La pizza di Pasqua

A dispetto del nome, non ha nulla a che fare con la margherita: è una preparazione lievitata pasquale tipica delle regioni centrali

La pizza di Pasqua

Tra le preparazioni più famose (e attese!) della fine della Quaresima in Italia c’è la Pizza di Pasqua, tipica dell’Italia centrale (Lazio, Marche, Umbria, Toscana), ma presente anche in altre regioni. In Abruzzo “Pizza di Pasqua” (PAT), in Emilia Romagna la “Pizza di Pasqua o Crescia di Pasqua” (PAT), nel Lazio “Pizza di Pasqua della Tuscia dolce o al formaggio” (PAT), in Umbria “Torta al formaggio di Pasqua” (PAT), nelle Marche “Pizza o Crescia di Pasqua al formaggio” (PAT) e “Pizza di Pasqua di Borgopace” (PAT); certamente però la Pizza di Pasqua si prepara e si mangia in tanti altri luoghi italiani, anche senza denominazioni PAT o di altro genere. Sembra comunque essere incontestabile l’origine marchigiana, regione in cui questa prelibatezza si mangia praticamente su tutto il territorio, mentre in quelle limitrofe si tratta di aree più circoscritte. 

Definibile come  “pane condito per la festa”, che almeno nella forma ricorda il panettone, rispetto a questo la Pizza al Formaggio ha una forma più svasata e simile a un tronco di cono tozzo e capovolto. E’ una preparazione antica, visto che già presso i Romani (Catone cita una preparazione simile nel suo De Agricoltura, sempre a base di farina, formaggio, uova, latte) e altre popolazioni italiche (in Umbria si preparava la mefa spefa) si consumavano pani arricchiti con altri elementi, anche se diversi dagli attuali, ma comunque comprensivi di formaggi, pezzi di carni residuali e verdure. 

Ciò che accomuna però tutti i luoghi dove la Pizza di Pasqua si consuma, è che la si porta in tavola ritualmente la mattina di Pasqua per la colazione, tra le 11 e le 13, dopo essere stati in chiesa per le funzioni del periodo, proprio a sottolineare lo stretto legame tra la Pasqua di Risurrezione e la pietanza. Altri elementi tipici e irrinunciabili che devono essere sulla bella tovaglia, insieme alla nostra Pizza, sono i salumi vari (salami, capocollo, ciauscolo), le uova sode (uova uguale vita, da cui le stesse uova pasquali di cioccolata), le frittate semplici e ripiene, le interiora di agnello cotte in vari modi, le minestre e zuppe, il vino locale e l’immancabile vin santo. In alcuni luoghi dell’Italia centrale, in ambito campagnolo, in passato, veniva preparata una Pizza di Pasqua (di tipo dolce) anche nel giorno della Befana, a ricordare e sottolineare la Manifestazione del Signore.

In Italia le ricerche condotte da coloro che si interessano di storia degli alimenti tipici dei diversi luoghi, conducono ad una origine medievale della preparazione più simile a quella moderna, con tutta probabilità nata nei monasteri per la fantasia e l‘operosità delle monache (si citano siti anconetani, ma certamente l’uso era diffuso in tante altri parti, trattandosi di una preparazione che potremmo definire di facile intuizione e fattura), laddove queste festeggiavano (al pari di chi era fuori dal monastero) la fine della Quaresima, non solo inneggiando alla Risurrezione di Cristo, ma anche concedendosi qualche piccola golosità (che distribuivano anche ai più poveri, oltre che farne omaggio a persone in vista, come il prete, le autorità, il padrone, oltre che ad i parenti e amici). 

Per molti studiosi però anche l’uso delle suore trovava le sue radici in un lontano passato popolare (oltre che nel voto di povertà che caratterizzava i diversi ordini monastici del tempo), quando la gente comune (sempre in gramaglie a causa di guerre, carestie, epidemie) cercava di non buttare nulla di quello che avanzava nelle cucine (proprie o degli altri, quando si trattava di fare una vera e propria questua alimentare), per cui si impastava un po’ di pane e lo si farciva con pezzetti di carni fresche specialmente di suino, formaggi, verdure, pezzetti di grasso abbrustoliti, ritagli della lavorazione dei salumi (che per la gran parte andavano ai padroni), grasso di maiale (olio e burro non erano per i poveri): insomma tutta una serie di avanzi di cucina. Come spesso accade, questa preparazione col tempo fu tanto apprezzata da assurgere a simbolo del periodo pasquale, periodo forte per la cristianità; di qui la diffusione in tutti gli strati sociali, anche quelli più abbienti che farcivano, ovviamente, in modo più ricco e abbondante. Ancora un volta si assiste alla trasformazione di un cibo dei poveri in un simbolo gastronomico sociale identitario  per le diverse aree, oltre un vero e proprio che un must pasquale.

Le prime notizie ufficiali si trovano soltanto a metà ‘800, in testi di cucina, che cominciavano a diffondersi grazie all’affermarsi di una volontà di divulgazione culinaria da un lato e alla la realizzazione di macchine di stampa moderne dall’altro, con riduzione del prezzo finale del libro e possibilità di stampare copie numerose. In molti testi, così come nel nome delle attuali PAT, si trova spesso la parola crescia, derivata certamente da criscito, assimilabile a cresciuto (riferito all’impasto) e riferendosi al lievito madre che determina (oggi come allora, quando il lievito di birra non esisteva) una notevole lievitazione dell’impasto di pane, lasciato a riposare negli appositi stampi (oggi di alluminio ma un tempo di coccio) per pizza di Pasqua. La sistemazione in tali stampi avviene dopo che l’impasto è stato lavorato a lungo (a mano o a macchina) in modo da creare una giusta maglia glutinica

La Pizza di Pasqua è un alimento decisamente goloso, da consumare senza pensare alle calorie e considerando che in definitiva si mangia solo a Pasqua (calda o fredda, a colazione, o a pranzo o a merenda) e per la classica gita fuori porta della Pasquetta. Classicamente arricchita nell’impasto solo con il formaggio pecorino grattugiato, l’elemento variabile da regione a regione (e da famiglia a famiglia) può essere però la farcitura, che può comprendere formaggio pecorino a pezzetti, uova sode, salumi vari come ciauscolo e altri salami locali. Una curiosità sulle uova: la ricetta tradizionale delle monache (stando ai testi sulle origini della preparazione) prevedeva la realizzazione contemporanea di 4 Pizze o Cresce in cui venivano incorporate 40 uova, a ricordare i 40 giorni della Quaresima: delle 4 Cresce 3 avrebbero sfamato 24 persone, 1 sarebbe andata al Padre Confessore. Tutti i dosaggi erano determinati dal numero di uova (sempre elevato) che si sarebbero usate: in media un uovo ogni 100 g di farina, e tutto il resto (sale, lievito, pepe, latte, olio o strutto o burro) era correlato alla necessità di ottenere un impasto della giusta consistenza e che lievitasse bene. La preparazione delle numerose Pizze che ogni famiglia preparava, era così impegnativa da coinvolgere tutti i componenti, sia bambini che adulti. 

La Pizza di Pasqua, o Pizza al Formaggio che dir si voglia, per tradizione deve essere preparata la sera del Giovedi o Venerdi Santo dopo le 20, quindi con lievitazione notturna (se ne dovrebbero avviare almeno 3 in onore della Trinità). La pasta dopo prolungato impasto per formare una valida maglia glutinica, viene coperta con un canovaccio, lasciata a crescere per almeno 2 ore, poi divisa in pezzi e impastata con gli altri ingredienti, indi posta nello stampo (diametro sui 20 – 25 cm, svasato, e che non deve essere agitato per non disturbare la crescita, riempito a metà per consentire alla crescia di non fuoriuscire lievitando), coperta con canovaccio e lasciata a crescere per altre ore in funzione di come la massaia vuole condurre la questione (ma almeno per 6 ore totali). 

Completata la lievitazione (la pasta ha raggiunto il bordo dello stampo), si può infornare (possibilmente in forno a legna, anche se attualmente ciò è difficile da attuare, per cui si inforna nel forno di casa, meglio se statico e non ventilato) a 180 – 200°C per circa 30 - 45 minuti secondo il volume della Pizza, fino a quando la cupola non acquista il suo bel colore nocciola carico. Per evitare disformità di cottura tra la parte alta e quella bassa della Pizza, gli esperti consigliano di mettere lo stampo nella parte bassa del forno. Prepararle con anticipo rispetto al giorno del consumo, consentiva non solo di reperire le notevoli quantità di ingredienti per le numerose cresce che ogni famiglia preparava, ma permetteva anche alla preparazione di maturare, acquisendo profumi e sapori stabili, oltre che persistenti e gradevoli. 

Un tempo la cottura avveniva presso forni comuni, o di famiglie che ne avevano uno davvero grande, e diventava occasione di scambi e chiacchiere piacevoli tra le massaie ivi convenute (che contrassegnavano in vario modo le proprie torte per riconoscerle, tra le tante, a fine cottura), in attesa di sfornare le proprie Pizze Pasquali. Dopo la posa in forno, era tradizione fare un segno di croce sullo sportello del forno chiuso, come augurio per una buona cottura e riuscita della Pizza (il risultato scadente si attribuiva a malocchio e cose simili, oltre che all’eventuale presenza di donne con ciclo mestruale tra quelle che avevano partecipato alla preparazione). 

Quando l’Italia era molto agricola e ricca anche di usanze religiose, i contadini portavano in chiesa le Pizze cotte, per farle benedire e mangiarle benedette nel giorno di Pasqua e Pasquetta. Della Pizza di Pasqua esiste anche una versione dolce, nella quale la farcitura è fatta con le uova di cioccolato frantumate, a cui si aggiungono uvetta, cannella, vaniglia, canditi, semi di anice, noce moscata, scorza di limone e arancia, volendo anche del liquore dolce profumato di proprio gusto (un tempo il rosolio), oltre a granella di zucchero o confettini in superficie. 
 

Note bibliografiche

  • C. Cesetti, C'è una volta. Ricette e storie della tradizione popolare” Ed. Stampa Alternativa
  • AAVV, Dalla fame, dal gusto e dal cuore. Ricettario di Roma e Rieti, Frosinone, Latina e Viterbo, Ed. Del Baldo
  • F. Luciani, I prodotti tradizionali della regione Marche, Ed. Errebi Grafiche Ripesi
  • AAVV, Merceologia degli alimenti, Ed. AIS

Scritto da Luciano Albano

Laureatosi nel 1978 con lode in Scienze Agrarie, presso l'Università di Bari, si è specializzato nel 1980 in "Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli" presso il C.I.H.E.A.M. (Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici del Mediterraneo) di Valenzano (Bari), ha conseguito nello stesso anno anche l'abilitazione alla professione di Agronomo. Fino al 1/3/2018 ha lavorato alla Regione Puglia nell'Ufficio Territoriale di Taranto, quale Responsabile della P.O. "Strutture Agricole". Appassionato di olio e vino ha conseguito il Diploma di Sommelier AIS nel 2005 e ottenuto nel 2008 l'Attestato di Partecipazione alle Sedute di Assaggio ai fini dell'iscrizione nell'Elenco Nazionale di Tecnici ed Esperti degli oli di oliva extravergini e vergini. Fino al 2018 è stato iscritto all'Albo Provinciale dei Dottori Agronomi e Forestali e come CTU presso il Tribunale di Taranto. Ama il food & beverage e ne approfondisce i vari aspetti tecnici, alimentari e storici

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