Sulla nascita della bilancia e sull'applicazione delle moderne unità di misura in cucina
Da bevande curative a nuove basi per la moderna mixology, prendendo spunto da antiche usanze arabe e britanniche: scopriamole insieme
Cosa mai possono avere in comune un cocktail e lo scorbuto? Malattia ormai pressoché estirpata, era però una vera piaga nel passato. Causata da una importante carenza di vitamina C, era la condanna soprattutto dei marinai che vivevano per lunghi interminabili mesi sulle navi con una alimentazione praticamente priva di questo elemento fondamentale al benessere psico-fisico dell’organismo.
Ecco però che tutto torna, dal passato ad oggi: medicina nel XV secolo, sfizioso cocktail oggi, immancabile nei menù dei migliori cocktail bar, è lo shrub!
Il termine shrub deriva dall’arabo sharaba e significa bevanda; la sua prima comparsa nei dizionari inglesi risale addirittura al 1747, dove era definita come una bevanda a base di frutta, zucchero, aceto e, spesso, alcool. Siamo proprio nell’Inghilterra del ‘500 quando i medici prescrivevano ai marinai di ritorno da lunghi mesi al largo delle coste questa salutare bevanda a base di aceto.
Non vi stupisca: bere aceto è una pratica antichissima, risalente addirittura ai Babilonesi che mescolavano aceto di datteri e acqua; in passato l’aceto era abitualmente utilizzato come conservante di frutta e verdura e come tonico medicinale. Fu dal 1600 che l’uso dell’aceto e, nello specifico dello shrub, ebbe un incremento sostanziale nella sua popolarità: iniziò infatti ad essere miscelato con parti alcoliche (rum, brandy o gin); veniva utilizzato come correttore di sapidità o per “tagliare” il sapore di distillati di bassa qualità (in un’epoca di contrabbando); fece la sua comparsa anche in America come prima bevanda tipica a stelle e strisce.
Col tempo l’aceto (e di conseguenza, lo shrub) persero in popolarità grazie anche a nuovi e più efficaci metodi di conservazione (la refrigerazione divenne rapidamente il metodo preferito). Oggi, in un panorama sempre più variegato e alla ricerca di novità, che lo shrub torna alla ribalta come valida alternativa alle più commerciali bevande zuccherate e ai succhi, venendo inserito come plus nei cocktail per personalizzarli.
Lo shrub moderno prevede due differenti modalità di preparazione, a freddo o a caldo: quello a freddo preserva maggiormente le proprietà organolettiche della frutta impiegata. In entrambe le modalità di preparazione il rapporto tra frutta, zucchero e parte acida (aceto o alcool) è di 1:1:1.
Nella metodologia a caldo si riscalda il composto ottenuto miscelando frutta e zucchero fino al completo scioglimento; dopo di che, si filtra e si lascia raffreddare, aggiungendo infine l’aceto. La preparazione a freddo invece prevede lo schiacciamento del composto di frutta e zucchero che viene poi lasciato macerare per circa 24 ore, dunque filtrato e addizionato sempre con l’aceto.
Lo sherbet o, più precisamente, lo sharab è un’altra bevanda di origine araba ottenuta combinando zucchero, succo di agrume, violette o altri fiori e nasceva dall’esigenza di preservare un succo fresco senza l’utilizzo dell’alcool. Questa variante a base di succo di agrumi (in alternativa all’aceto) venne nei secoli corretta con una base alcolica (brandy o rum).
Per shrub e sharab non esistono dunque ricette “originali”, perché nati empiricamente dall’esigenza di conservare la frutta fresca e di usarla come rimedio allo scorbuto, con eventuale aggiunta di spezie e la presenza di una fondamentale parte acida, data dall’aceto o dal succo di agrumi (e successivamente anche dall’alcool). La moderna mixology li utilizza per la creazione di prodotti nuovi, artigianali e dal gusto alternativo. Possono essere serviti anche semplicemente allungati con soda o acqua tonica per cocktail analcolici e dissetanti, oppure aggiunti di brandy o rum per dare vita a preparazioni più elaborate e ricche. Non mancano le versioni all’aceto balsamico, che lo abbinano ad esempio alle classiche fragole.
Queste bevande, storicamente tipiche della cultura britannica, sono in realtà l’espressione di una antica tradizione che prevedeva la conservazione sotto aceto e zucchero che ritroviamo, tuttavia abbondantemente, anche nella tradizione gastronomica italiana; basti pensare alle giardiniere, ai sottaceti e alle conserve agrodolci. Anche Pellegrino Artusi nel suo ricettario parlava di un’acetosella ai lamponi… che altro non era se non un salutare shrub.
Scritto da Viviana Di Salvo
Laureata in lettere con indirizzo storico geografico, affina la sua passione per il territorio e la cultura attraverso l’esperienza come autrice televisiva (Rai e TV2000). Successivamente “prestata” anche al settore della tutela e promozione della salute (collabora con il Ministero della Salute dal 2013), coltiva la passione per la cultura gastronomica, le tradizioni e il buon cibo con un occhio sempre attento al territorio e alle sue specificità antropologiche e ambientali.
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