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Quando la cucina si intreccia con gli elementi della natura creando opposizioni e correlazioni assimilabili all’evoluzione umana
Il primo a parlare del triangolo culinario fu l'antropologo francese Claude Lévi Strauss nel V capitolo del suo libro Anthropologie structurale, pubblicato nel 1958. Dieci anni dopo, nel Breve trattato di etnologia culinaria, il tema dell'arte culinaria viene affrontato con le stesse modalità di un linguista. Infatti, come nella struttura di una lingua si contrappongono e si legano vocali e consonanti, così la cucina di una società può essere organizzata secondo strutture analoghe di opposizione ma anche di correlazione reciproca.
Secondo Lévi Strauss, il cibo non deve semplicemente soddisfare il bisogno della fame, ma deve nutrire anche la mente del singolo uomo e della società in cui vive. Ecco quindi che le categorie logiche universali che gli uomini adottano nei loro rapporti familiari e le strutture di parentela si possono ritrovare nella organizzazione dei cibi e nella loro cottura.
Nel triangolo culinario troviamo l'opposizione fra cibo elaborato o non elaborato in analogia a quella tra cultura e natura. Ai tre vertici del triangolo, troviamo le categorie crudo, cotto e putrido: il crudo è l'aspetto naturale del cibo, il cotto la sua trasformazione culturale e il putrido quella trasformazione, anche degenerativa, che avviene senza alcun intervento dell'uomo. Altre opposizioni si trovano all'interno del triangolo in altrettanti vertici; essi rappresentano i diversi metodi di cottura: arrosto, bollito e affumicato.
I cibi arrostiti sono a diretto contatto col fuoco e quindi dalla parte della natura, quelli bolliti invece, necessitando della mediazione dell'acqua di cottura e della pentola sono da intendersi dalla parte della cultura. Mentre il bollito consente di preservare i succhi delle carni, l'arrosto si associa al bruciato, alla distruzione e alla perdita. Per questo, anche in un immaginario collettivo che persiste da secoli, il bollito è legato al concetto di economia dove invece l'arrosto richiama al consumo e allo spreco: il primo ha un carattere popolare e domestico, il secondo più aristocratico.
In diverse culture, i nobili e gli aristocratici avevano il privilegio di arrostire le carni anche durante le cerimonie mentre la bollitura era riservata alle donne dei gruppi sociali meno agiati. Nel bollito non c'è spreco, nell'arrosto sì, e per questo alcuni studiosi hanno associato al primo la vita e al secondo la morte. All'interno del triangolo culinario, l'arrostito è vicino al crudo e il bollito al putrido. Il terzo vertice vicino al cotto è l'affumicato, che, come l'arrosto, non necessita di recipiente specifico tra cibo e fuoco ma solo dell'aria. Il bollito si contrappone sia all'arrosto che all'affumicato per la presenza del liquido di cottura, ulteriore mediatore tra cibo e fuoco.
Nell'affumicato, la mediazione dell'aria favorisce un maggiore contatto col fuoco come per l'arrosto, ma allunga il tempo di cottura come per il bollito; il cibo affumicato è quello dei nomadi e dei viaggiatori che necessitano di conservare il cibo durante gli spostamenti, e perciò questa condizione è intermedia tra il contatto diretto con la natura e la completa integrazione con la cultura.
La giovane psicoterapeuta francese Geneviève Guy-Gillet è partita proprio dalle idee di Lévi Strauss per risolvere diversi casi clinici: è sua convinzione che l'uomo attraverso la cucina cerca di definire il suo posto nel mondo ricercando l'armonia tra natura e cultura. Vari altri studi hanno riconosciuto nella pratica del cucinare il raggiungimento di un senso di benessere in quanto vengono stimolate delle aree del cervello che portano a migliorare l'umore. Quindi, la cucina non è solo fattore di crescita culturale, ma anche strumento per la propria serenità.
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