Il fico d’India

Spinoso si… ma estremamente gustoso, specialmente giunto a maturazione perfetta sul calar dell’estate

Il fico d’India

Le spine non riescono a fermare l’attrazione per i fichi d’india, soprattutto nelle regioni dove il loro consumo è una vera tradizione, come in Puglia, Calabria e Sicilia. Così colorati, così dolci e in definitiva così simpatici per il loro aspetto, crescono nelle contade assolate e regalano un refrigerio impareggiabile se serviti ben freddi, ma sono pur sempre piacevolissimi anche se presi direttamente dalla pianta e golosamente mangiati sul posto.

Il fico d’India, a dispetto del nome, è originario non dell’India vera e propria, dove le cactacee sono piuttosto limitate, ma delle Indie Occidentali, cioè delle Americhe, a partire dal Canada meridionale per finire all’inizio della Patagonia. E’ proprio in questi luoghi, inospitali per tante specie vegetali, che la nostra pianta cresce, fruttifica, trascorrendo al sole lunghi mesi in apparente letargo. Più precisamente il nostro fico d’India è originario del Messico: i primi utilizzatori alimentari della pianta furono gli aztechi, abitatori dell’immenso altipiano messicano (Altiplanicie Mexicana).

Già in precedenza gli indigeni usavano il succo di un’altra cacatacea, l’Echinocactus williamsii, detta pianta del canto per l’armonioso suono originato dallo scorrere del vento attraverso i suoi rami: usavano il succo nei riti religiosi, in quanto inebriante e allucinogeno (grazie alla mescalina, un alcaloide). I primi studiosi spagnoli giunti sul posto con i militari, osservarono che nelle Canarie veniva coltivata una specie di opunzia, la Napalea coccinellifera, sulla quale si sviluppavano molto le cocciniglie, tanto da consentire l’estrazione del cosiddetto rosso cocciniglia (in sostanza acido carminico). Anche in Africa, precisamente in Egitto, sono state trovate testimonianze di uso del fico d’India sia come frutto che come pale, destinate sia agli animali che agli esseri umani se opportunamente trattate (cosa che accade ancora oggi).

Nell’area mediterranea la pianta veniva chiamata Opuntia, nome probabilmente correlato a Oponzio o Oponte, città vicina all’attuale isola di Eubea, chiamata un tempo dai Veneziani Negroponte, dove la nostra pianta cresceva spontanea. Il fico d’India vegeta anche lungo le coste degli Stati europei meridionali e di Malta, producendo frutti dalla qualità organolettica molto vicina a quella dei frutti dei luoghi d’origine. In Italia la pianta giunse grazie alla dominazione araba e spagnola, con diffusione nella provincia di Trapani, nella valle litoranea del fiume Belice, nel versante dell’Akragas (Agrigento), nella provincia di Catania e Messina, nelle isole Pelagie (Lampedusa, Linosa. Isola dei Conigli, Lampione).

Molti anni fa la coltivazione del fico d’India rivestiva, nel Meridione e nelle isole, un’importanza economica marginale, pur essendo da tutti riconosciute le sue preziose proprietà nutritive, in particolare per il contenuto zuccheri, tanto da essere popolarmente definiti pane provvidenziale delle regioni aride. Senza dubbio tale situazione trovava la sua ragion d’essere nel fatto che essendo la pianta molto ricca di acqua, necessitavano particolari cure nell’imballaggio e nella spedizione: i frutti che si danneggiavano in tali fasi non erano più commerciabili o potevano esserlo con una notevole riduzione del prezzo di vendita.

Fu il graduale perfezionamento dei mezzi di trasporto, nonché la celerità dei trasferimenti, ad influire e determinare l’apprezzamento e la diffusione del consumo di fichi d’India oltre i limitati confini meridionali ed insulari. Con la diffusione vennero accertate ed apprezzate le qualità nutritive, emollienti, diuretiche del frutto, nonché il suo contenuto in fibra e vitamine. Si assiste quindi alla sostituzione di colture divenute poco remunerative con il fico d’India, ormai apprezzato e valorizzato ovunque, tanto da poter affermare che la coltivazione del fico d’India, se ben condotta, è decisamente remunerativa.

Le provincie che producono grandi quantità di fichi d’India sono: Messina, Catania, Reggio Calabria, Trapani, Sassari, Cagliari, Palermo e Agrigento.  La diffusione capillare in Sicilia, lo storico e ampio uso che se ne fa nella cucina siciliana hanno portato il ficodindia generico (Opuntia ficus-indica) ad essere inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf) come prodotto tipico siciliano. Su proposta della Regione Siciliana sono stati riconosciuti anche i seguenti prodotti tradizionali come eccellenze specifiche del territorio: Fico d’india della valle del Belice, Fico d’india della valle del Torto, Fico d’india di San Cono, Bastarduna di Calatafimi. Il fico d’india di San Cono e il fico d’india dell'Etna sono stati inoltre riconosciuti come prodotti a denominazione di origine protetta (DOP) dalla Comunità Europea. Il principale produttore mondiale è il Messico, seguito da Perù, Brasile, Italia (prima in Europa), Tunisia, Marocco, Spagna.

Botanicamente il fico d’India ha nome Opuntia ficus indica, appartenente alla famiglia delle Cactaceee; esistono però anche fichi d’India destinati a formare siepi impenetrabili, come Opuntia Amyclea e Opuntia Dillenii; il portamento può essere prostrato o arborescente; i rami detti cladodi (volgarmente pale) sono appiattiti, succulenti, divisi in articoli, di colore verde e spinosi. I cladodi svolgono contemporaneamente la funzione di rami (visto che su di essi vi sono gemme e fiori) e di foglie (vista la presenza di clorofilla per la sintesi clorofilliana.

Molti ritengono che i cladodi siano le foglie del fico d’India: in realtà sono rami trasformati e su di essi compaiono in età giovanile le vere foglie dell’opuntia, le quali sono piccoline, a forma di uncinetto, terminanti con una spina. Le foglioline cadono spontaneamente un mese dopo la comparsa e al loro posto restano delle cicatrici dalle quali si svilupperanno gemme per la produzione di altre pale e di fiori. Le spine propriamente dette sono biancastre, sclerificate, solidamente impiantate, lunghe da 1 a 2 cm. Esistono anche varietà di Opuntia inermi, senza spine.

I glochidi sono invece sottili spine lunghe alcuni millimetri, di colore brunastro, che si staccano facilmente dalla pianta al contatto, ma essendo muniti di minuscole scaglie a forma di uncino, si impiantano solidamente nella cute e sono molto difficili da estrarre, in quanto si rompono facilmente quando si cerca di toglierle. Sono sempre presenti, anche nelle varietà inermi.

I fiori si presentano sulla pianta a maggio – giugno; da essi si origina una bacca che noi chiamiamo fico d’India A maturazione raggiunge la grandezza di un limone, ricco di semi e ombelicata dalla parte opposta al peduncolo. I frutti maturano in autunno e le pale su cui compaiono sono quelle dell’età di un anno o due, raramente tre. Sulle pale dello stesso anno raramente compaiono frutti, i quali finiscono per essere fusi con la stessa pala. I cladodi più ricchi di frutti sono quelli di un anno. I frutti derivati dalla fioritura ordinaria, giungono a maturazione in Agosto, quindi in piena siccità estiva, si presentano piccoli, poveri di polpa, ricchi di semi  e sono poco ricercati dai mercati.

Se la pianta viene privata dei fiori in epoca opportuna, dà luogo ad una seconda fioritura: questa pratica si chiama scozzolatura e consente di avere frutti tardivi (detti scozzolati o bastardoni) che maturano in autunno, sono più grossi e più saporiti, profumati, molto colorati, ricchi di polpa, graditi sui mercati locali e nazionali. La scozzolatura viene effettuata da uomini e donne con l’uso di bastoni, proteggendosi gli occhi dalle spine indossando occhiali da ciclisti, possibilmente in giornate senza vento, avendo cura di non danneggiare le pale perché queste porteranno i futuri fiori e frutti. Dopo due o tre settimane dalla scozzolatura le piante emettono nuovi cladodi e fiori. La scozzolatura può essere fatta in prefioritura (la più idonea ma con frutti precoci rispetto all’autunno), durante la fioritura (effetto minore ma con frutti veramente tardivi), alla sfioritura (essiccamento dei petali; il risultato è scadente).

Il frutto è composto da scorza per il 30% circa, da polpa per il 67% e per il resto da semi. Il colore del frutto cambia con la varietà: giallo, arancione chiaro, sanguigno, bianco paglierino. I frutti primaticci maturano in Agosto – Settembre, i bastardoni da Ottobre a Dicembre e formano oggetto di esportazione. Il fico d’India conta 5 cultivar: Surfarina (a frutto giallo zolfo), Muscaredda (a frutto bianco paglierino), Sanguigna (a frutto rosso sangue), Burbank (a frutto senza spine), Apirene (frutto senza semi).

La raccolta dei frutti è di tipo scalare, in quanto la maturazione non è contemporanea; si usano coltelli molto affilati, dalla lama appuntita, lasciando un pezzetto di pala attaccato al frutto (pezzetto non troppo grosso altrimenti marcirebbe nei giorni successivi, danneggiando l’intero frutto, oltre al fatto che la pianta risentirebbe effetti negativi se fossero asportate numerose parti grosse di pale). I frutti non devono presentare lacerazioni o altri difetti per non compromettere la conservazione e la commerciabilità. La selezione dei frutti viene fatta tenendo conto della maturazione, dell’integrità del frutto e della sua grossezza (sia per i frutti molto maturi che per quelli maturi si individuano prima e seconda qualità e scarto.

Dal punto di vista nutrizionale 100 g edibili di fico d’India apportano 53 kcal contenendo in media l’83% di acqua, lo 0,8% di proteine, lo 0,1% di grassi, il 13% di zuccheri e il 5% di fibre (0,13 solubile e 4,17 insolubile), insieme a vitamine (A,C,B1,B2,B3) e minerali (soprattutto potassio, calcio e fosforo). Molti attribuiscono al fico d'India proprietà nutrienti e benefiche, tra le quali: lassativa della polpa, astringente dei semi ed antiossidante (vitamine e tannini).

In realtà l'effetto del fico d'India sull'intestino è di tipo modulatore, grazie alla presenza di fibre viscose quali pectina e mucillagini nella polpa, e di altri principi attivi prevalentemente astringenti contenuti nei semi (che tuttavia, non vengono masticati a fondo e spesso non incidono significativamente). Il fico d'india è un frutto mediamente energetico, che apporta una discreta quantità di fruttosio (carboidrato semplice) e buone porzioni di fibra, sali minerali e vitamine. In particolare, il fico d'india contiene ottime quantità di fibra viscosa, utile alla regolazione dell'assorbimento intestinale e del transito fecale stesso. L'apporto di potassio è apprezzabile, così come quello di antiossidanti. Il consumo di fico d'India è quindi sovrapponibile a quello degli altri frutti diffusi in Italia.Il fico d'India, essendo ricco di piccoli semi, è un alimento fortemente controindicato nella patologia della diverticolosi.

I processi industriali consentono di produrre alcol e olio dal fico d’India. Ovviamente l’olio dai semi e l’alcol dal frutto intero. In media da 400 q di frutti si possono ottenere 40 q di alcol etilico e 1,5 q di olio commestibile. Della pianta sono utilizzate anche le pale, sia a fini cosmetici, che fitoterapici che alimentari (specialmente in Messico dove sono chiamate Nopales crudi e Nopalitos una volta cucinati). Le pale cucinate hanno sapore misto tra il fagiolino e l’asparago, non risultano viscide perché la cottura elimina la gelatina; se ne preparano insalate, grigliate, impanature, saltate in padella, ovviamente dopo la cottura principale. Maggiori dettagli si trovano in diversi siti web e in specifici libri.

Note bibliografiche

B. Forte, il fico d’India, Edagricole

Manuale dell’agronomo, Ed. REDA

Enciclopedia Agraria, Ed. UTET

Photo via Canva

Scritto da Luciano Albano

Laureatosi nel 1978 con lode in Scienze Agrarie, presso l'Università di Bari, si è specializzato nel 1980 in "Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli" presso il C.I.H.E.A.M. (Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici del Mediterraneo) di Valenzano (Bari), ha conseguito nello stesso anno anche l'abilitazione alla professione di Agronomo. Fino al 1/3/2018 ha lavorato alla Regione Puglia nell'Ufficio Territoriale di Taranto, quale Responsabile della P.O. "Strutture Agricole". Appassionato di olio e vino ha conseguito il Diploma di Sommelier AIS nel 2005 e ottenuto nel 2008 l'Attestato di Partecipazione alle Sedute di Assaggio ai fini dell'iscrizione nell'Elenco Nazionale di Tecnici ed Esperti degli oli di oliva extravergini e vergini. Fino al 2018 è stato iscritto all'Albo Provinciale dei Dottori Agronomi e Forestali e come CTU presso il Tribunale di Taranto. Ama il food & beverage e ne approfondisce i vari aspetti tecnici, alimentari e storici

0 Commenti

Lasciaci un Commento

Per scrivere un commento è necessario autenticarsi.

 Accedi

Altri articoli