e di grande sapore e profumo, da usare sia come prodotto fresco in macelleria che per la produzione di salumi. Il fragno ha continuato a fornire le ghiande ed è diventato il legno prediletto (insieme al mallo di mandorla) per l’affumicatura sia dei prodotti caseari che dei salumi, come appunto il capocollo di Martina Franca.

Per la produzione del capocollo di Martina Franca si utilizza un pezzo anatomico intero (peso di 2,5-4 kg), costituito da un fascio di muscoli cervicali che si trovano tra testa e inizio della zona vertebrale dell’animale.

Il pezzo di carne prescelto, viene sagomato in modo da assumere la forma di un cilindro allungato, per poi procedere all’aromatizzazione a secco con una miscela di spezie (ovviamente segreto di ogni produttore sia nelle dosi che nella composizione), infine salato con delicato massaggio.

Successivamente si passa alla marinatura (o per meglio dire, un profondo e prolungato lavaggio) in vincotto (prodotto dolce) al quale vengono aggiunte erbe della Murgia (l’operazione è detta di concia). Il pezzo viene quindi posto dentro il budello non sintetico ma naturale (di maiale) e viene lasciato asciugare lentamente in locali ben arieggiati e freschi, per circa 2 settimane.

Quando i capocolli sono perfettamente asciutti si passa all’affumicatura, che ha lo scopo di conservare il prodotto da attacchi di microrganismi nocivi, ricorrendo a corteccia di fragno e altre piante aromatiche della macchia mediterranea; alcuni usano corteccia di querce diverse dal fragno e i malli derivati dalla pulizia di mandorle e noci.

Secondo la tecnica tradizionale l’affumicatura dovrebbe avvenire distribuendo sul pavimento del locale rametti di timo, mortella, alloro, sui quali si appiccava il fuoco facendo ben attenzione che non facessero fiamma. La stagionatura prosegue poi per altri 3-4 mesi, sempre in locali idonei e a una temperatura di 13-15°C. per 15-20 giorni fino a 90 - 120 giorni al massimo.

Il capocollo di Martina Franca si presenta ala fine cilindrico, con peso per pezzo variabile da 0,5 a 1 kg; esteticamente il capocollo ha colore di buccia giallastro, con macchie più o meno diffuse a seconda della durata della stagionatura. Tagliandolo si osserva la morbidezza e compattezza della fetta, senza soluzioni di continuità tra carne e grasso, di colore rosso bordeaux venato di bianco; assaporando la fetta si avverte subito la dolcezza (dovuta al vin cotto) e l’aromaticità dovuta sia alle spezie che all’affumicatura.

In gastronomia il capocollo di Martina Franca si abbina bene al pane cotto in forno a legna, pecorino e fave, ovviamente tutto del medesimo territorio. Ottimo anche l’abbinamento con cipolle al vin cotto, carciofini sottolio, caciocavallo giovane, pomodori secchi, stracciatella di latte e asparagi.

Per quanto riguarda i vini per accompagnare al meglio la degustazione di questo capocollo, ottimi quelli rossi giovani, non troppo strutturati, morbidi, con buona intensità olfattiva, moderatamente acidi e non troppo alcolici in quanto il capocollo è caratterizzato da aromaticità, speziatura, sapidità e tendenza dolce, mentre manca di una vera e propria grassezza, succulenza e untuosità. Ottimi tutti i rossi del territorio pugliese, oltre ai vini rosati vivaci, quindi i vini da vitigni Primitivo, Negramaro, Malvasia nera.


Note bibliografiche e sitografiche

Scritto da Luciano Albano

Laureatosi nel 1978 con lode in Scienze Agrarie, presso l'Università di Bari, si è specializzato nel 1980 in "Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli" presso il C.I.H.E.A.M. (Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici del Mediterraneo) di Valenzano (Bari), ha conseguito nello stesso anno anche l'abilitazione alla professione di Agronomo. Fino al 1/3/2018 ha lavorato alla Regione Puglia nell'Ufficio Territoriale di Taranto, quale Responsabile della P.O. "Strutture Agricole". Appassionato di olio e vino ha conseguito il Diploma di Sommelier AIS nel 2005 e ottenuto nel 2008 l'Attestato di Partecipazione alle Sedute di Assaggio ai fini dell'iscrizione nell'Elenco Nazionale di Tecnici ed Esperti degli oli di oliva extravergini e vergini. Fino al 2018 è stato iscritto all'Albo Provinciale dei Dottori Agronomi e Forestali e come CTU presso il Tribunale di Taranto. Ama il food & beverage e ne approfondisce i vari aspetti tecnici, alimentari e storici

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