Non solo dolci: le nocciole sono una deliziosa frutta secca ideale anche per pietanze salate. Scopriamo quali ingredienti esalta al meglio!
La tendenza di chiedere al ristorante un piatto vegano è in aumento, ma anziché criticarla occorrerebbe imparare a gestirla
“Cameriere, non mangio né carne e né pesce, né uova, né latte e derivati: cosa mi consiglia?”
“Un taxi”
È questo il tenore di diverse battute nelle quali ci si imbatte sempre più spesso sul web. L’attacco è chiaramente diretto ai vegani che si recano in ristoranti dall’offerta classica “pretendendo” che al di là del menu alla carta vi siano proposte specifiche per le loro esigenze.
Ma partiamo da una prima evidenza, perché ad esser più precisi, la problematica si estende anche a chi vegano non è, ma deve/vuole evitare di mangiare qualsivoglia ingrediente di origine animale. A volte è pura necessità causata da allergie, intolleranze e percezione di altri malesseri fisici; in altri casi la scelta, quando non compiuta per etica, diventa legata all’essere consumatori attenti e informati (ove troppo, ove male) sui risvolti sulla salute del cibo di cui scegliamo di nutrirci.
Poi – come oramai accade in pressoché ogni ambito - ci sono i fake, che in questo caso sono rappresentati da coloro che compiono le proprie scelte alimentari non sulla base di ideologie e approfondimenti, ma nel nome delle mode. E sono sempre più numerosi, perché se così non fosse non si spiegherebbe davvero l’aumento vertiginoso della domanda e delle vendite dei prodotti alimentari targati “SENZA”.
E cosa accade quanto persone vegane o altre dalle esigenze similari si accomodano al tavolo di un ristorante? Nella maggior parte dei casi, è il panico. Certo, accanto ai ristoranti di cucina propriamente vegana ce ne sono diversi (soprattutto le catene in franchising) che scelgono oggi di inserire proposte specificatamente indicate come “veg” all’interno delle voci dei loro classici menù, rendendole anche facili da individuare nella lista contrassegnandole con dei simboli grafici inequivocabili.
Ma questo naturalmente non è (ancora) cura di tutti, e utilizzo appositamente la parola “cura” perché, a prescindere dalla visione personale sulla cucina e sull’alimentazione, cuochi e ristoratori non dovrebbero mai dimenticare che mercato lo fa la clientela, e l’occasione andrebbe colta al volo a maggior ragione in un caso come questo che si sta verificando, che vede il consumatore fare richiesta esplicita al ristorante di questo tipo di pietanze.
Quale marketing migliore se non quello di ascoltare le esigenze della clientela che parla? Viene da sé che una pura braceria avrà pochissime richieste di questo genere, e davanti ad un numero di clienti vegani che si conta sulle dita di una mano continuerà (a ragione, vista la sua identità ben definita) ad offrire loro non più della propria serie di contorni vegetali già previsti da menu. Ma se già il ristorante possiede un’offerta più classica e diversificata, la probabilità di imbattersi quotidianamente in clienti con richieste particolari come quelle sopra esposte è oggi un fatto certo, che interessa non solo la trattoria tipica, anche la paninoteca, la gelateria, la poke house.
Il consiglio? Non crucciarsi davanti al cliente; piuttosto, quando la frequenza aumenta davvero, pensare a come organizzarsi. Certo, la cosa è un più complicata del gestire un’ospite intollerante al glutine, per il quale al posto di una pasta si può suggerire facilmente un riso e la gran parte dei secondi piatti. Ma cacciare un cliente non è mai corretto (in riferimento, naturalmente, ad atteggiamenti e richieste speciali che restino nel limite del gestibile e che non si rivelino pretenziose o frutto di un palese capriccio).
Dopotutto, clienti vegani e simili si riescono spesso ad accontentare con contorni, creme e minestre, varie pietanze a base di legumi, primi piatti non così difficili da proporre utilizzando i vegetali che già si possiedono nelle celle frigorifere. Senza dimenticare che anche una semplice pasta aglio, olio e peperoncino eseguita ad arte potrebbe incontrare i gusti di questi ospiti e stupire se eseguita ad arte (senza bruciare il soffritto, come ci insegna Fabio Campoli).
La necessità di portare dentro il proprio menu un pizzico di cucina vegana potrebbe anche rappresentare uno stimolo per chi porta avanti in prima persona la cucina, senza strafare nell’imparare tutte le sue basi a menadito, ma iniziando a fare pratica e a “condurre esperimenti” su ricette che prevedano almeno un ingrediente vegano da imparare a interpretare e proporre al cliente secondo il proprio gusto. Si potrà provare ad esempio a sperimentare il tofu, il tempeh, il seitan, il mopur, tutti prodotti con il buono del tempo di conservazione, che consente loro di non rappresentare un grosso spreco ove posseduti in quantità esigue nelle cucine di un ristorante per essere utilizzate al bisogno.
Per concludere, sarebbe impossibile non aggiungere una nota importante sul giusto approccio del servizio: è il cameriere che s’interfaccia con i clienti e ne ascolta le richieste. E se si è in questo ruolo, in assenza di portate vegane o per esigenze speciali sul menu, meglio preferire prendersi un attimo di tempo e rispondere al cliente di avere necessità di confrontarsi prima con lo chef. Sempre più spesso capita di assistere a scene che vedono il personale di sala reagire ammutoliti con espressioni basite, o ancor peggio assumendo un atteggiamento sgarbato se non addirittura aggressivo verso il cliente vegano, “senza lattosio” e/o “senza uova”. Ma con il giusto passaggio di informazioni dalla cucina e soprattutto con il giusto atteggiamento, basterebbero poche giuste parole (ancor meglio se già studiate con il titolare) a tenere a bada chi scambia la cucina del locale per una più facile cucina domestica dove tutto ciò che desidererebbe è subito disponibile in dispensa.
Benché la clientela dei tempi odierni sia senza dubbio molto più difficoltosa da gestire di un tempo, che sia per scelta, per necessità o per moda, le scelte alimentari specifiche sono una realtà, alla quale anziché rispondere “vegano stammi lontano” occorrerebbe imparare a venire incontro proponendo niente di più intuitivo della semplicità. Come ogni vero professionista della cucina sa bene come fare.
Photo made in AI
Scritto da Sara Albano
Laureata in Scienze Gastronomiche , raggiunta la maggiore età sceglie di seguire il cuore trasferendosi a Parma (dopo aver frequentato il liceo linguistico internazionale), conseguendo in seguito alla laurea magistrale un master in Marketing e Management per l’Enogastronomia a Roma e frequentando infine il percorso per pasticceri professionisti presso la Boscolo Etoile Academy a Tuscania. Dopo questa esperienza ha subito inizio il suo lavoro all’interno della variegata realtà di Campoli Azioni Gastronomiche Srl, , dove riesce ad esprimere la propria passione per il mondo dell'enogastronomia e della cultura alimentare in diversi modi, occupandosi di project management in ambito di promozione, eventi e consulenza per la ristorazione a 360°, oltre ad essere referente della comunicazione on e offline di Fabio Campoli e parte del team editoriale della scuola di cucina online Club Academy e della rivista mensile Facile Con Gusto.

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