Perché anche mangiare è una questione di savoir faire! Ecco le regole più basilari da ricordare per rispettare il galateo
C’è una differenza tra prugne e susine? Ma soprattutto, da dove provengono e quali sono le loro proprietà?
Quante volte di fronte a una bancarella del mercato ci siamo trovati di fronte alle susine e alle prugne, ritenendo che si trattasse di due frutti derivati da piante diverse, tanto da essere magari corretti dal fruttivendolo o dall’amico saccente che ci diceva trattarsi di prugne e non di susine, o il contrario?
Tutto falso: prugna e susina sono la stessa cosa in quanto derivano dalle piante del genere Prunus, soltanto che alcune varietà derivano dal Susino o Pruno europeo (Prunus domestica, comprende le Regine Claudie, le Diamantine e le Prugne vere), altre dal tipo giapponese (Prunus salicina), altre dal tipo cinese (Prunus simonii), altre ancora dal tipo siriaco (P. insititia, che comprende Mirabelle, Damaschine e San Giuliane, che fa da portinnesto), altre dal mirabolano che fa anche da portainnesto (P. Cerasifera: vi appartengono le Prugne ciliegia e le Marianna, altro portinnesto) e da tanti ibridi tra queste specie diverse ma molto simili tra loro, innanzitutto dal punto di vista genetico. Sono tutte piante della famiglia delle Rosacee, base per la produzione sia delle pomacee che delle drupaceee.
Esiste anche il prugno o susino americano (P. americana e P. angustifolia) poco interessante per la coltivazione. E’ facile intuire che la parola prugna deriva da Prunus, mentre per quest’ultimo termine bisogna sapere che deriverebbe dal greco pyrsos (cioè rosso come il fuoco che arde); invece il termine susina deriverebbe da Prunus salicina di origine giapponese. Alcune cv sono autofertili mentre altre non lo sono (autoincompatibili) per cui nell’impianto bisogna prevedere piante da fecondare e piante che forniranno il polline che feconda. L’impollinazione è entomofila e in minima misura anemofila.
A livello pratico possiamo però dire che è uso comune indicare con il termine susina il frutto fresco, tondeggiante, un po’ liquescente, con buccia che si deturpa facilmente con gli urti anche nella borsa della spesa, con polpa che non si stacca dal nocciolo, dal gusto un pochino acidulo, difficile da conservare sia a livello domestico che industriale, mentre riserviamo il termine prugna a quei tipi di susine fresche, dalla polpa compatta, che si stacca dal nocciolo, che ha buccia resistente ai trasporti e non si ammacca facilmente, che si conserva bene in frigo, che viene usata anche dalla industria, specialmente per la produzione delle famose prugne secche. Il colore della polpa sia per prugne che per susine varia dal bianco al giallo al rosato al rosso. Alcuni erroneamente ritengono che susina sia il frutto fresco e prugna quello essiccato.
Citare le cultivar più diffuse di prugne risulta difficile, perché sono equamente divise tra quelle europee e quelle cino - giapponesi, ma anche perché non troviamo quasi mai indicata nei negozi o sulle bancarelle la varietà che stiamo acquistando. Diciamo però che alcune cv (es. Agostana) sono adatte per ottenere liquori e confetture, altre per l’essiccazione (es. Petit D’Agen francese IGP dal 1992, Stanley, Sugar e altre).
L’origine del susino, per quanto sin qui detto, non può essere posta in un luogo unico, anche se taluni affermano l’origine caucasica, da cui si sarebbe poi diffusa in Siria, nel Mediterraneo grazie ai Romani, e poi in tutta Europa grazie al ritorno dei Crociati nelle proprie terre. Plinio il Vecchio (vissuto dal 23 al 79 d.C.) la descrive nella sua Naturalis Historia, già al tempo dei Romani (che lo introdussero nel bacino del Mediterraneo), ma le notizie sulla pianta e i suoi frutti si trovano in ritrovamenti risalenti a 2000 anni a.C. La coltivazione si sviluppò nel Rinascimento (metà del 1300 e fine del 1500, secondo alcuni invece tra il 1492 e tutto il 1600), ma l’industrializzazione della coltura, in Italia, è avvenuta nei primi decenni di questo secolo, con l’introduzione delle cultivar ottenute da Burbank, negli Stati Uniti, attraverso il lavoro di miglioramento genetico.
Attualmente la coltivazione del susino è principalmente diffusa in Europa, seguita da Asia, America del Nord, America del Sud, Africa e Oceania; la produzione mondiale è pari a oltre 16 milioni di tonnellate, mentre la superficie coltivata si aggira sui 4,3 milioni di ettari. Il principale produttore è la Cina (6 milioni di tonnellate), seguita da Francia a notevole distanza (210.000 tonnellate) e Italia (172.000 tonnellate). In Italia la superficie a susineto si aggira sui 14.200 ettari, distribuiti tra Emilia-Romagna (oltre 5.000 ha), Campania (circa 3.000 ha), Lazio (sui 1.000 ha), Piemonte, Basilicata, Sardegna, Sicilia, Abruzzo, Veneto, Puglia, Toscana (solo 300 ha).
La raccolta delle susine/prugne per il consumo fresco viene fatta a mano perché si tratta di frutta delicata e facilmente deperibile, mentre quella delle susine destinate all’industria (del tipo prugna, anche sempre di susina si tratta) può essere effettuata anche a macchina perché i frutti sono molto resistenti agli urti. In media un pruneto o susineto produce circa 20 – 30 tonnellate di frutta per ettaro, la cui destinazione maggiore è quella industriale per l’essiccazione. Per tale destinazione i frutti devono essere raccolti ben maturi, in modo da avere poi una elevata concentrazione zuccherina dopo l’essiccazione. Quelli per il consumo fresco possono essere invece raccolti un po’ meno zuccherini in quanto maturano nei giorni successivi, e se raccolti già perfettamente maturi sono molto soggetti alla deperibilità nei trasporti data la delicatezza della pelle e della polpa.
L’essiccazione avviene in tunnel ad aria calda, in cui i frutti vengono portati a un contenuto di acqua del 16-18% (contro l’88 di partenza), conservati in magazzini a temperatura ambiente. Prima dell’essiccazione i frutti vengono scottati in acqua a 60°C per 20 minuti (o alternativamente in soluzioni acquose molto diluite di composti solforati di potassio). Successivamente le prugne si pongono nel tunnel sotto flusso di aria calda alla temperatura di 50°C – 65°C e tempi che variano da 15 a 30 ore, in funzione di diversi parametri (umidità finale che si vuole ottenere, grossezza dei frutti, frutti interi con nocciolo o denocciolati, frutti denocciolati e divisi, massa totale da disidratare nell’unità di tempo, velocità del procedimento). Gli impianti possono essere di tipo continuo (alimentati senza interrompersi mai) e di tipo discontinuo (bisogna ricaricare un serbatoio di frutta).
Le prugne possono essere essiccate anche a livello domestico (intere, a metà senza nocciolo) con diversi procedimenti (al forno o al sole) facilmente consultabili in vari siti web.
Il confezionamento avviene in sacchetti sotto vuoto, preceduto da una reidratazione a vapore del prodotto secco, fino a un contenuto massimo di umidità del 32%, in modo da essere morbide in bocca e non quasi coriacee come quelle che si ottengono a livello domestico. Ovviamente affinché la reidratazione non apra le strade a muffe e batteri, alle prugne essiccate industrialmente, con o senza nocciolo, (tipiche le californiane) vendono aggiunti additivi vari (antiossidanti, conservanti, stabilizzanti; da temere l’uso dell’anidride solforosa, utile ma dannosa per la salute se si esagera nel consumo o nell’industria preparatrice). Altre destinazioni delle susine sono: produzione di confetture, distillati (famosa l’acquavite svizzera e belga di prugne Mirabella, il famo Slivovitz della Serbia e in genere grappe di prugne), liquori (sia con prugne secche che fresche, quindi non con il tipo susina che non può macerare agevolmente) e sciroppati.
Dal punto di vista nutrizionale 100 g di susine corrispondono a 89 g di parte edibile, apportano solo 36 kcal, insieme a 88g di acqua, 0,5 g di proteine, 0,1 g di grassi, 8.9g di zuccheri, 2,1 g di fibra, 2 mg di sodio, 190 mg di potassio, 13 mg di calcio, 0.2 mg di ferro, oltre a vitamine A, B1, B12 e C. L’apporto calorico passa a 220 kcal/100 g di prodotto per le prugne secche, con ovvia concentrazione dei vari componenti esposti per quelle fresche. Sono quindi una buona fonte di potassio, di vitamina A e antiossidanti come la vitamina C. Fresche o secche regolarizzano la peristalsi intestinale e la funzionalità epatica (maggiore e agevolata produzione di bile), oltre a essere energetiche (specialmente se secche), diuretiche, lassative, disintossicanti e decongestionanti. Un uso frequente delle prugne durante il periodo di prodotto fresco (estate) e di quelle secche in fuori stagione apporta grandi benefici alla pelle, proteggendola dall’invecchiamento precoce, dalle rughe e dall’acne.
In cucina con le prugne possiamo preparare ottime confetture, crostate, strudel, e saranno ottime per accompagnare secondi piatti a base di carne. Ad esempio, nella cucina del Marocco si preparano ottimi stufati in tajine a base di agnello e prugne essiccate (che si reidratano lentamente con i succhi della carne in cottura; occhio però ad aggiungerle solo dopo metà cottura, affinché non si sfaldino eccessivamente ma restino integre). A tanti piacciono anche le prugne avvolte in fette di pancetta e cotte al forno, ma si possono preparare anche altri ottimi matrimoni carnei come spiedini di carne e prugne, spezzatini di maiale con le prugne, bocconcini di pollo con prugne. Originale anche utilizzare le prugne per le torte salate (farcendole con formaggi, prugne ed erbe aromatiche) e dolci, come i deliziosi muffin alla birra con prugne e noci!
Note bibliografiche
- Il manuale dell'Agronomo, Ed. REDA
- Baldini, Coltivazioni Arboree, Edagricole
- Valli – Schiavi, Coltivazioni erbacee, Edagricole
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