La grande abbuffata

Un film che racconta con una grande metafora la società consumistica, il degrado dei costumi, dell’etica, di un’epoca

La grande abbuffata

Marcello (Mastroianni) pilota d'aerei sessuomane, Ugo (Tognazzi) grande chef ma vessato in casa dalla moglie, Michel (Piccoli) presentatore televisivo effeminato con un matrimonio fallito alle spalle e Philippe (Noiret) magistrato integerrimo che vive però da disagiato, ancora con la sua balia, sono i protagonisti de "La grande abbuffata", celebre pellicola di Marco Ferreri.

I quattro amici, delusi dalla vita, decidono di ritirarsi in una villa fuori Parigi, appartenuta al poeta Boileau, con lo scopo di uccidersi mangiando fino a scoppiare, un suicidio “di massa” e di sostanza, nel segno dell’abbuffata. Una storia che, conoscendo la vita reale di alcuni di loro, parrebbe liberamente ispirata. É noto infatti quanto Tognazzi fosse grande appassionato di cucina ma anche ottimo cuoco (autore anche di alcuni libri di ricette).

Fin dalle prime scene, si comprende che il cibo e le esagerazioni faranno da padroni. Vedremo, infatti, Marcello intento a far scaricare dall'aereo enormi forme di parmigiano che serviranno a lui e ai suoi amici nel fine settimana suicida. 

Intanto, arrivati fuori Parigi, i quattro si dedicheranno immediatamente al loro proposito: eccoli infatti già pronti ad una gara all’ultima ostrica tra Marcello e Ugo. Una di quelle scene che al solo guardarla vien da chiedersi se siano davvero riusciti a mangiare tutti quei frutti di mare!

I loro intento suicida viene poi momentaneamente interrotto dall'arrivo di una scolaresca, giunta sul posto per visitare la casa del celebre poeta Boileau. L'intera classe, compresa l'insegnante, diviene ospite del pranzo, occasione, neanche a dirlo, per mangiare fino allo sfinimento, ma anche momento di sfogo per Ugo e la sua arte culinaria.

Affascinati dalla sensuale maestra Andrea, i quattro decidono di invitarla per la cena, a cui però decidono di aggregare, all’insaputa dell’insegnante, anche alcune prostitute. La serata diverrà un incontro al limite del consentito, tra il boccaccesco e il pantagruelico, come nella scena in cui Marcello mangia famelico un cosciotto di maiale con una mano, mentre con l'altra afferra i seni di una ragazza. Un subsquallore nello squallore, dove il cibo diventa protagonista del piacere e, insieme al sesso, delle fantasie più sfrenate dei protagonisti. 

Il film intanto comincia a prendere la piega più cupa proprio a fine di questa serata più spinta, gli attori infatti, cominciano pian piano a morire, secondo “desiderio”.

Il primo ad andarsene è proprio Marcello che a seguito dell'abbuffata subisce di un calo della libido, che per un sessuomane come lui, rappresenta una sofferenza incolmabile nonché la fine più ingloriosa. Decide dunque di lasciare la villa e gli amici, rendendosi conto della grande farsa a cui aveva partecipato. il destino però, non lo aiuterà. Verrà  travolto da una bufera di neve, morendo assiderato e solo. Quando gli amici lo toveranno, decideranno di sistemarlo all’interno di una cella frigorifera.

Secondo a morire è Michel, satollo e letteralmente gonfio fino a scoppiare, se ne andrà in una maniera immonda: tra flatulenze ed eccesso di meteorismo. Ugo e Philippe, ancora in vita, lo sistemeranno in frigo accanto a Marcello.

Ugo morirà poco dopo, con le coronarie ostruite dal grasso dopo aver mangiato, fino allo sfinimento, un piatto a base di tre tipi di fegato (oca, pollo, e anatra), da lui stesso preparato e rifiutato per tutto il tempo dagli amici. Un’offesa alla sua arte che non aveva voluto perdonare. 

Per omaggio alla sua passione, Andrea (l'insegnante) e Philippe, decidono di lasciarlo esposto sul tavolo della cucina, da sempre il suo regno. 

L'ultimo a morire sarà Philippe, lui, diabetico, che ha vissuto la sua vita con ostentata e esagerata rettitudine, allontanandosi da ogni desiderio sessuale, muore in maniera oltraggiosa persino al suo pudore, coperto di libido, mangiando una torta a forma di seni di donna e posando il volto tra quelli veri di Andrea.

La fine dunque, arriverà per tutti, realizzando così il loro proposito di lasciare la terra per sempre, e per sempre sazi.

La grande abbuffata è, forse, la storia più provocatoria, che sia mai stata portata sugli schermi. Fulcro della vicenda sono tre elementi essenziali: il sesso, il cibo e la morte. Quando nel lontano ‘76 la pellicola fu presentata al Festival di Cannes fece scandalo. Fischiata fin dal principio, creò non poche polemiche per le scene molto licenziose ed esplicite.

Eppure, come sempre accade per i film in anticipo sui tempi, il messaggio di fondo è in realtà una grandissima invettiva alla società borghese dell'epoca: sprecona, gretta ed ipocrita.

Tutto è grottesco in questa pellicola, le scene sono molto volgari (donne che affondano le mani in enormi dessert con i loro seni in bella mostra, scene di sesso con i corpi unti da cosce di tacchino). Il cibo viene sporcato dal sesso, l'esagerazione nella quantità di pietanze crea quasi fastidio come la cupola di San Pietro fatta di patè d'oca ridicolmente Kitsch ed ovviamente preparata da Ugo.

Solitamente nei film il cibo, è esaltato nella sua massima espressione, nei dettagli, nelle macro che esaltano la perfezione, tutto il contrario di questo film dove invece viene degradato, maltrattato anche se resta veicolo di messaggi importanti. Attraverso lo stesso infatti, i personaggi tornano ad un stato animalesco, quasi primordiale, gli amici per l'intera durata della pellicola non fanno altro che mangiare, fare sesso, per poi giungere alla morte. Una grande metafora della distruzione dell'uomo e della società, che quattro magnifici attori valgono la pena di una visione.

Ferreri è un gran maestro, furbo e sregolato, che ha reso memorabile questo film anche nelle scene più trash come quella in cui Michel suona il piano accompagnato dal rumore del suo meteorismo. Non è un caso che lo sketch è stato ripreso da molti altri registi tra cui anche “Ciprì e Maresco”, che è a mio avviso, in modo palese, lo traspongono nel personaggio di “Paviglianiti”.

Gli attori poi sono delle leggende in tutto e per tutto. Quattro interpreti d'eccezione, che grazie alla loro magistrale recitazione aiutano regista e pellicola a non scadere nel genere “pecoreccio” che in quegli anni mieteva gran successo di pubblico.

Se posso essere sincera, in prima battuta, il film non mi piacque. In alcuni punti mi risultava sgradevole, forse anche nel modo in cui il cibo veniva rappresentato. Ma poi, ad una seconda visione, ho compreso che una critica così feroce della società, del consumismo e dell'uomo moderno poteva esternarsi perfettamente attraverso quell' orribile, sporca, grande abbuffata. Un colpo di genio che solo dei maestri come loro, avrebbero potuto regalare all’Italia.

In conclusione, questa pellicola non è per tutti, è certamente un film per palati e stomaci forti ma necessariamente da vedere.

Ha due passioni: la cucina ed il cinema.

La prima, quella per il cibo, di qualità, viene da lontano, quando da bambina trascorreva ore a guardare la nonna ai fornelli. Era "la regina della genovese", piatto della tradizione culinaria partenopea, il suo preferito, anche se alla fine era bravissima in tutto, cucinava come un chef…anzi, come la sua “chef personale”.

La buona cucina man mano è diventata per lei una passione imprescindibile, forse più un vizio, un piccolo momento personale di pace e serenità. E poi c'è proprio il cinema, che vive al limite di una "malattia”, tra dvd, libri e riviste specializzate che saturano l'aria e la luce della sua casa, e costituiscono ben più della cornice di un’autentica passione. 

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