Perché anche mangiare è una questione di savoir faire!
Nella Città Eterna, un tempo l’Epifania era una “pasqua”, fulcro di feste, riti religiosi, regali e tradizioni… anche gastronomiche
“Er giorno de Pasqua Bbefanìa che vviè a li 6 de gennaro da noi s’aùsa a ffasse li rigali”
Così scriveva Giggi Zanazzo nel 1908 nella prima edizione del suo libro Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma. Non c’è da meravigliarsi se si legge la parola “Pasqua” precedere “Bbefanìa”: a quei tempi (e ancora oggi in alcune zone d’Italia) era usanza comune definire con questo termine qualsivoglia festività religiosa importante dell’anno. E a Roma, quella dell’Epifania era particolarmente sentita, intrecciando la propria essenza anche con tradizioni legate agli alimenti che venivano proposti in dono in questa occasione.
La Befana a Roma, in particolare in epoca ottocentesca, rappresentava un imperdibile momento di socialità e condivisione nella dimensione popolare: diversi scrittori del tempo hanno lasciato testimonianza scritta, in particolare, di quanto avveniva ogni anno il 6 gennaio in Piazza Sant’Eustachio (che dà il nome anche al rione nel cuore della capitale) e nei vicini vicoli che si riempivano di bancarelle. Qui una folla di gente si riuniva a far festa fra le botteghe aperte che garantivano giochi, vino, dolciumi e riproduzioni grottesche della vecchina “simbolo pagano” per eccellenza dell’Epifania.
Fu in seguito all’Unità d’Italia che questa tradizione mutò sede, spostandosi presso Piazza Navona, che sin dal secolo precedente ospitava un grande mercato cittadino fra i più celebri. Ma c’era un altro luogo la cui storia s’intrecciava con la tradizione romana dell’Epifania: era l’Ara Coeli, la chiesa che sorge sul colle del Campidoglio.
Un’antica usanza e credenza locale narra che per vincere al gioco del Lotto occorra salire in ginocchio la scalinata posta all’entrata della Basilica (che consiste di 124 gradini) recitando una preghiera per le anime del Purgatorio e invocando (guarda caso) i Re Magi. Ma ancor più significativa è la leggenda che coinvolge il Bambinello del presepe allestito nell’Ara Coeli: scolpito pare alla fine del Quattrocento da un francescano che utilizzò legno di ulivo originario dell'Orto del Getsemani in Terrasanta, era particolarmente venerato dal popolo romano, poichè considerato miracoloso.
Si narra che le sue labbra divenissero rosse o più pallide a seconda che volesse mostrare il sopraggiungere di una grazia o la perdita della speranza; i fedeli lo tenevano avvolto in fasce di tessuto dorato, onorandolo con continui doni. Nel 1994, “Er Pupo dell’Ara Coeli” è stato trafugato: oggi se ne ritrova solamente una copia all’interno della Basilica. Un triste avvenimento che ha cancellato la testimonianza originale di un'antica tradizione: ogni 6 gennaio fino al secolo scorso per l’Epifania la statua veniva portata in processione per tutta la città in segno di simbolica benedizione a tutti i suoi abitanti.
Ma tornando a ciò che si consumava gioiosamente tra Piazza Sant’Eustachio e le mura domestiche nell’Epifania a Roma, sempre Zanazzo, nel suo volume che è un vero documento storico, racconta che i doni se li scambiavano proprio tutti, ma in particolare i protagonisti come ancora oggi erano i bambini. Riprendendo la sua frase riportata a inizio articolo: “Ma ppiù de tutti s’aùsa a ffaje a li regazzini. Oltre a li ggiocarelli, a questi, s’aùsa a ffaje trovà a ppennolone a la cappa der cammino du’ carzette, una piena de pastarelle, di fichi secchi, mosciarèlle, e un portogallo e ‘na pigna indorati e inargentati; e un’altra carzetta piena de cennere e ccarbone pè tutte le vorte che ssò stati cattivi”.
Il carbone dunque si riceveva davvero, non era di zucchero, e pare lo ricevessero tutti e non solo i più cattivi! L’arancia, i fichi e le castagne secche fanno respirare al sol pensarli riuniti in una calza ai profumi, ai sapori e alla semplicità che tanto rendevano felici i bambini e che dovremmo fargli riscoprire anche oggi, magari se non proprio “al posto” quantomeno “accanto” al cioccolatino o alla caramella preferita, ciascuno in base alle proprie tradizioni regionali, per contribuire alla crescita di palati che sappiano distinguere i “sapori omologati” da quelli più sinceramente, assolutamente artigianali e tradizionali della propria terra.
Fonte: Rerum Romanarum
Scritto da Sara Albano
Laureata in Scienze Gastronomiche , raggiunta la maggiore età sceglie di seguire il cuore trasferendosi a Parma (dopo aver frequentato il liceo linguistico internazionale), conseguendo in seguito alla laurea magistrale un master in Marketing e Management per l’Enogastronomia a Roma e frequentando infine il percorso per pasticceri professionisti presso la Boscolo Etoile Academy a Tuscania. Dopo questa esperienza ha subito inizio il suo lavoro all’interno della variegata realtà di Campoli Azioni Gastronomiche Srl, , dove riesce ad esprimere la propria passione per il mondo dell'enogastronomia e della cultura alimentare in diversi modi, occupandosi di project management in ambito di promozione, eventi e consulenza per la ristorazione a 360°, oltre ad essere referente della comunicazione on e offline di Fabio Campoli e parte del team editoriale della scuola di cucina online Club Academy e della rivista mensile Facile Con Gusto.

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