Sulle orme di Apicio

Ripercorrendo le tradizioni culinarie dell’antica Roma

Sulle orme di Apicio

Il rinato interesse intorno al piacere del cibo, della buona cucina e della sua conoscenza si può denotare anche da un’attenta osservazione degli scaffali delle librerie, sui quali oramai pullulano ripubblicazioni di successo di diverse vecchie pubblicazioni. Tra queste, non vi sarà ormai troppo difficile ritrovare gli antichi scritti gastronomici dello scrittore romano Apicio

Questo personaggio è stato, se così possiamo dire, una sorta di “primo precursore” dell’Artusi, dal momento che il suo intento è stato quello di raccogliere in diversi volumi tante ricette di uso comune nell’antica Roma, con particolare riferimento al periodo in cui era imperatore Tiberio (dal 14 a.C. al 37 d.C.). Apicio in tutta probabilità visse tra il I sec. a.C. e il I secolo d.C.: ci riferiamo a Marco Gavio Apicio, visto che di personaggi gaudenti con tale nome ve ne sono altri due, citati sia da Plinio il Vecchio che da Marziale. 

Apicio può essere definito non solo come uno scrittore di arte culinaria, perché fu certamente lui stesso cuoco e gastronomo, amante delle golosità del tempo ma ancor più dello sfarzo e della ricercatezza dei pranzi romani, sia a livello di preparazione delle pietanze, che della loro presentazione. Apicio raccolse le sue ricette in ben dieci libri, in ognuno di quali trattava uno specifico argomento. 

Il titolo dato all’opera fu De Re Coquinaria (L’arte della cucina), ma a quanto pare quest’ultima è databile intorno al 385 d.C., quindi quando il nostro Marco Gavio Apicio era già deceduto. A proposito: sembra che egli sia morto disperato, in quanto consapevole di non avere più tanta ricchezza da soddisfare il tenore sfarzoso della sua vita a tavola, ricca di amici, nobili e politici dell’epoca. 

L’opera fu ristampata nel 1400 divenendo tra i primi libri di cucina di riferimento per i cuochi del tempo. Proprio per l’intervento di più mani sul testo di base, la raccolta è disorganica nel suo insieme, in quanto ciascun libro dell’opera tratta argomenti distanti tra loro.

L’autore della pubblicazione postuma ha quindi raccolto delle ricette in un libro, firmandosi poi col nome di Apicio, non solo perché ricollegate agli scritti del vero Apicio, ma anche perché con il nome di “apìci” si indicavano nell’antica Roma proprio quelle persone molto legate ai piaceri della cucina e allo sfarzo della tavola. Nei dieci libri vi sono chiari riferimenti medicali, per cui si deduce che chi ha raccolto le ricette lo ha fatto anche per parlare di medicina, e non solo della cucina. 

Il libro di Apicio, a differenza della più moderna opera artusiana, ci parla di una cucina certamente non del popolo ma soltanto dei ricchi, capaci di rifornirsi di aromi naturali ed ingredienti strambi quanto molto costosi (lingue di pappagallo parlante, calli di dromedario, creste di volatili vivi).

Come si può notare sfogliando le sue ricette, nella cucina descritta da Apicio fondamentali sono le salse come il garum o liquamen a base di pesce (similare alla colatura di alici) e il defrutum cioè mosto cotto e condensato, accanto ad i condimenti in genere, come miele e posca (una miscela di acqua e aceto). 

Largo è anche il ricorso a spezie (pepe, coriandolo, cumino) ed erbe aromatiche (finocchio, sedano, levistico). Sembra quasi che l’elemento fondamentale del piatto (carne, pesce, verdure o uova) sia meno importante dell’arricchimento con tali odori e sapori; certamente ciò derivava dalla necessità di eliminare molti difetti delle pietanze – sia in fatto di colore che di odore e sapore - dovuti alla mancanza della catena del freddo e alla cottura portata avanti in modo superficiale, spesso appena accennata, accanto ad una fantasia culinaria molto poco ragionata, con accostamenti improvvisati dalla fantasia del cuoco (o meglio, da ciò che si aveva realmente a disposizione nei tempi passati, esenti dal fenomeno della globalizzazione di cose e persone). 

La notorietà del personaggio di Apicio ha alimentato nel corso dei secoli un numero consistente di aneddoti e dicerie, molte delle quali si rivelano difficili sia da credere, che da dimostrare o da sfatare. Si dice, ad esempio, che nutrisse le murene con la carne degli schiavi e i maiali con il mosto dolce, per ottenerne un fegato dal gusto particolare. 

Secondo Plinio il Vecchio, Apicio sarebbe l’inventore del foie gras: sembra infatti che il cuoco romano alimentasse le sue oche con abbondanza di fichi per rendere il loro fegato più grasso e quindi più gustoso. Un’altra delle invenzioni che gli si attribuisce è la salsa di Apicio, o esca Apicii, un condimento molto diffuso e in voga ai suoi tempi (ed è la salsa che si cita nelle ricette riportate), da cui sarebbe derivata la moderna scapece (dal latino ex Apicio), termine con cui si indicano oggi pietanze di vario tipo condite e marinate nell’aceto. 

In ogni caso, Apicio ha dato inizio ad un lavoro che diversi secoli dopo sarà affrontato dall’Artusi con la sua Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene (nel tentativo di rappresentare in un testo culinario le tradizioni della cucina italiana), e vanno tutte perdonate le sue imperfezioni se si pensa che al tempo dell’Antica Roma anche tra i ricchi patrizi le conoscenze gastronomiche erano poche e ci si basava solo sull’estetica del cibo e sulla necessità di nascondere i difetti delle preparazioni, senza per questo rinunciare alla scenografia delle portate, tanto importante per dimostrare la propria ricchezza e posizione sociale.

Concludiamo con alcune delle ricette che ci hanno incuriosito di più sfogliando una recente ristampa. 

Salsa piccante (hypotrimma): pepe, levistico, menta secca, pinoli, uva passa, cariota (frutto di un particolare tipo di palma), formaggio dolce, miele, aceto, salsa, olio, vino, mosto cotto e vino riscaldato.

Cime e fusti di cavolo (cymas et caulicolos): condisci le cime con cumino, sale, vino vecchio e olio. Se vuoi aggiungi il pepe, il levistico, la menta, il coriandro, le foglie dei broccoli, la salsa, il vino e l’olio. Altro modo: taglia a metà i broccoli lessati e trita le punte delle foglie insieme a coriandro, cipolla, cumino, pepe, passito e mosto cotto, poco olio. Altro modo: i broccoli lessati e messi nel tegame siano conditi con salsa, olio, vino puro, cumino. Cospargi di pepe. Affettaci sopra un porro con cumino e coriandro verde.

Sfondili (spugnole - funghi) (sphondyli): sono funghi che si mangiano fritti in salsa acida di vino. Altro modo: lessati vanno conditi con sale, olio, vino puro, coriandro verde sminuzzato e pepe intero. Altro modo: cospargi sugli sfondili lessi la salsa d’amido che ora descrivo: trita semi di sedano, ruta, miele, pepe, con passito, salsa e poco olio. Condensa con amido e cospargi di pepe e porta in tavola. Alltro modo: trita il cumino, la ruta, la salsa, poco mosto cotto, olio, coriandro verde e un porro. Puoi servire gli sfondili come se fossero sotto salsa. Altro modo: lessi gli sfondili e mettili nel tegame con olio, salsa e pepe; colora con il passito e condensa con l’amido. Altro modo: condisci gli sfondili con olio e salsa e friggili in olio, cospargi di pepe e servi, dopo averli salati.
 

Note bibliografiche e sitografiche

  • P. Strano, La cucina di Apicio, Ed. Bonanno
  • F. Introne, Antica cucina romana di Apicio,  Ed. Rusconi
  • A. Abate, Da Apicio a Scapece, Ed. Valtrend
  • Rivista Persefone del liceo Aristosseno di Taranto, N. 6/2006
  • www.bibliolab.it
  • www.taccuinistorici.it

Scritto da Luciano Albano

Laureato con lode in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Bari nel 1978, ha svolto servizio come dirigente del servizio miglioramenti fondiari della Regione Puglia presso l’Ispettorato Agrario della città di Taranto. Appassionato di oli e vini, ha conseguito il diploma di sommelier A.I.S. e quello di assaggiatore ufficiale di olio per la sua regione

Specializzato in Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli presso il C.I.H.E.A.M. di Bari (Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Mediterraneennes)" . Iscritto all'Ordine dei Dottori Agronomi della Provincia di Taranto. Iscritto nell'Albo dei C.T.U. del Tribunale Civile di Taranto

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