Una buona abitudine che rappresenta un’ottima soluzione per ridurre i quantitativi di plastica nei rifiuti del pianeta
I dumpling bar sono all’ultima moda, e propongono varie forme e ripieni della pasta ripiena in stile asiatico, anche pronti da cuocere in casa
Jiaozi, gyoza, mandu: per semplificare le cose, il mercato della ristorazione contemporanea ha scelto di soprannominarli con il nome dumpling, di respiro più internazionale. Un termine della lingua inglese che, seppur molto generico (è usato per indicare pressoché qualsiasi tipologia di bocconcino farcito al cuore), si è rivelato perfetto per far nascere vari concept di dumpling bar, soprattutto nelle nostre grandi città, specializzati nella produzione di quella che potremmo definire la pasta ripiena tipica di territori come Cina, Giappone e Corea.
In italiano, nei menù dei ristoranti etnici, vengono tradotti come “ravioli orientali”: in realtà però nella cucina cinese prendono il nome di jiaozi, mentre in quella giapponese si chiamano gyoza. Dalla tipica forma allungata, vengono chiusi tradizionalmente al mano, pressando e ripiegano leggermente i lembi dell’impasto con le mani verso l’alto. I jiaozi hanno questo nome proprio per la loro forma “a corno”: una leggenda racconta che a mettere a punto la prima ricetta fu Zhang Zhongjing, medico cinese passato alla storia.
Le farciture sono davvero molteplici, anzi, sono probabilmente proprio loro ad essere alla base del moderno successo occidentale di questo prodotto: se infatti nelle versioni più tradizionali jiaozi e gyoza vengono farciti con verdure (soprattutto cavolo, scalogno o cipollotti, erba cipollina cinese) e/o carne (spesso suina, ma anche di manzo o di pollo) e non di meno pesce o gamberi (anche in abbinamento alla carne stessa), oggi imprenditori e cuochi dei dumpling bar si stanno dedicando alla sperimentazione di nuovi gusti, talvolta persino italianizzandoli, o al contrario rendendo il contenuto ancora più esotico osando abbinamenti più “fusion” di quelli tradizionali.
I ravioli orientali, nelle loro terre d’origine, prendono ulteriori diversificate denominazioni in base alla tecnica di cottura che verrà loro riservata: i più amati e comuni sono certamente quelli al vapore (zhengjiao), cotti nei tipici cestelli di bambù dei quali ciascuno può oramai dotarsi facilmente anche a casa per acquistare jiaozi e gyoza anche pronti da cuocere e “terminare” a casa, rifinendoli classicamente con della salsa di soia o dalla tipica salsa agrodolce dal tono piccante della cucina orientale. In alternativa, i ravioli orientali possono anche essere bolliti (shuijiao) oppure brasati in tegame (jianjiao).
In Cina i ravioli sono il piatto simbolo del Capodanno, occasione in cui se ne preparano anche in versione dolce. In Giappone i gyoza si presentano del tutto simili, ad eccezione della frequente presenza di aglio nelle farciture, che rende il loro sapore naturalmente più intenso. Nella cucina nipponica i gyoza vengono serviti soprattutto brasati o in brodo, all’interno dei tipici ramen, ma non mancano anche versioni bollite e persino golosamente fritte. Mandu è infine il nome dei deliziosi ravioli nelle terre coreane, nel cui ripieno entra spesso a far parte anche il kimchi, tipico cavolo fermentato locale, insieme a carne macinata e cavolo. Vengono prevalentemente bolliti o fritti.
Cercateli nei vostri dintorni e concedetevi una prova!
Scritto da Redazione ProDiGus
Il nostro staff in costante elaborazione e ricerca di informazioni utili e attendibili nel mondo del food&beverage

0 Commenti