Siamo abituati ad acquistare sempre quelli di colore giallo: ma siamo certi che il verde sia sempre indice di un frutto acerbo?
Le carni separate meccanicamente per wurstel, nuggets e cotolette sono un recupero degli scarti, ma a quale prezzo per gusto e qualità?
Leggere con attenzione le etichette di ciò che acquistiamo e mangiamo ci rende consumatori consapevoli e liberi di scegliere cosa mettere nel nostro piatto. È per questa ragione che se sull’etichetta del tuo cordon bleu preferito leggi “CSM”, devi assolutamente sapere che si tratta di carne separata meccanicamente. Ma di cosa si tratta? Come viene prodotta e perché è così diffusa nell’industria alimentare? È sicura per la nostra salute e per quella dei nostri figli che sono sempre più spesso consumatori di piatti pronti?
Dal punto di vista normativo, il regolamento CE 853/04 definisce la CSM come “prodotto ottenuto mediante la rimozione della carne da ossa carnose dopo il disosso o da carcasse di pollame, utilizzando mezzi meccanici che conducono alla perdita o modificazione della struttura muscolo-fibrosa”. In sostanza, si tratta di recuperare i vari frammenti di carne che rimangono attaccate alle ossa dopo essere state spolpate. La legge prevede che si possono recuperare solo le carni dei suini e del pollame (pollo e tacchino); questa operazione non è consentita dalla legislazione UE dal 2001 per le carni bovine, ovine e caprine perché sussiste il pericolo della BSE (lil cosiddetto morbo della “mucca pazza”).
Dal punto di vista strettamente tecnologico e industriale, questa operazione di recupero viene effettuata con macchine che raschiano e aspirano i frammenti carnei ancora presenti o spremono e triturano, con una pressione meccanica variabile, i resti in modo da separare la carne residua trasformandola in una massa pastosa. Le tipologie di CSM variano in relazione alla tecnologia applicata per l’estrazione; si parla soprattutto di CSM ottenute ad alta pressione o a bassa pressione.
È proprio questa massa, chiamata pink slime, a giustificare la massiccia operazione di recupero e riciclo operata dall’industria della trasformazione per abbassare i costi di produzione dei prodotti che però pagano un prezzo alto in termini di perdita di qualità e di sapore. Quello che si ottiene dalla lavorazione degli scarti del macello è, infatti, un sottoprodotto della carne con proprietà nutrizionali e organolettiche molto diverse dalla materia prima originaria. In questo impasto, non adatto al consumo alimentare diretto, ma destinato alla trasformazione industriale, infatti, è presente una quantità maggiore di grassi, le proteine derivano quasi esclusivamente dal tessuto connettivo, e vi è una alta percentuale di collagene che rende il prodotto meno digeribile.
La consistenza pastosa rende il prodotto più suscettibile all’azione di microrganismi pericolosi per la salute e per tale motivo il semilavorato è sottoposto a ripetuti lavaggi (con un liquido contenente ammoniaca) che ne annullano quasi completamente il sapore, cosa che rende necessaria successivamente l’aggiunta di aromi artificiali e colorante per rendere il preparato più appetibile ed adatto alle preparazioni industriali, che ne prevedono la trasformazione in insaccati cotti (salsicce, wurstel, ecc.), alimenti precotti panati (cotolette, crocchette, cordon bleu)e polpettoni, fungendo da legante con gli altri ingredienti.
La precottura di questi prodotti abbatte il rischio di contaminazioni batteriche (salmonella, escherichia coli) rendendo così questo ingrediente sicuro dal punto di vista sanitario. Il valore economico e nutrizionale invece rimane basso e discutibile. In merito ai rischi per la salute pubblica, l’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) si è espressa affermando che i pericoli di ordine microbiologico e chimico associati alla carne suina e di pollame separata meccanicamente non si differenziano sostanzialmente da quelli della carne fresca.
La direttiva CE 101/2001 norma l’utilizzo della CSM, la esclude dalla definizione di carne e stabilisce l’obbligatorietà dell’indicazione in etichetta. Il regolamento 853/2004 stabilisce inoltre che gli imballaggi dei prodotti contenenti CSM destinati al consumatore devono riportare l’indicazione precisa della necessità del consumo previa cottura. Le indicazioni riportate in etichetta devono essere chiare e a prova di fraintendimento, a volte purtroppo accade che si usino termini che possono risultare fuorvianti come carne disossata meccanicamente, pollo o tacchino congelato, purea di tacchino, carnetta.
Tutto questo permette al consumatore di poter scegliere cosa acquistare sapendo che il prezzo può essere un indice di qualità del prodotto stesso. L’uso, infatti, di carne separata meccanicamente abbatte i costi del prodotto al consumo ma offre un apporto di nutrienti e una qualità del sapore decisamente diversi, a volte discutibili, generalmente inferiori. Si consideri che i dati più recenti disponibili riportano che in UE si producono mediamente 700.000 tonnellate di CSM. L’idea industriale di recupero di ogni parte dell’animale rappresenta da una parte un concetto di risparmio e ottimizzazione spinto all’estremo, dall’altro diventa un escamotage per modellare la pasta rosa nelle forme più diverse, creando prodotti esteticamente appetibili o dalle forme particolari destinate soprattutto ai bambini; insomma, una mera operazione di marketing.
Gusto a parte, per chiarezza, non si vogliono demonizzare tout court i prodotti preparati a base di CSM, ma si vuole informare ricordando l'importanza di equilibrio e consapevolezza nel consumo, in quanto presentano una elevata quantità di sale, additivi, grassi saturi, zuccheri e coloranti proprio per “coprire” la bassa qualità degli impasti ricavati da carni separate meccanicamente. In una dieta equilibrata, bilanciata e sana questa tipologia di alimenti dovrebbero costituire un'eccezione da concedersi saltuariamente, preferendo nella routine carne di qualità sia sotto il profilo nutrizionale che del sapore: aiutiamoci a diffondere il messaggio anche ai più giovani.
Scritto da Viviana Di Salvo
Laureata in lettere con indirizzo storico geografico, affina la sua passione per il territorio e la cultura attraverso l’esperienza come autrice televisiva (Rai e TV2000). Successivamente “prestata” anche al settore della tutela e promozione della salute (collabora con il Ministero della Salute dal 2013), coltiva la passione per la cultura gastronomica, le tradizioni e il buon cibo con un occhio sempre attento al territorio e alle sue specificità antropologiche e ambientali.

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