La mostardella ligure

Un salume povero ancora oggi specialità dell’arte salumiera della Liguria: scopriamo la mostardella tra storia e consigli di degustazione

La mostardella ligure

Nella splendida Liguria i prodotti norcini di qualità non mancano, anche se non numerosi come in altre regioni, fatto che possiamo spiegarci con la conformazione orografica del territorio, da cui un’agricoltura e un allevamento molto difficoltosi, con produzioni limitate nella tipologia e nella quantità, ma quando scoperti non vengono dimenticati. 

Tutti i salumi di qualità e tradizionali sono stati riconosciuti PAT dalla Regione Liguria, proprio per salvaguardarne la tipicità e la qualità per i consumatori. Leggendo i documenti ministeriali ritroviamo: il Gambetto di maiale (zampa di maiale lavorata per avere un salume di forma triangolare, insaccato nella pelle della zampa), la Coppa (altrove si parla di capocollo, specialmente al Sud; si usano i muscoli cervicali, oltre ad altre parti di carne magra di maiale), il Bardo o Sanguinaccio (il nome ci dice già che nell’impasto di carni suine entra a far parte anche il sangue dell’animale, insieme ad animelle e perfino del latte), il Patè di lardo (lardo stagionato e lavorato fino a farne una crema molto aromatizzata), la Prosciutta (unione di tradizione ligure e toscana, molto simile allo speck), il Salame con lardelli (molto più ricco degli altri salami quanto a dadini di grasso), il Salame cotto (cotto in pentola prima di essere gustato), la Testa in cassetta o soppressata (la testa di maiale viene bollita e le carni poi lavorate e poste in forma a bauletto), la Zerarìa (gelatina aromatizzata ottenuta da zampe e testa suine, poi posta in forma a bauletto), il Salame genovese di Sant’Olcese (precursore della costardella; comune in cui la si produceva per la gran parte) e infine la mostardella,  quella dalle origini più umili tra i prodotti elencati.

La mostardella in passato era chiamata in Liguria “salame di poveri”, un termine correlato al fatto che per produrla si usavano prodotti di scarto della salumeria, mentre oggi è una vera prelibatezza riservata a chi ama cercare i prodotti di nicchia, quelli che un tempo tali non erano affatto, dato che ne mangiava tutta la popolazione del posto. Per produrre la mostardella (o mustardella) in passato (nella logica in cui nulla deve essere buttato, specialmente in zone difficili da coltivare o per allevare, quale appunto è la Liguria) si usavano, in buona sostanza, solo gli scarti della lavorazione delle carni suine e bovine con cui si fabbricavano altri salumi o comunque scarti di macelleria (nervetti, piccoli ritagli carnei duri o filacciosi, staccati dalle ossa dello scheletro, dalle teste, dalle zampe dopo la lavorazione tipo zampone e cotechino locali), da cui l’evidente basso prezzo e la destinazione del salume ai ceti più poveri.

A tali componenti si aggiungeva almeno il 30% di grasso suino molle, sale, aromi vari tra cui l’aglio e pepe, talvolta un po’ di vino e si insaccava in budello naturale bovino o suino, talvolta si affumicava, poi si stagionava al massimo per una ventina di giorni e si consumava, praticamente fresca. Da quanto detto si deduce agevolmente che la mostardella era un cibo molto adatto per la stagione autunnale e ancor più quella invernale: il prodotto era ricco di grassi e povero di proteine, ma chi lo mangiava riceveva le giuste calorie per i lavori pesanti e per calmare la fame (che comunque era presente anche in chi lavori pesanti non ne faceva ma era semplicemente povero (nel 1500, epoca di origine della costardella e del salame di Sant’Olcese, la povertà era tale che la paga settimanale di un lavorante in salumificio e macelleria era rappresentata proprio da pochi soldi e una certa quantità di mostardella). 

Il nostro salame (anche se la mostardella non è un salame ma una via di mezzo tra quest’ultimo e la salsiccia fresca) veniva tagliato a fette grosse, fatte sciogliere un po’ sulla griglia o padella e poi  stese su fette di pane casereccio caldo (per far sciogliere quasi come crema le fettine di mostardella), che in quanto a calorie non scherzava: ci si forniva in tal modo della dose giornaliera dei nutritivi più calorici come il grasso e i carboidrati del pane. Se poi si pensa che, certamente, non si accompagnava con acqua ma con buon vino rosso locale (e la Liguria non scherza in questo campo!), il quadro alimentare dei poveri era quasi perfetto (nonostante le poche proteine e vitamine). 

Volendo curiosare nell’apporto dei nutrienti di una mostardella “antica”, possiamo certamente dire che 100 g apportavano almeno 350 – 400 kcal, almeno il 30% di grassi, meno del 10% di proteine, carboidrati praticamente quasi assenti, poche vitamine (ovviamente del tipo liposolubile come A, D, E, K). Senza dubbio un alimento non completo, ma utile per sopravvivere specialmente durante l’inverno, quando il lavoro nei campi si fermava e bisognava comunque andare avanti. Ovviamente la mostardella andava bene in qualsiasi periodo dell’anno, dato che a usarla erano i ceti poveri e i lavoratori agricoli o comunque addetti a lavori molto faticosi. Oggi la mostardella si prepara con tagli di carne più ricercati e con meno grasso ed elementi duretti, per cui se da un lato è più adatto ad una moderna e razionale alimentazione, con una masticazione agevolata per assenza di nervetti e cartilagini, dall’altro ha perso la sua tradizionalità e tipicità, anche se premiata con la PAT.

La mostardella, prodotta in tutto l’entroterra genovese, pronta per il consumo richiama nell’aspetto il salame cacciatorino fresco, di colore rosso scuro (diciamo rubino, anche per ricordare che si abbinano vini rossi giovani) al taglio, con lardelli grossolani, bianchi e ben evidenti (ma sempre meno di una volta quando il grasso nell’impasto era tanto).

La mostardella di regola si mangia a fette spesse, fatte ammorbidire in una padella e poste su fette di pane, a sua volta abbrustolito appena: il tutto diventa una spalmata di salume sul croccante amido del pane. Le fette di costardella si possono inserire in un classico antipasto all’italiana, ma famoso e tipico è l’abbinamento della mostardella con l’uovo fritto o strapazzato, affiancato se possibile da patatine ancora calde di frittura, oppure nei sughi per renderli più appetitosi, così come a dadini nelle minestre di verdure; trovandoci a nord, la mostardella è ottima con la polenta arrostita a fette, così come affiancato da lenticchie come uno zampone o un cotechino. La mostardella (proprio come il bacon) va bene anche a colazione per chi l’ama salata e non dolce all’italiana.

Tradizione vuole che la mostardella un tempo fosse il regalo del fidanzato alla fidanzata quando si recava a casa di lei per chiederne la mano ai genitori, padre in particolare: orbene, se dopo i convenevoli e le ”esplorazioni” dei genitori su argomenti attinenti il futuro matrimonio, il salame portato in omaggio veniva tagliato dal papà, allora il matrimonio si sarebbe fatto. 

Note bibliografiche

  • C. Cipolla, La grande salumeria italiana, Ed. Franco Angeli
  • M. Nocilla e C. Panphili, Grandi salumi,  Ed. Gambero Rosso
  • L.Rangoni, Profumi e sapori di Liguria, Ed. Ligurpress
  • Sandri – Falloppi – Parolin, Affetto in cucina. I salumi tipici e le ricette della cucina regionale italiana, Ed. Terra Ferma

Scritto da Luciano Albano

Laureatosi nel 1978 con lode in Scienze Agrarie, presso l'Università di Bari, si è specializzato nel 1980 in "Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli" presso il C.I.H.E.A.M. (Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici del Mediterraneo) di Valenzano (Bari), ha conseguito nello stesso anno anche l'abilitazione alla professione di Agronomo. Fino al 1/3/2018 ha lavorato alla Regione Puglia nell'Ufficio Territoriale di Taranto, quale Responsabile della P.O. "Strutture Agricole". Appassionato di olio e vino ha conseguito il Diploma di Sommelier AIS nel 2005 e ottenuto nel 2008 l'Attestato di Partecipazione alle Sedute di Assaggio ai fini dell'iscrizione nell'Elenco Nazionale di Tecnici ed Esperti degli oli di oliva extravergini e vergini. Fino al 2018 è stato iscritto all'Albo Provinciale dei Dottori Agronomi e Forestali e come CTU presso il Tribunale di Taranto. Ama il food & beverage e ne approfondisce i vari aspetti tecnici, alimentari e storici

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