I salumi più amati di Roma

In questo primo approfondimento sui salumi più diffusi e amati nella capitale italiana, vi parliamo di corallina, spianata romana e coppiette

I salumi più amati di Roma

Roma è famosa nel mondo per la sua storia ricca di elementi militari, sociali, giuridici e, ovviamente, gastronomici: non poteva essere altrimenti in una regione ricca di zone marine, di pianure, di colline e di una parte montuosa. Nel Lazio tanti sono i prodotti agroalimentari di pregio, dai formaggi ai salumi, dagli ortaggi alla frutta, dal vino alle birre, ma ciò che più affascina tanto il turista quanto il cittadino autoctono sono i golosi salumi

Accanto al guanciale al quale abbiamo già dedicato un ricco approfondimento, si tratta di prodotti ancora oggi spesso artigianali, ricchi di storia, che affondano le radici nel grande mondo romano e pre-romano, appetitosi, capaci di far venire l’acquolina in bocca al solo pensiero di degustarli. Si tratta di quei piccoli salumi che ti gratificano dopo aver percorso in lungo e in largo le strade di Roma, oppure dopo aver gustato con gli occhi e i polmoni l’aria dei Castelli Romani, quando puoi gustare un panino con fettine di salumi all’ombra di una fraschetta, guardando sottecchi una foietta con il suo vino, rosso o bianco che sia. 

Cominciamo allora con il famoso salame corallina, così chiamato perché l’impasto viene insaccato nel primo tratto dell’intestino colon del suino, tratto chiamato anche budello gentile o corallo (in alcuni paesi italiani questo tratto del colon viene usato come una trippa). Altri affermano che il nome derivi dal color corallo del salame al taglio (ipotesi poco condivisibile perché spesso il colore della fetta è rosso scuro). L’origine per alcuni sarebbe ebraica, nel ghetto romano, dettata non dal consumo (dato che gli ebrei non possono consumare carne di maiale) ma per poter vendere il maiale e ricavare di che vivere. Altri propendono per un’origine militare romana, per poter conservare la carne da dare ai soldati, la cui dieta doveva essere particolarmente calorica, specialmente per i fanti. Altri ancora sostengono l’origine umbra di questo salame, poi apprezzato anche dai Romani. 

Oltre ad essere il protagonista assoluto delle gite fuori porta, la corallina è un prodotto che si degusta principalmente nelle festività pasquali, nella famosa colazione del giorno di Pasqua (che concludeva i giorni di digiuno e di magro della settimana santa), che potremmo definire tranquillamente colazione – pranzo – cena, per la varietà e l’abbondanza di ciò che compare sulla tavola di ogni famiglia: uova sode, salame corallina, spianata, coppa di testa, altri salumi non insaccati, coppiette, torta pasqualina, pizza di Pasqua (ricca di formaggi), formaggi vari, pane caldo o abbrustolito, pizza sbattuta (un dolce tipo Pan di Spagna), frittate varie ma specialmente di carciofi, coratella condita con carciofi o altre verdure, ecc., il tutto accompagnato da buon vino locale. 

Oggi però la corallina si trova e si consuma tutto l’anno, essendo quasi scomparsa la lavorazione artigianale e stagionale. La corallina è un salame fatto con carni di suini di 130 – 150 kg di peso, dei quali si usano tagli magri (spalle, cioè parti superiori delle zampe anteriori; pancettone, cioè la parte ventrale verso le zampe anteriori; il costato, che risulta più grassa perché corrispondente alla parte ventrale verso i prosciutti posteriori; la rifilatura del costato, il capocollo, il tutto finemente macinato) con aggiunta di lardelli (almeno il 25% in peso), sale marino (4,5 g/100g), salnitro (cioè nitrato di potassio, ovviamente nella produzione non artigianale; in sigla E252, in media 15 g/quintale di impasto, serve come antimicrobico, specialmente contro il Botulino, e a mantenere il colore rosso della carne), aglio (prima schiacciato e tenuto a bagno nel vino), pepe nero sia in grani che macinato, oltre ad altri aromi come il finocchio e altri segreti di ogni produttore. In commercio la corallina viene venduta in pezzi cilindrici, lunghi da 50 cm (corallina corta del peso di circa 400 g) fino a 80 cm (corallina lunga, del peso di 800 g circa), del diametro di circa 6 - 8 cm. Dopo l’insaccamento nel budello naturale di suino o ovino, si fa la legatura con lo spago, a cui segue un’asciugatura di una giornata in locale riscaldato con camino o braciere bruciando legno preferibilmente di faggio e quercia, o stufe(stufatura), successiva stagionatura (minima di 15 giorni, massima di 2-3 mesi) in locali ventilati, umidi e freschi, magari di collina o di montagna. 

Alcuni affumicano la corallina, ma di solito ciò non avviene, dato che si altera il sapore e il profumo, essendo l’affumicatura finalizzata ad una migliore conservazione del prodotto e non a un suo effettivo miglioramento gustolfattivo (l’ameranno coloro che gustano il spore e l’odore di fumo). Al taglio la corallina stagionata si presenta di colore rosso cupo, mentre quella meno stagionata color corallo, con lardelli ben evidenti e bianchi. Al gusto la corallina tende al dolciastro, in genere il sale non si sente molto, mentre gli aromi e il pepe sono evidenti; caratteristico è il profumo di carne asciutta e speziata

In cucina la corallina viene usata per i classici antipasti all’italiana, per farcire ottimi panini magari con l’aggiunta di un formaggio (magari pecorino) da tavola o altri di tipo spalmabile. Nulla toglie però che possa essere usato nelle farciture di calzoni, panzerotti e paste ripiene o stratificate, anche se il migliore uso resta da solo e crudo, accompagnato solo da pane (ottimo quello di Lariano) e buon vino (degli abbinamenti dirò al termine). Il salame corallina è stato riconosciuto PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale) dalla Regione Lazio (aggiornamento al 2/3/2020 come da elenco MIPAAF).

Altro prodotto apprezzato e amato da romani e laziali in genere è la spianata romana. E’ chiamata anche schiacciata romana, vista la sua forma appiattita, richiamata già dal nome spianata. Questo salume affonda le proprie radici non solo nel mondo dell’antica Roma e oltre, ma più precisamente nell’ambito contadino, cioè nelle famiglie agricole, povere e umili, che non producevano per il mercato ma per l’autoconsumo; bisognava proteggere e conservare la carne non solo dagli agenti stagionali che la facevano putrefare, ma anche dalle mani dei militari e dei potenti. 

Al primo aspetto si provvedeva con affumicatura, sale, aromi e aceto, mentre al secondo si provvedeva macinando subito i pezzi di carne e il quinto quarto, in modo che il proprietario non portasse vie tutto il maiale macellato. Anche la spianata viene prodotta da parti magre del maiale macinate grosse o non troppo fini, a cui si aggiunge lardo tagliato a punta di coltello (circa il 25% in peso sul totale) in cubetti. L’impasto viene poi lavorato cospargendolo di concia fatta di sale, pepe e aromi vari, tra cui aglio (privato della tunica, schiacciato e macerato prima nel vino bianco, il tutto fatto dalla sera prima dell’utilizzo), pistacchi. A differenza della corallina l’aglio è molto più evidente sia al gusto che al profumo, così come il sale e il pepe

Dopo l’insaccamento in budello naturale di bovino (in mancanza anche suino o ovino), la grossa salsiccia viene legata con spago, quindi schiacciata mettendola in gabbiette metalliche, oppure artigianalmente tra due assi di legno ben stretti tra loro con altra legatura o con pesi sovrapposti, sottoponendola poi a stufatura in camera calda per una giornata intera o anche più se necessario (ma non più di 7 giorni; talvolta è una vera e propria affumicatura) in modo che perda un pochino di umidità senza però seccarsi, trasferendola (tolta dalle gabbiette) poi nei locali di stagionatura ventilati e freschi, ma non secchi, dove avvengono le fermentazioni che conferiranno odore e sapore inconfondibili al prodotto, oltre che proseguire l’asciugatura. In passato la spianata dopo la stufatura veniva bollita per sgrassarla un pochino, ma oggi ciò non è più praticato visto che si parte carni magre di suino e si limita la lardellatura. E’ un salame dall’odore e dal profumo che pur delicati sono molto più decisi della corallina. Al taglio si presenta rosso scuro, con lardelli molto evidenti ed invitanti, morbido e compatto, molto profumato d’aglio e spezie.

In cucina la spianata romana si può gustare semplice, secondo alcuni affettandola sottile, ma secondo me lo spessore deve essere non sottile, per gustare in bocca e al naso il meglio del prodotto, oppure per farcire o accompagnare focacce e pane casereccio, insaporire torte rustiche e paste al forno stratificate o ancora paste ripiene. Anche la spianata è stata riconosciuta PAT dalla Regione Lazio.

Nel panorama norcino romano non sono da meno le coppiette, anch’esse riconosciute PAT dalla Regione Lazio. Si tratta di striscette di carne secca di bovino, suino oppure equino. Un tempo erano soltanto di cavallo perché di cavalli ce n’erano proprio tanti (questo animale insieme all’asino, al mulo e al bove era l’apparato energetico per i lavori nei campi, nelle industrie di trasformazione dei prodotti agricoli, nell’edilizia, nei trasporti, ecc.) per cui numerosi erano i gruppi di animali che terminavano la carriera per raggiunti limiti di età o per vecchiaia o per malattia. 

La tanta carne che veniva a essere disponibile (tanta di più rispetto a pecore e capre, viste le masse muscolari equine) non era molto gradita alle popolazioni laziali, per cui per non eliminarla (trattandosi comunque di un’importante fonte di proteine, nel passato sempre difficili da ottenere se non dai legumi) si preferiva trasformarla, non solo per autoconsumo ma anche per venderla alle truppe militari, in costante movimento e affamate di carne. Si ricorse quindi al classico metodo di conservazione che è l’essiccazione (da praticare entro 1 – 2 giorni dalla macellazione e successiva frollatura della carne), in modo da far perdere acqua alle proteine ed evitare l’inizio della putrefazione della carne. 

Si tratta quindi di un alimento povero e dei poveri era, infatti, appannaggio, particolarmente contadini, pastori, braccianti, insieme ai soldati, ai pescatori, ai viandanti e a tutti coloro che erano costretti a lunghi spostamenti. Le strisce di carne (larghe 1 – 2 cm e lunghe 15 – 20 cm) venivano poste ad essiccare per circa 2 mesi, a cavallo di travi unendole a coppie (da cui il nome), cucendo tra di loro le estremità da un lato solo. All’inizio si mangiavano così com’erano, poi si migliorarono mettendole sotto una coltre di peperoncino, aglio, finocchietto e un po’ di sale marino in ambiente umido per una giornata, in modo che gli aromatizzanti si potessero fondere con la superficie della carne secca, insaporendola. 

Trattandosi di pure proteine, le coppiette sono adatte agli sportivi e a chi segue una dieta ipocalorica, me sono graditi spuntini durante una passeggiata al fine di eliminare il languorino che se non placato ci farebbe giungere troppo affamati al pranzo o alla cena. Ovviamente non bisogna esagerare con le proteine per non affaticare i reni e per non sfociare in un innalzamento della pressione sanguigna, data la presenza di sale e aromi piccanti. Il colore delle coppiette dipende dall’animale e dal taglio usato per fabbricarle, per cui si passa dal rosso scuro tendente al marroncino del cavallo (carne più ricca di emoglobina) al rosso più chiaro e vivo del bovino e del maiale

Durante la fase di essiccazione molti produttori bagnano le coppiette con vino bianco affinché non si induriscano troppo, risultando poi difficili da mangiare; questo perché le coppiette non si mangiano seduti al ristorante o, comunque, a tavola, ma passeggiando o in una sosta lavorativa si mangiano strappandole a morsi, senza uso di coltello e tanto meno di forchetta, da cui la necessità che non siano troppo secche. Attualmente le produzioni artigianali sono limitate, e nell’industria agroalimentare l’essiccazione viene praticata in ambienti con umidità e temperatura controllate (UR 50 – 60 % e T circa 40°C), immettendole dopo la conciatura in frigorifero per un paio di giorni, per poi venderle. Il gusto tende come per tutte le carni al dolciastro e al sapido, vita la presenza di sale, oltre che al piccantino. 

Il vino da abbinare a corallina e spianata, dovrà tenere conto della grassezza del lardo e della tendenza dolce delle carni in genere, ma dovrà anche stemperare la succulenza indotta in bocca dalla presenza di sale. peperoncino e pepe (non si tratta di succulenza vera e propria perché non vi sono liquidi visibili nel prodotto), oltre che accompagnare l’aromaticità della preparazione. Useremo perciò sempre vini giovani e freschi, magari vivaci o frizzanti, rosati e rossi, perche la freschezza (acidità) del vino ripulisce la bocca dalla  grassezza e attenua la tendenza dolce, mentre il tannino e l’alcool pronunciato (12,5 – 13,5°C) di un rosato o di un rosso puliscono la bocca dalla salivazione indotta dal sale e dal pepe; saranno però vini morbidi (cioè ricchi di glicerina e alcol) data la presenza di sale, oltre che aromatici e persistenti in bocca (PAI notevole) data la presenza delle spezie. Per le coppiette andrà bene un bianco giovane e fresco, volendo vivace o frizzantino, morbido e profumato.
 

Note bibliografiche 

  • Tecnica dell’abbinamento cibo-vino, Ed. AIS
  • Merceologia degli alimenti, Ed. AIS
  • R. e R. D’Ancona, La cucina romana, Ed. Hoepli
  • L. Veronelli, Bere giusto, Ed. BUR Rizzoli

Scritto da Luciano Albano

Laureato con lode in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Bari nel 1978, ha svolto servizio come dirigente del servizio miglioramenti fondiari della Regione Puglia presso l’Ispettorato Agrario della città di Taranto. Appassionato di oli e vini, ha conseguito il diploma di sommelier A.I.S. e quello di assaggiatore ufficiale di olio per la sua regione

Specializzato in Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli presso il C.I.H.E.A.M. di Bari (Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Mediterraneennes)" . Iscritto all'Ordine dei Dottori Agronomi della Provincia di Taranto. Iscritto nell'Albo dei C.T.U. del Tribunale Civile di Taranto

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