Da dove deriva il prodotto di salumeria preferito dagli italiani? E cosa vuol dire “di alta qualità”?
Prodotto tra i più amati delle nostre tavole, dimostra che del latte non si butta via nulla: scopriamo la ricotta tra storia, produzione e tipologie
L’estate è ormai giunta, e con le sue temperature più calde sale anche l’attrazione in tavola verso un prodotto caseario fresco, antico e semplice come la ricotta, apparentemente “povera” ma in realtà nutriente, leggera e gustosa, ideale anche da unire a tanti altri ingredienti per dar vita a innumerevoli ricette tradizionali, dal dolce al salato.
Nota già al tempo dei Romani (ce ne parla Virgilio nelle sue Georgiche, dedicate alla vita dei pastori e dei contadini: secondo il poeta la ricotta sarebbe stata ideata da Aristeo, figlio del dio Apollo) e dei Greci (della ricotta parlava già Omero nell’Odissea, con riferimento non solo all’incontro con Polifemo - che preparava proprio lui la ricotta, avendo un numeroso gregge di pecore e capre - ma specialmente all’isola di Itaca, patria di Ulisse, terra aspra, con pascoli magri e affollata perciò da capre e pecore). la ricotta nell’antichità era apprezzata anche dagli altri popoli della vicina Asia (Sumeri, Babilonesi, Ebrei), e anche gli Egiziani la producevano, ricchi come erano di pascoli grazie alle inondazioni periodiche del Nilo con il suo limo fertilizzante. Si tratta quindi di un prodotto noto da almeno 2.500 anni prima di Cristo, tanto antico proprio per la facilità di produzione e la semplicità dei mezzi per ottenerla. Ma andiamo su aspetti pratici, al di là delle menzioni storiche o favolistiche che siano.
Produrre ricotta vuol dire valorizzare il siero del latte, ovvero ciò che resta dopo aver prodotto un formaggio, dando vita a una specialità tipicamente italiana. Nonostante questa tipicità, in Italia la ricotta non è tutelata da norme specifiche (pur dovendo sottostare naturalmente a quelle di tipo igienico-sanitario). Come vedremo, di ricotte ne esistono diversi tipi, tutti però accomunati dalla definizione di ricotta come “prodotto della coagulazione al calore delle proteine del latte, principalmente siero proteine”, originando un prodotto generalmente fresco, ma talvolta anche stagionato più o meno a lungo.
La ricotta non è un formaggio ma un latticino, in quanto non si ricava dal latte ma dal siero residuo della caseificazione, oltre al fatto che le proteine non coagulano per azione del caglio ma del calore, non essendo perciò applicabile ad essa la definizione legale di formaggio (“il formaggio o cacio è il prodotto che si ricava dal latte intero o parzialmente o totalmente scremato oppure dalla crema, in seguito a coagulazione acida o presamica, anche facendo uso di fermenti e di sale da cucina”).
Una prima distinzione operabile è quella tra ricotta fresca e ricotta stagionata. La ricotta fresca è un latticino che non viene posto a maturare, contiene molta acqua, possiede una granulosità evidente ma non sabbiosa (quindi solo visiva), un gusto molto delicato e tendente al dolce, emana profumo di latte e crema (la crema o panna è praticamente costituita dalla parte grassa del latte e viene da questo separata tramite affioramento spontaneo o per centrifugazione). Se prodotta industrialmente, può presentare una shelf-life di 20-40 giorni o di una sola settimana a seconda della dimensione produttiva (maggiore nelle grandi industrie, minore nelle medie), mentre la shelf –life si abbassa ad 1-2 giorni se prodotta artigianalmente nell’azienda agricola o in piccole realtà industriali.
La conservabilità della ricotta è legata alle modalità di sgrondo o drenaggio della cosiddetta “scotta”, operazione di una decina di minuti (breve) se effettuata in sistemi protetti dalle contaminazioni, prolungata da 3-4 ore a una intera giornata (è il tipo più diffuso) se fatta avvenire per semplice sgrondo della ricotta posta nelle fiscelle (contenitori tronco-conici forati, un tempo fatti con giunchi o vimini, oggi in plastica bianca) o contenitori telati, in locali puliti ma certamente non condizionati. Importante per la conservabilità è la post-contaminazione che si può verificare durante il confezionamento, tanto che molti produttori preferiscono trattare termicamente una seconda volta la ricotta prima di confezionarla a caldo.
La ricotta stagionata è tipicamente prodotta da latte ovino e, a differenza della fresca, viene pressata per allontanare il siero in eccesso nel prodotto finale, oltre che salata ed eventualmente anche affumicata. La stagionatura può protrarsi anche per qualche mese, con riflessi sulle caratteristiche finali del prodotto, il quale si presenta delicatamente piccante e meno umida (50 – 55%) di quella fresca.
Una ulteriore distinzione delle ricotte si basa sul latte da cui deriva il siero, per cui le ricotte saranno bovine, ovine, bufaline, raramente caprine o miste. La temperatura a cui viene riscaldato il siero di latte oscilla tra 78 e 94°C a seconda del latte di partenza; il riscaldamento del siero può avvenire per fuoco diretto (di legna o di un bruciatore a gas), per scambio di calore indiretto (il siero viene posto in caldaie a doppia fondo con intercapedine, in modo da evitare il contatto diretto del siero con il fondo che tocca il fuoco), per immissione di calore (come vapore surriscaldato all’interno della massa sierosa), o ancora per preriscaldamento a 60-70°C in uno scambiatore di calore (come avviene per il trattamento termico del latte a lunga conservazione) e successiva formazione della ricotta con immissione di vapore surriscaldato nel siero preriscaldato.
Alla formazione della ricotta sulla superficie del siero caldo (la ricotta altro non è che una massa di siero proteine coagulate, inglobanti anche particelle di grassi, che spontaneamente sale in superficie), segue l’operazione manuale cosiddetta di cavatura della ricotta dalla superficie, effettuata con mestolo forato o con spannarola (simile al mestolo forato ma con manico curvo sulla parte forata), operazione importante ai fini economici in quanto la resa del siero in ricotta dipenderà non solo dalla emersione più abbondante possibile delle proteine, ma anche dalla bravura dell’operaio a raccogliere la ricotta lasciandone il meno possibile a galleggiare ancora sulla superficie del siero.
Per evitare che durante la raccolta la ricotta si rompa e diventi difficile procedere, perdendo così parte del prodotto, si usa aggiungere del latte durante il riscaldamento del siero in modo da avere una massa proteica più compatta e, quindi, più facile da raccogliere senza che si frantumi. In molte produzioni locali si usa aggiungere un po’ di scotta del giorno prima, fatta inacidire durante la notte, oppure si immergono nel siero caldo rametti di fico, che con il loro lattice (linfa) favoriscono la coagulazione proteica.
Nelle piccole produzioni, la cavatura della ricotta ancora oggi è fatta manualmente e con grande maestria per le motivazioni sopra evidenziate, mentre a livello di industrie medie e grandi tale operazione è stata meccanizzata. In ogni caso, successivamente la ricotta dovrà spurgare (drenare) per l’allontanamento della scotta (cioè del siero esausto ancora presente in eccesso nella ricotta appena prodotta). Lo spurgo dura da 20 minuti a 4 ore ed avviene nelle fiscelle o in cassette telate, a temperatura ambiente, per poi porre il prodotto in frigo per la conservazione fino alla vendita. Industrialmente il raffreddamento avviene dopo il confezionamento a caldo, immergendo le confezioni in acqua e ghiaccio, oppure in tunnel con aria a 0°C.
La resa di un siero in ricotta è molto variabile (dal 3,5 al 23%), in quanto dipende sia dalla materia prima, sia dal riscaldamento (metodo e temperatura usata), dalla corretta cavatura e infine dalla durata dello spurgo. La composizione di una ricotta dipende dalla materia prima e dalla tecnica di produzione (industriale o artigianale); quella vaccina apporta circa 146 kcal/100 g (157 kcal quella di pecora, 212 kcal di bufala), e contiene acqua per il 76%, residuo secco per il 24%, composto a sua volta per l’ 11 % da grassi (11,5 pecora, 17,3 bufala) , per l’ 8,8% da proteine (9,5 pecora, 10,5 bufala), colesterolo 50 mg (56 pecora e 50 bufala), 294 mg di calcio, fosforo 237 mg, potassio 119 mg, sodio 78 mg, cloro 100 mg, oltre a provitamina A, Vitamina E e D, ceneri, lattosio, galattosio, acido lattico, acido acetico, acido citrico. La ricotta è, quindi, un cibo poco calorico, molto digeribile e nutriente, ma estremamente deperibile quando fresca, meno se affumicata, salata o anche fermentata (come la ricotta forte, tipica di alcune regioni del Sud, particolarmente Salento e Basilicata).
La ricotta fresca in cucina rincorre in tante ricette tradizionali dolci (si pensi alle torte di ricotta tipiche in ogni stagione nelle regioni del Centro-Sud Italia, così come agli irrinunciabili cannoli e alla cassata siciliana), ma numerose sono anche le preparazioni salate che la prevedono, dalla pasta alla Norma rifinita con una grattugiata di ricotta salata agli gnudi toscani, fino alla pasta servita con ricotta tal quale, con aggiunta di un tocco di salsa di pomodoro, di acciughe, di un semplice filo d’olio e una macinata di pepe, a seconda delle tradizioni tradizionali e familiari. Un altro modo semplice e goloso di valorizzarla in tavola risiede nella frittura della ricotta, che prevede che il prodotto (“vecchio” di almeno un giorno, per favorirne una maggiore compattezza) venga tagliato a fette e impanato in uova e pangrattato per poi essere fritto ben freddo in immersione in olio bollente.
La tipicità tutta italiana della ricotta è stata riconosciuta da tante regioni, le quali hanno inserito le loro ricotte tipiche nell’elenco di prodotti PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale), come Campania (ricotta di Carmasciano, di fuscella, di Laticauda, di pecora Bagnolese, essiccata di bufala, essiccata ovicaprina, fresca di bufala, fresca ed essiccata di pecora, fresca ed essiccata di capra, ricotta manteca di Montella e ricotta salaprese), Calabria (ricotta, ricotta affumicata, ricotta di capra affumicata, ricotta di pecora, ricottone salato), Basilicata (ricotta, ricotta forte, ricotta salata) Lazio (ricotta di bufala [affumicata, infornata, salata], ricotta di pecora e di capra dei Monti Lepini, ricotta secca e ricotta viterbese), Emilia Romagna (ricotta vaccina tradizionale dell’Emilia Romagna), Friuli Venezia-Giulia (ricotta affumicata di malga e ricotta di capra), Liguria (ricotta della val Stura, della val d’Aveto, della valle Scrivia, della val Graveglia), Puglia (ricotta, ricotta forte, ricotta marzotica leccese, ricotta salata), Sicilia (ricotta di pecora e di vacca, ricotta iblea, ricotta infornata, ricotta mista) e molte altre, proprio a significare che la ricotta è esclusivamente un prodotto tipico italico.
Concludiamo con qualche nota aggiuntiva su un prodotto particolare come la ricotta forte, preparata in alcune regioni, ma tipica in particolare del Salento, in Puglia. Il termine forte (in dialetto salentino “ascuant”, cioè bruciante in bocca, come un peperoncino leggero) fa chiaramente riferimento al sapore spiccato, acidulo, lievemente piccante e amarognolo, posseduto dal prodotto. La ricotta forte si ottiene dalla fermentazione (grazie a lieviti e batteri lattici) della ricotta ben spurgata dalla scotta, posta in tipiche “capase” cilindriche di terracotta smaltata, coperte con tela, poste in ambiente fresco; dopo i primi tre giorni, essa viene rimescolata e lasciata al suo posto per altri 30 giorni; si rimescola ogni tanto fino a quando non si raggiunge la consistenza e la piccantezza desiderata. Il procedimento dura 3-4 mesi, e durante tutto questo tempo si formano derivati degli acidi grassi volatili (A.G.V.) monocarbossilici, come quello butirrico (C₃H₇COOH), caproico (o capronico, C₅H₁₁COOH) ed acetico (CH₃COOH), nonché dicarbossilici come quello lattico (CH₃-COOH-COOH), responsabili della caratteristiche sopra descritte, e derivati dalla trasformazione in amminoacidi delle proteine del siero.
In cucina la ricotta forte, con la sua consistenza cremosa e spalmabile (differenza di quella salata, o di quella affumicata o di quella essiccata, o della siciliana infornata che sono consistenti e da tagliare a fette), il colore giallo paglierino e il profumo marcato quanto inconfondibile, si usa a Sud per farcire panzerotti fritti, condire insieme alla salsa di pomodoro la pastasciutta (ancor meglio se fatta in casa con acqua e farina, come orecchiette e cavatelli), e ancora sulle bruschette o per dare sapore alle minestre di legumi (come i fagioli, con o senza pasta). Una specialità tutta da conoscere e provare!
Note bibliografiche
- Mucchetti – Neviani, Microbiologia e tecnologia casearia, Ed. Tecnica Alimentare
- Risolvo, Mange e bbive tarandine, Scorpione Editrice
- AA.VV., La terra dell’ulivo, Mario Adda Editore
0 Commenti