Caviale: russo, italiano o cinese?

Al giorno d’oggi, siete certi che mangiare caviale sia sinonimo di alta qualità e "lusso" nel piatto? Ecco come sono cambiate produzioni e mercato

Caviale: russo, italiano o cinese?

Un tempo una cena a base di caviale era davvero un lusso per pochi. Non è più cosi: superate il cliché del caviale russo, dimenticatelo come status symbol di personaggi ricchi e famosi sotto il cielo di San Pietroburgo o sullo sfondo del fiume Volga, perché oggi mangiare caviale è più semplice e alla portata di tutti. La produzione e il mercato sono cambiati, le abitudini e l’uso di conseguenza si sono modificati ed è cambiato il concetto di bene alimentare di nicchia. 

I dati ci dicono che dal 2012 ad oggi i consumi hanno tenuto, registrando in alcuni casi un lieve incremento; il prezzo è crollato addirittura del 50% e la produzione ha ampliato i propri orizzonti geografici.  Dopo decenni di pesca selvatica incontrollata sulle rive del Mar Nero e del Mar Caspio, il mercato del caviale di lusso ha dapprima minacciato e poi fortunatamente salvato lo storione dall’estinzione. Oggi infatti la quasi totalità del caviale prodotto a livello globale proviene dagli allevamenti in fiumi, laghi o vasche (tralasciando la triste realtà del commercio illegale di storioni selvatici). 

La disponibilità sul mercato è notevolmente superiore e la qualità è differente in base alle zone di produzione (che hanno conquistato oltre la Russia, l’Europa, gli Stati Uniti e la Cina), alle normative locali che disciplinano l’allevamento, alle modalità adottate per l’acquacoltura, alle tecniche di lavorazione e conservazione del prodotto nonché al successivo confezionamento e distribuzione.

Gran parte del dibattitto tra gli addetti ai lavori porta attualmente la discussione sui trend delle produzioni a basso costo in terra cinese. Infatti, nel periodo in cui il caviale era un cibo per pochi, la produzione era quasi esclusivamente legata al Mar Caspio e al Mar Nero e la gestione commerciale era in mano a Russia e Iran, cosa che ha comportato negli anni un pericoloso sovrasfruttamento delle risorse, tanto che nel 2005 il Fish and Wildlife Service degli Stati Uniti ne ha proibito l’importazione facendo crollare quel mercato e incentivando al contempo quello emergente cinese che oramai ha preso il sopravvento. 

La produzione statunitense non è riuscita negli anni, nonostante i numerosi tentativi, a competere in termini di quantità e costi con quella cinese che, su scala globale, è divenuta la prima in assoluto. Il caviale cinese è il più commercializzato al mondo con una produzione in termini di quantità assoluta, pari circa all’80% della produzione mondiale (si pensi, solo per fare un esempio, che molti dei ristoranti stellati anche europei acquistano e servono caviale prodotto in Cina grazie alla disponibilità sul mercato, ai prezzi decisamente competitivi e ad un accettabile rapporto qualità-prezzo). 

L’aumento di volume della produzione deve comunque fare i conti con i tempi necessari affinché un individuo femmina di storione giunga alla maturità per poter produrre le uova. Gli allevatori cinesi tuttavia riescono a mantenere bassi i prezzi di produzione e vendita che a volte influiscono inevitabilmente e in modo coerente sulla qualità del prodotto (si parla infatti di una filosofia produttiva ben specifica, lontana da altre di matrice europea). Il caviale di produzione cinese conta oggi una esportazione pari a più di 136 tonnellate; questo ha inevitabilmente modificato gli equilibri di un mercato prima ad esclusiva egemonia russa. La concorrenza cinese al prodotto di origine europea e statunitense è dovuta essenzialmente ad una maggiore quantità prodotta a fronte di un costo della manodopera nettamente inferiore e a leggi e regolamenti meno restrittivi per esempio sull’uso di conservanti che permettono al caviale di durare più a lungo. 

In questo mercato, sebbene possa sorprendere, l’Italia gioca un ruolo primario rappresentando il primo produttore a livello europeo e il terzo (dopo la Cina e la Russia) su scala mondiale, con un volume di 43 tonnellate annue, con standard qualitativi tra i più alti in assoluto e controlli particolarmente rigidi a garanzia di un prodotto di alta qualità. Gran parte del caviale prodotto in Italia, in stabilimenti ad alta tecnologia e sottoposti a rigidi controlli, viene però esportato con la amara conseguenza che quello che troviamo più facilmente nei punti vendita o nei ristoranti sia un caviale di importazione, quasi sempre cinese, venduto a prezzi molto competitivi.

Il caviale italiano è riuscito a conquistare una importante fetta del mercato internazionale anche durante questi ultimi due anni di pandemia, grazie allo sviluppo dell’e-commerce che ha avvicinato produttori e consumatori. In questo senso, l’API (associazione piscicoltori italiani) si è impegnata adattandosi e trasformandosi per tutelare il mercato di un prodotto solo apparentemente in declino, che non vive più di cliché ma diventa prodotto di qualità grazie ad una filiera che in Italia significa, tra le altre cose, controllo dei mangimi, della salubrità delle acque, utilizzo della salatura come unico conservante senza aggiunta di additivi.

Precisiamo che a causa dell’ambiguità spesso riservata ai prodotti genericamente nominati caviale, il Codex Alimentarius nel 2010 ha emanato uno standard specifico secondo il quale per caviale (caviar) si intende solo quello di storione ottenuto dalla lavorazione e dalla salatura (a secco o in salamoia) delle uova di varietà diverse di storione tutte però appartenenti alla famiglia Acipenseridae;  tutti gli altri prodotti devono essere nominati uova di pesce.

Come riconoscere allora un caviale di qualità? Anche per questo tipo di prodotto, valgono le considerazioni relative alle varietà, al tipo di allevamento e di acquacoltura, alle modalità di conservazione, il tutto riassunto nell’etichetta, il vero documento di riconoscimento di un prodotto.  

Nella confezione, che deve essere sigillata da una bandella non rimovibile, deve essere rigorosamente presente l’etichetta imposta dalla CITES (Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Flora and Fauna), che riporta una serie di codici. Il primo codice di tre lettere indica la specie di storione dal quale è prodotto il caviale, il secondo è la lettera C e indica che gli storioni provengono da acquacoltura, il terzo codice di due lettere è fondamentale perché indica il codice ISO del paese di provenienza del caviale. Segue poi l’anno di produzione che corrisponde alla produzione vera e propria solo quando il caviale arriva direttamente dal produttore primario, mentre in caso di riconfezionamento da parte di altri soggetti, viene riportato solo l’anno dell’ultimo confezionamento che può non coincidere dunque con la data di produzione primaria.

In un mercato al ribasso dei prezzi, potrebbe verificarsi nei prossimi anni una ulteriore riduzione a causa proprio della sovraproduzione. Mentre l’offerta aumenta, la domanda è stabile o in leggero calo, rallentare la produzione sarebbe estremamente costoso perché la pianificazione richiede un anticipo di 5/7 anni, il tempo in cui una femmina raggiunge la maturità sessuale. Per intenderci, la produzione che troviamo oggi in commercio è stata pianificata nel 2015.

Scritto da Viviana Di Salvo

Laureata in lettere con indirizzo storico geografico, affina la sua passione per il territorio e la cultura attraverso l’esperienza come autrice televisiva (Rai e TV2000). Successivamente “prestata” anche al settore della tutela e promozione della salute (collabora con il Ministero della Salute dal 2013), coltiva la passione per la cultura gastronomica, le tradizioni e il buon cibo con un occhio sempre attento al territorio e alle sue specificità antropologiche e ambientali.

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