Vino & Lardo

Un matrimonio sorprendente: scopriamo quali tipologie di vino sono ideali da abbinare al prezioso “grasso in concia”

Vino & Lardo

Il lardo è la pratica e indiscutibile dimostrazione dell’antico detto “del maiale non si butta niente”!
Si tratta, infatti, di un pezzo di “carne” (si fa per dire) che se non conciato e consumato direttamente, non avrebbe trovato uso in cucina, anche se in seguito è stato usato come grasso da cucina come strutto sugna per alcune preparazioni, al posto di burro e olio, in passato troppo cari per molti. Oggi è diventato un prodotto di eccellenza, trattato come un prodotto di nicchia nelle salumerie, nei supermercati e nella ristorazione di ogni livello.

Realizzato in tante regioni italiane é riconosciuto a denominazione nelle versioni di Colonnata (Toscana, IGP dal 27/10/2004) e di Arnad (Valle d’Aosta, DOP dal 2/7/1996), in un recente passato aveva subito un netto calo dei consumi perché ritenuto poco adatto a una moderna alimentazione, a causa dell’elevato contenuto di grassi e per le molte calorie apportate. Ma con la giusta parsimonia di consumo, è una vera delizia tornata in auge in tanti taglieri ideali da servire in antipasti e aperitivi, soprattutto nei mesi più freddi dell'anno.

Si tratta in realtà del salume più povero che si possa immaginare, e per questo il lardo era alimento dei poveri in genere e degli addetti ai lavori più faticosi (anch’essi poveri), come i cavatori di marmo, i contadini, i muratori e di tutti coloro che da un lato svolgevano lavori molto faticosi, ma dall’altro potevano permettersi solo cibi calorici ma non di grande qualità, vista la carenza di moneta disponibile. Pane e lardo era il cibo dei meno fortunati (sia con lavoro pesante o semplicemente poveri), specialmente nelle regioni a clima più freddo.

Il lardo corrisponde allo strato sottocutaneo adiposo del suino e, in modo particolare, a quello del dorso. Questo prodotto viene sottoposto a salatura a secco ed eventuale affumicamento, prendendo il nome di lardone. È noto che in passato attraverso l’affumicatura si conservavano più a lungo molti prodotti alimentari, mentre oggi questa tecnica è stata superata da altri metodi di conservazione, conservando soltanto una funzione aromatizzante.

Il lardo non va confuso con il guanciale, non solo per l’aspetto esteriore e la forma del pezzo (parallelepipedo in un caso e triangolo nell’altro), ma anche perché questo salume a forma triangolare si ricava dal sottogola del suino, con evidenti striature di parti magre rosse e grasse bianche (il guanciale in alcune ricette può sostituire la pancetta).

Dal punto di vista nutrizionale Il grasso è praticamente l’unico componente del lardo, la cui composizione per 100 g di prodotto edibile, contempla 1 g di acqua, 99 g di grassi, formati da 33 g di acidi grassi saturi (palmitico e stearico specialmente), 37 g di a.g. monoinsaturi (in particolare oleico), 28 g di a.g. polinsaturi (maggiormente linoleico), 95 mg di colesterolo, tracce di minerali, proteine e vitamine tutti in tracce o quantità minime. Il lardo si compra a fette o a pezzi interi, nel qual caso per gustarlo al meglio  andrebbe servito su pane abbrustolito o su crostini, ma va bene anche il pane senza sale della Toscana o (se vogliamo) qualunque buon pane locale o se possibile casereccio. Dopo averlo posto sul pane, il lardo gradirà molto essere cosparso di pepe.

Ma passiamo ad alcuni consigli pratici: il servizio del lardo prevede che venga eliminata la cotenna superiore per la parte interessata alle fettine che vogliamo ricavare, incisa con il coltello quella inferiore sempre per la stessa parte della superiore, senza tagliarla o staccarla, solo fino al punto in cui arriverà la fetta che stiamo per staccare (in tal modo non esponiamo all’aria, quindi all’ossidazione e - irrancidimento, la porzione che non viene affettata. Va tagliato molto sottile per una migliore degustazione del suo sapore inimitabile e per non ingrassare troppo la bocca (e anche il corpo!), oltre che per godere al meglio delle qualità organolettiche del pane con cui lo mangiamo e del vino che stiamo bevendo. Bisognerà scegliere, secondo il gusto personale, se poggiare la fetta su pane caldo in modo che questa si sciolga un pochino aderendo meglio alla fetta di pane e sprigionando di più il profumo dell’insieme pane – lardo, o se gustarla con pane a temperatura ambiente.

Pur essendo classico l’uso del lardo sopradescritto, resta il fatto che esso viene usato ancora oggi come condimento per alcune minestre tipiche regionali, per bardare pezzi di carne o volatili oppure servito come antipasto in fettine molto sottili (si tratta del lardo aromatizzato con erbe aromatiche tipo rosmarino, alloro, e maggiorana o con spezie tipi vari tipi di pepe in grani). Per conservarlo dopo l’affettamento ripieghiamo la cotenna inferiore rimasta, senza lardo dopo l’affettamento, sulla porzione ancora non affettata, avvolgiamo con un panno un po’ umido e poniamo il tutto in frigo.

Per quanto riguarda il vino da abbinare va subito detto che trattandosi di un cibo povero, non è logico abbinare vini eccellenti, ma semplicemente di discreta qualità. Lardo (e pancetta, sia stesa che arrotolata, non affumicata però) date le notevoli sensazioni di grassezza (ricordo che trattasi di patinosità della lingua e pastosità del cavo orale) e tendenza dolce, richiedono secondo molti amanti del lardo un vino rosso giovane (nel primo anno dalla vendemmia, con tipico colore dal rosso porpora al rosso rubino, con riflessi violacei), quindi acidulo cioè fresco, con bouquet fruttato (profumo di fragola, lampone, ciliegia e talvolta rosa) per equilibrare i profumi delle spezie ed altri aromi del lardo, abbastanza caldo (cioè non troppo alcolico, diciamo sui 12°C, da servire a 14 – 16°C di T, quasi ambientale in certe stagioni) per stemperare la succulenza in bocca, e morbido (sia per alcol che per glicerina ed altri alcoli superiori) per contrastare la sapidità, con un fondo tannico (anti untuosità).  

Questa la scelta dei più, ma facciamo alcune considerazioni. Il lardo è grasso puro e tale resta anche se viene salato e aromatizzato (con spezie varie ed erbe), in modo da non mangiare solo del grasso ma qualcosa di più saporito e profumato, sottratto anche al deterioramento grazie proprio al sale e alle spezie come il pepe (talvolta anche grazie all’affumicamento): mangiandolo lo sentiamo grasso e dolciastro (tendenza dolce tipica anche della carne, di alcuni ortaggi come i piselli, l zucchine, la zucca, ecc., molti pesci, molluschi e crostacei). Occorre perciò un vino che sgrassi la bocca e contrasti la tendenza dolce: i più indicati sarebbero i vini bianchi giovani (colore bianco carta fino al giallo paglierino) in quanto notoriamente più aciduli dei rossi di pari età e, quindi, più freschi in bocca; essendo giovani saranno profumati di pera, mela, pesca, ananas, banana in funzione del vitigno. Ancora meglio andranno i bianchi con bollicine, dato che l’anidride carbonica (CO₂) è chimicamente un prodotto acido, capace quindi come gli acidi del vino (tartarico, malico, acetico, lattico ed altri) di far salivare la bocca e ripulire dalla grassezza, con attenuazione del dolciastro.

In tal modo, eliminate queste due sensazioni (piacevoli ma non a lungo) il commensale è pronto per un altro boccone di pane e lardo. Saranno bianchi poco alcolici (sotto i 12° e serviti a T di 8 – 10°C) perché non vi è succulenza vera e propria (il lardo non contiene liquidi di cottura o strutturali), ma una modesta sensazione dovuta al sale e alle spezie che a contatto con le mucose della bocca determinano una certa salivazione, la quale non diluisce molto l’alcol del vino. Quando invece mangiamo un lardo fatto un pochino sciogliere sul pane riscaldato, allora si crea in bocca una untuosità (ricordo che trattasi di senso di scivolosità nella bocca dovuta al componente oleoso o grasso fuso) come per quelle pietanze che contengono molto burro o margarina o strutto o sugna o panna, la quale andrebbe stemperata con un maggiore tenore alcolico del vino o passando a un rosso tannico e giovane, come descritto prima. Concludendo: vanno meglio i bianchi, specialmente vivaci, ma se non piacciono si può passare tranquillamente ai rossi. De gustibus non dispuntandum est!

Note bibliografiche
GE.DI Salumi d’Italia, Ed. L’Espresso 
Salumi d’Italia, Ed. Slow Food 
Qualigeo – Atlante Qualivita
Merceologia degli alimenti, Ed. AIS 
Tecnica dell’abbinamento cibo vino, Ed. AIS
Rivista mensile Il Mio Vino, Ed.  Il Mio Castello

Scritto da Luciano Albano

Laureatosi nel 1978 con lode in Scienze Agrarie, presso l'Università di Bari, si è specializzato nel 1980 in "Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli" presso il C.I.H.E.A.M. (Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici del Mediterraneo) di Valenzano (Bari), ha conseguito nello stesso anno anche l'abilitazione alla professione di Agronomo. Fino al 1/3/2018 ha lavorato alla Regione Puglia nell'Ufficio Territoriale di Taranto, quale Responsabile della P.O. "Strutture Agricole". Appassionato di olio e vino ha conseguito il Diploma di Sommelier AIS nel 2005 e ottenuto nel 2008 l'Attestato di Partecipazione alle Sedute di Assaggio ai fini dell'iscrizione nell'Elenco Nazionale di Tecnici ed Esperti degli oli di oliva extravergini e vergini. Fino al 2018 è stato iscritto all'Albo Provinciale dei Dottori Agronomi e Forestali e come CTU presso il Tribunale di Taranto. Ama il food & beverage e ne approfondisce i vari aspetti tecnici, alimentari e storici

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