Secondo i dati forniti da NPD Group, l’offerta ristorativa nazionale tornerà presto ai livelli pre-crisi
Quando si dice “quinto quarto” non si intendono solo le interiora, ma tutte le parti commestibili di recupero degli animali: riscopriamole insieme
Le frattaglie (di cui persino il signor caviale fa parte) appartengono a quei cibi di recupero della macellazione animale, un tempo tanto usati con grande rispetto, oggi appannaggio quasi esclusivo di chi quei sapori li ha vissuti e li ricorda, di chi sa trattare il quinto quarto ad arte nella cottura, in una vera sapienza che necessita di sopravvivere ed essere tramandata.
Oggi di queste parti animali si fa un uso molto ristretto, tale da renderle gastronomicamente quasi un cult, una ricercatezza, un elemento distintivo per veri gourmet, alla ricerca della cucina tradizionale quale espressione delle vicende storiche, sociali ed economiche dei vari secoli, e non più un cibo del popolo.
Mangiare preparazioni a base di frattaglie era nel passato una necessità alla quale le classi povere non potevano sottrarsi, visto che non potevano acquistare i tagli di carne fresca, per cui ci si procurava gli scarti della macellazione, aspettando il giorno della settimana in cui questa era effettuata (per non dire che molti macellai pagavano i propri addetti con tali parti di scarto). Diciamo però che anche molte famiglie benestanti finivano per consumare le frattaglie, dopo aver visto ciò che il personale di servizio riusciva a preparare con esse, portando come ingrediente in cucina tutto il sapere popolare, l’estro e la fantasia, impiegando ortaggi, grassi e odori a buon mercato.
Alla fine preparavano veri da “piatti da re”, tanto da coniare per le frattaglie di pollo il termine rigaglie o regaglie, che vuol dire appunto “regalia” (nel nostro caso per i poveri) ma anche “degno di un re”, concetto che possiamo tranquillamente estendere a tutte le frattaglie ancor più che a quelle avicole.
Certo il declino della cucina a base di frattaglie è dovuto anche dall’aspetto non sempre invitante che hanno da crude (e talvolta anche da cotte), dal timore di malattie trasmesse al consumatore, alla difficoltà digestiva intrinseca (aumentata magari dai condimenti aggiunti nelle ricette), ma principalmente per il miglioramento delle condizioni economiche medie, elemento che conduce a escludere ciò che è scarto della macellazione. In buona sostanza: non si comprende perché alimentarsi di uno scarto se ci si può permettere di acquistare carni e altri cibi “di prima categoria” a prezzi ormai accessibili a tutti (grande conquista della rivoluzione industriale, anche se spesso a detrimento della tanto decantata “qualità”…).
Questo ha fatto sì che sia scomparsa anche la conoscenza di come cucinare le frattaglie, che unita agli elementi precedenti ha determinato il declino delle pietanze a base di frattaglie. Una rivalutazione potrebbe avviarsi (ma questo ancora non si vede all’orizzonte) non tanto dalle considerazioni storiche/sociali/economiche sull’argomento (se le frattaglie non piacciono, non piacciono e basta!), quanto dalla diffusione di notizie positive a loro riguardo, come per esempio che per la nutrizione contengono composti funzionali alla salute e alla prevenzione di malattie (ferro, zinco, cromo, rame, selenio, oltre a vitamina A, B varie e D, acidi nucleici e nucleotidi, acidi grassi essenziali, lecitine, ecc.); che non rappresentano un attentato alla linea dato che l’apporto calorico non è eccezionale, e l’unica attenzione deve essere rivolta essenzialmente al contenuto di colesterolo (nel cervello di bovino 2.000 mg/100g di alimento, nel fegato di pollo 746, nelle animelle di bovino 466, ecc.), il che comporterebbe solo di non consumarne con eccessiva frequenza. Altra notizia che andrebbe diffusa con i moderni media è che le frattaglie sono super controllate dal punto di vista sanitario, per cui non sono da temere infezioni.
Fatte queste piccole considerazioni, dedichiamoci ad approfondire la definizione e la classificazione delle frattaglie. Possiamo definire “frattaglia” tutto ciò che dopo la macellazione dovrebbe essere eliminato in quanto residuo non commercializzabile. Ci troviamo di fronte al cosiddetto quinto quarto, una chiara assurdità aritmetica che, però, rende bene l’idea che dopo aver macellato l’animale resta qualcosa di utilizzabile, specialmente quando l’intelligenza è stimolata dalla fame. Questo è quello che è accaduto alle frattaglie, con le quali tanti hanno saputo creare preparazioni sapide, gustose, profumate, particolari, da veri buongustai.
A parte la distinzione in “chiare” e “scure” (colore dovuto al contenuto di sangue), le frattaglie possono classificarsi in interne (al corpo) ed esterne (al corpo), anche se nel gergo popolare sono le prime ad essere chiamate propriamente frattaglie, termine che si trasforma in rigaglie o regaglie se di pollo, tacchino o altri volatili da cortile e selvatici (cuore, fegatini, ventriglio cioè lo stomaco, bargigli, creste) e coratella se derivate da ovicaprini (cuore, fegato, polmone, intestini, midollo, per classiche preparazioni alla griglia o in padella).
Le frattaglie interne sono certamente le più note, data la loro presenza praticamente in tutte le cucine regionali italiane: fegato (famoso alla veneziana), milza (invero poco usata, ma se accade si unisce al fegato), cuore (alla griglia, in umido, arrosto), polmone (preventivamente bollito, si cucina spesso con sugo ricco di cipolla, alloro e peperoncino), animelle (cioè il timo – classico al burro in tegamino - a cui molti aggiungono le ghiandole salivari e il pancreas), rognoni cioè i reni (da consumare freschissimi, cotti alla griglia, al burro, ecc.), cervello (impanato e fritto, previa bollitura), midollo osseo (dalle ossa lunghe, per il risotto alla milanese), midollo spinale o filone (dalla colonna vertebrale, usato per es. nella cima alla genovese al posto del cervello), ossa per il brodo, sangue (per sanguinaccio inteso come salume e come crema dolce al sud), stomaco (dei volatili, dei bovini per i quali si parla di trippe, del maiale per il quale si parla di trippini; tante le ricette tra cui famoso il lampredotto fiorentino), diaframma (molto usato per i bambini vista la tenerezza e la ricchezza di ferro), intestini (esempio tipico la pajata romana), velo (o rete) addominale (per avvolgere i famosi fegatini e gnumarieddi pugliesi), la coda di manzo (si pensi alla famosa coda alla vaccinara dei romani), lingua di vitello (famosa quella salmistrata), utero delle manze e bottoni della placenta di vacca (usati come bolliti)
Le frattaglie esterne sono meno note perché presenti soltanto in alcune cucine regionali: si annoverano tra di esse cute della testa di vitello (dopo la separazione viene arrotolata e cotta), testina di agnello e capretto (divisa a metà, viene cotta in teglia con patate), masseteri (muscoli delle guance, come ad esempio i guanciotti di asino in uso in quel di Asti per farcire ravioloni e preparare stufati), zampette di maiale (per zampone ecc.), orecchie di maiale (tanto amate fritte in Spagna), cotenne di maiale (per cotechini ecc.), mammelle bovine (fritte, lesse, in umido con patate, ecc.), testicoli di toro e di cavallo (lessati, affettati e poi impanati e fritti).
Avremo modo prossimamente di affrontare più profondamente le caratteristiche e le modalità di trattamento e cottura di alcune tra le frattaglie più consumate e diffuse: nel frattempo, cliccate qui per leggere il nostro approfondimento sulla trippa.
Note bibliografiche
- AA.VV., La cucina delle carni da non dimenticare, Ed. Accademia Italiana della Cucina
- P. Puddu, Il Quinto quarto, Ed. Atesa
- E. Volterrani, Frattaglie, BluEdizioni
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