Un unico termine per una molteplicità di ingredienti e ricette amate in tutti gli Stati Uniti: scopriamo cos'è il chowder e le sue varianti
Anche detto “carciofo selvatico”, un vegetale in via di riscoperta a tavola: scopriamo le sue caratteristiche e come trattarlo in cucina
Chissà quante persone conoscono realmente in cardo: prodotto vegetale dall’impiego e dalle ricette non più frequenti in casa come un tempo, oggi sono reperibili solo in alcuni supermercati nella loro stagione di raccolta, ed è più facile trovarli presso i banchi dell’ortofrutta di mercati contadini, faticosamente ricercati e raccolti nei campi proprio come accade per le misticanze di verdure spontanee.
Si tratta di una pianta tipica dell’ambiente mediterraneo, anche se il cardo sembra essere originario dell’Etiopia e dell’Egitto; i popoli antichi lo conoscevano e apprezzavano anche per le proprietà medicamentose a vantaggio del fegato (come il carciofo, anche il cardo contiene l’amarognola cinarina, un polifenolo derivato dall’acido caffeico). Inoltre, utilizzavano il cardo anche per far cagliare il latte nella produzione dei formaggi, usando i semi e i germogli della pianta.
Il 1500 e il 1700 sono stati i periodi in cui il cardo si è affermato nella cucina italiana, grazie anche ai testi di cucina dell’epoca. Una curiosità: il cardo compare negli stemmi scozzesi come simbolo di queste terre e popolazioni (molte sono le leggende a riguardo, ma nessuna verificabile). Il fiore del cardo per gli scozzesi (discendenti degli antichi Celti) è simbolo di umiltà, resistenza alle avversità (spinoso), nobiltà di carattere e di famiglia in cui si è nati. Praticamente l'Inghilterra ha la rosa, il Galles il narciso, l'Irlanda il trifoglio e la Scozia... il cardo. Ovviamente non si tratta di cardo coltivato ma di tipologia selvatica, appartenente al genere Cynara (o ad altri comunque rientranti tra i cardi).
Il consumo di questo ortaggio è andato sempre più allargandosi nei diversi strati sociali grazie ai suoi numerosi pregi. Fin dai tempi antichi del cardo erano note le proprietà febbrifughe, diuretiche, tonificanti, di regolazione intestinale; oggi lo troviamo spesso condito (dopo lessatura) con olio di oliva che ingentilisce la sua fragranza un po’ selvaggia e ne rende il gusto più delicato. Nella stagione autunno – invernale si trova sui banchi dei mercati rionali insieme al carciofo, suo strettissimo parente (tanto che il carciofo è detto anche cardo comune, e anch’esso forma alla sua base dei getti detti cardoncelli, commestibili, mentre il cardo è detto anche carciofo selvatico); mentre del carciofo si mangiano i capolini, del cardo si usano le foglie carnose e amarognole insieme ai loro consistenti piccioli.
Entrambi appartengono alla specie botanica Cynara carrdunculus, ma mentre il primo è della subsp. scolymus, il secondo è della subsp. atilis. Di recente però il carciofo è stato riclassificato come specie Cynara scolymus e il cardo come Cynara cardunculus. Si tratta di un ortaggio molto affine al carciofo, ma più sviluppato in altezza, con foglie dal picciolo e dalla lamina sessi e carnosi, costituenti (al contrario del carciofo) la parte commestibile della pianta. Continua però a prevalere la prima classificazione (nella quale esistono non solo le subsp. scolymus (carciofo) e altilis (cardo coltivato), ma anche la sylvestris o cardo selvatico. Il cardo assume nomi di versi nelle diverse regioni italiane: scalera in Puglia, card in Piemonte, cacocciulu in Calabria, caf in Lombardia, carde in Molise, ardu in Sardegna, gobbu in Umbria (perché crescendo si incurva a uncino), cardo in spagnolo, distel in tedesco, thistle in inglese, chardon in francese.
La specie è stata migliorata nelle coltivazioni ortensi, e oggi se ne distinguono alcune varietà gigantesche, ottime per le coste delle foglie grosse e tenere, di sapore amarognolo e gustosissimo. Le principali varietà italiane del cardo coltivato sono quella di Bologna (senza spine e costole piene e di media grandezza), di Chieri (in Piemonte, senza spine, di buona qualità, conservabile con facilità), di Tours (pregiata, ma spinosa e perciò poco diffusa), Pieno Bianco Inerme (molto coltivato ovunque per la buona qualità delle costole), Bianco Avorio (per il colore delle costole mature, diffusa nel centro e nel meridione italiano), Mostruoso (o Gigante) di Romagna e altre; quello detto Gobbo del Monferrato (Nizza Monferrato) è l’unico a poter essere consumato crudo in pinzimonio. Ottimo, per chi riesce a trovarlo, è anche il cardo della Madonna o Benedetto o Mariano (un tipo selvatico della specie Silybum marianum), presente nei pascoli e aree a seminativo del centro e del meridione.
Poiché il cardo viene posto in vendita dopo aver subito l’imbianchimento, è necessario coprire la pianta dalla parte basale fino a circa i due terzi dell’altezza, per sottrarla all’azione inverdente della luce. Per tale scopo le foglie della pianta vengono legate insieme attorno all’asse centrale, facendo seguire la rincalzatura cioè l’addossamento di terriccio sulla pianta per la porzione che deve imbianchire (si forma un cono di terra). In alternativa si può piegare la pianta entro una fossa scavata al suo fianco, ricoprendola con terra e lasciando fuori solo l’apice; oppure si avvolge la pianta con paglia o carta o laminati plastici vari, legando il tutto al vegetale e lasciando libero solo l’apice. Le piante restano ad imbianchire per un numero di giorni che varia con la temperatura ambientale: 8-10 giorni a settembre, circa 20 a novembre. Va detto che le piante non si sottopongono a imbianchimento tutte insieme ma a seconda di quanto si prevede di vendere giornalmente; si procede quindi in modo scalare.
La raccolta (estirpazione, taglio radici, pulizia dalla terra, mozzatura della parte apicale) nelle zone meno fredde comincia in autunno e continua per tutto l’inverno, grazie anche alla protezione contro il freddo svolta dal materiale usato per imbianchire. Nelle zone più fredde si raccoglie prima dell’autunno, estirpando le piante con tutta la radice, ponendole in sabbia umida e rivestite per il solito imbianchimento programmato. Attualmente sono in atto ricerche per utilizzare il cardo anche a fini non alimentari ma energetici, per produrre biodisel dai semi e di biomassa per centrale termica dal resto della pianta.
Il cardo è un ortaggio tipicamente invernale che nell’aspetto ricorda il fusto del sedano, anche se si tratta di un carciofo – simile, e la cui composizione è tale da farne un alimento decisamente ipocalorico e perciò dietetico, ovviamente se mangiato crudo, cosa difficile visto che quanto meno bisogna consumarlo in pinzimonio (quindi con olio abbondante e un pizzico di sale e pepe), mentre altre ricette contemplano arricchimenti con altri in gradienti. Comunque: 100 g di parte edibile di cardo apportano soltanto 17 kcal e contengono circa 94 g di acqua, 0,6 g di proteine, 0,10 g di grassi, 1,5 g di carboidrati, 23 1,6 g di fibra, 23 mg di sodio, 293 mg di potassio, 96 mg di calcio e 0,7 mg di ferro, 0,23 mg di rame, 42 mg di magnesio, oltre a vitamine del gruppo B.
Quando acquistiamo il cardo accertiamoci che le foglie costolute siano bianche e compatte, senza tracce di verde (clorofilla, cioè imbianchimento fatto male), perché in tal caso sarebbero ancora più dure e amare, con difficoltà nella cottura e risultato scadente dal punto di vista gustativo; inoltre il cespo non deve essere aperto, perché sarebbe indice di non freschezza del prodotto (va detto però che molti venditori vendono il cespo con le foglie legate tra loro, per cui bisogna guardare all’aspetto complessivo di tutto il soggetto per capire se conviene o meno acquistarlo. Se non dobbiamo consumarlo subito dopo l’acquisto, conserviamolo nel frigo in un sacchetto di plastica (ma secondo me sarebbe meglio una busta di pane perché lascia traspirare il prodotto evitando la formazione di muffe o il rammollimento di alcune porzioni dei gambi); in mancanza facciamo dei fori nel sacchetto di plastica (ottimo anche l’uso di avvolgere la base con alluminio per alimenti, per ridurre la disidratazione.
In cucina il cardo deve essere ripulito delle coste più esterne dure e filamentose (molti consigliano di usare il pelapatate per poter raggiungere il cuore della foglia, come si fa anche per gli asparagi), dopo di che le foglie vanno ridotte in pezzetti avendo l’accortezza (come per i carciofi) di tenere in acqua acidulata con limone il prodotto che stiamo pulendo, fino alla fine del procedimento (al contrario si ossiderebbero i composti amari e i pezzi diventerebbero scuri, pur restando commestibili)per poi bollirlo qualunque ricetta (tranne il pinzimonio) debba essere preparata. Se non li cuciniamo subito mettiamo il tutto in frigo con la detta acqua limonata. Dopo la bollitura e lo spezzettamento, il cardo possiamo anche congelarlo.
La cottura per lessatura è obbligatoria per il cardo prima di utilizzarlo nelle diverse ricette. La lessatura viene fatta normalmente in acqua, ma alcuni usano il latte per rendere meno amaro il prodotto bollito da inserire in altre ricette. Si consiglia lessare in acqua e limone con aggiunta di un po’ di farina (cottura al bianco, come si fa per i finocchi) in modo da non far annerire il vegetale durante la cottura. Alternativa alla lessatura è la cottura al vapore.
Normalmente le ricette per il cardo prevedono la frittura con pastella, la gratinatura al forno con besciamella o panna, la cottura in umido nel tegame (insieme a formaggio, aglio, pangrattato, pepe, sale), in zuppa, sott’olio. Il cardo rientra tra le verdure per la Bagna Càuda Piemontese (la crema viene posta sui cardi, si aggiunge formaggio grattugiato e si passa in forno a 180°C per 30 minuti).
Il cardo, come il carciofo, è grande amico dell’olio d'oliva e la sua cucina è appunto basata su questo principe dei grassi vegetali liquidi. Olio e cardo formano pertanto un binomio squisitamente mediterraneo, ed è forse anche per questo motivo che l’ortaggio non registra una notevole esportazione in quanto i paesi dell’Europa centrale non hanno produzioni olivicole e in ogni caso non ricorrono all’olio d’oliva in cucina.
Note bibliografiche
- AA.VV., Enciclopedia agraria, Ed. UTET
- Tassinari, Manuale dell’Agronomo, Ed. REDA
- Bonciarelli – Giardini, Coltivazioni erbacee, Edagricole
- Angelini - Calabrese – Ponti, Il carciofo e il cardo, Ed. Script
- Ballerini – De Santis, Erbe da mangiare, Ed. Mondadori
Scritto da Luciano Albano
Laureato con lode in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Bari nel 1978, ha svolto servizio come dirigente del servizio miglioramenti fondiari della Regione Puglia presso l’Ispettorato Agrario della città di Taranto. Appassionato di oli e vini, ha conseguito il diploma di sommelier A.I.S. e quello di assaggiatore ufficiale di olio per la sua regione.
Specializzato in Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli presso il C.I.H.E.A.M. di Bari (Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Mediterraneennes)" . Iscritto all'Ordine dei Dottori Agronomi della Provincia di Taranto. Iscritto nell'Albo dei C.T.U. del Tribunale Civile di Taranto

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