Stracciatella & Burrata

Il trionfo della freschezza del sapore del buon latte italiano: ecco storia, similitudini e differenze tra stracciatella e burrata

Stracciatella & Burrata

Stracciatella è un termine che in molti italiani richiama alla mente non un formaggio ma una minestra a base di uova e brodo, tipica di molte regioni, ma che potremmo definire ormai come preparazione italiana. Quando ci si trova in Puglia la parola stracciatella, invece, richiama un formaggio freschissimo che, insieme alla burrata (di cui essa è componente essenziale, come vedremo a breve), rappresenta un vero e proprio must della produzione casearia regionale. Si tratta di due squisitezze “bianche” pugliesi, due formaggi freschi che incantano chi li assaggia per la prima volta e vincola a mai rinunciare chi ormai le conosce; due vere golosità, certamente caloriche e colesteroliche, ma senza dubbio da gustare, anche se con parsimonia, perché il loro sapore è veramente delizioso, indimenticabile.

Base della burrata (il cui nome richiama il burro, ma con questo nulla ha a che fare, se non per la cremosità, morbidezza e sapore dei grassi) è la stracciatella, un formaggio freschissimo il cui nome dice già tutto: si tratta straccetti/sfilacci di pasta filata simile alla mozzarella vaccina di alta qualità, ottenuti con lavorazione a mano (se si meccanizzasse potrebbe venir fuori un tritato di mozzarella!), i quali vengono miscelati a panna di latte. Prodotto tipico della zona pugliese delle Murge, altopiano carsico, di forma quadrangolare situato tra la Puglia centrale e Basilicata nord – orientale, che interessa principalmente la provincia di Bari e la BAT, in subordine quelle di Taranto e Brindisi, il cui nome deriva da murex perché le rocce sono appuntite e conformate come la conchiglia del murice (Bolinus brandaris), mollusco marino diffuso nello Ionio e nella gastronomia delle zone costiere pugliesi, questo formaggio ha un sapore leggermente acidulo, molto delicato, saporito grazie in particolare al contenuto in grassi della panna di latte

La panna usata un tempo era quella ottenuta per affioramento, ma oggi sia per ridurre i tempi di lavorazione e relativi costi, che per motivi tecnologici e di sicurezza igienica, si preferisce quella di centrifugazione (di latte o di siero di latte), opportunamente pastorizzata per evitare la proliferazione di microrganismi molto dannosi per la salute (come Clostridium botulinum, Listeria ed alcuni Enterococchi). La pastorizzazione della panna viene conseguita sottoponendola a riscaldamento: 75°C per 40’ se con grasso 10-20%, 80°C per 20’ con grasso superiore al 20%.

La stracciatella è prodotta durante tutto l’anno, ma la migliore qualità è quella primaverile/estiva perché in tale periodo l’alimentazione delle vacche da latte è a base di erba verde del pascolo, con indubbi risultati su profumo e composizione del latte e, di conseguenza, della panna e della pasta filata da cui si ricaveranno gli straccetti. Si può dire che mangiando la stracciatella si avverte la consistenza della mozzarella fresca e la cremosità della panna di affioramento, con un risultato finale ineguagliabile. 

L’idea della stracciatella ha origine durante la crisi economica dei primi anni del secolo scorso, quando il Regno d’Italia da poco formato non aveva ancora trovato una sua fisionomia e stabilità  economica – finanziaria  – produttiva, in particolare nelle regioni del Sud (non si dimentichi il fenomeno del brigantaggio, nato come ribellione al governo savoiardo che opprimeva le popolazioni meridionali, di per se stesse già molto più povere di quelle nordiche, ma il discorso a riguardo sarebbe troppo slungo da fare, esulando dall’argomento), per cui le popolazioni rurali meridionali “inventarono” le trasformazioni dei prodotti tipici in prodotti innovativi, tali da migliorare i profitti. Rilevante fu anche l’abitudine contadina a non sprecare nulla, utilizzando tutti i residui delle lavorazioni casearie del tempo.

Insieme alla stracciatella nacquero la burrata (di cui dirò a breve) e la manteca (palla di burro avvolta da pasta filata, necessaria per conservare - non esistevano i frigoriferi - il burro, specialmente durante le traversate oceaniche che portavano gli emigranti verso USA, Brasile, Argentina, ecc.). Del metodo di produzione della stracciatella dirò illustrando la burrata, del cui ripieno la stracciatella è attrice incontrastata. Vista la composizione è facile intuire che la stracciatella è un formaggio ricco di calorie (per via dei grassi contenuti nella panna e nella mozzarella stracciata), ma la delizia è tale che vale il detto “semel in anno licet insanire” (lat. «una volta all'anno è lecito far pazzie», in tal caso gastronomiche).

In cucina la stracciatella è ottima consumata tal quale, da sola, in purezza; alcuni amano aggiungere un filo di prelibato olio d’oliva pugliese, altri anche un pizzico d’origano o timo secchi, ma personalmente non condivido affatto l’aggiunta di grassi vegetali a grassi animali di tale levatura,tanto meno l’aggiunta di un profumo di erbe aromatiche che nulla hanno a che fare con la stalla, per cui propendo per la purezza della stracciatella e della burrata, per gustare in pieno profumo e sapore. 

Questo formaggio fresco spesso viene posto in focacce tradizionali (come quella di Laterza), sulle bruschette (consiglio personale: senza aglio), per farcire i fiori di zucca e le barchette di zucchine, in accompagnamento a crostacei, pesci, pomodori, salumi, funghi, misto ad insalate di vario genere, antipasti, primi piatti (specialmente orecchiette fresche) e molto altro (in cucina la fantasia non ha praticamente limiti). Al pari della burrata, se posta in frigo la stracciatella può durare fino a 4-5 giorni senza subire alterazioni significative, posta nella parte meno fredda del frigorifero; non può essere congelata perché la perderemmo completamente.

Ma parlare di stracciatella vuol dire parlare necessariamente anche di burrata, prodotto pugliese di grandissima qualità, tipico della zona di Andria, nelle Murge, replicata anche nelle regioni confinanti, come accaduto anche per la stracciatella. La burrata pugliese ha ottenuto il riconoscimento di PAT, mentre quella di Andria ha visto nel 2016 il riconoscimento di IGP, con uno specifico disciplinare di produzione e consorzio di tutela. 

Ideata dall’andriese Lorenzo Bianchino Chieppa negli anni venti del secolo scorso, questo formaggio prelibato è legato indissolubilmente ai territori dei comuni di Andria (BAT) e Martina Franca (TA), lsi presenta con peso commerciale da 100 g a 1 kg, ha la forma di un sacchetto di pasta filata (praticamente la stessa della mozzarella, ma assottigliata all’uopo), graziosamente chiuso alla sommità anche per consentire eventuale legatura con rafia alimentare, con all’interno straccetti di mozzarella misti a panna fresca di latte (cioè di stracciatella). Come per la stracciatella, anche per la burrata la lavorazione è completamente manuale, con un prodotto finale privo di crosta, con un involucro morbido di pasta filata di circa 2 mm di spessore, che al taglio lascia fuoriuscire della panna, con un aroma tipicamente lattico – burroso – cremoso di panna, con sapore delicato che sa di latte e panna indiscutibilmente. 

Per la preparazione della burrata si parte da latte vaccino crudo o pastorizzato (72°C per 15”), acidificato in vari modi (latte innesto, siero innesto, fermenti selezionati, acido citrico, acido lattico), riscaldato a 35-37°C, fatto coagulare con l’aggiunta di caglio naturale di vitello o di caglio microbico. La cagliata che si forma viene rotta fino ad ottenere grumi grandi come una nocciola, cui segue riposo di 4-5 ore per sgrondatura del siero e acidificazione della pasta che solo così potrà essere filata (vengono eliminati in tal modo la maggior parte del calcio e del fosforo presenti nella cagliata, responsabili di difficoltà di lavorazione della pasta filata per ridotta elasticità); segue la filatura della pasta (con ausilio di un bastone di legno), previa immersione frequente in acqua bollente  (circa 90C, eventualmente salata); una parte della pasta filata viene usata per ricavare straccetti da unire alla panna, mentre la parte restante serve per formare i sacchetti simili a fiaschetti, in cui porre il misto straccetti/panna, che saranno sigillati in acqua bollente, poi eventualmente legati con rafia alimentare, quindi passati in acqua fredda per consolidarsi e successivamente in salamoia (se non è stata salata la panna o la pasta filata).

Dal punto di vista nutrizionale la burrata, come la stracciatella pura, è un formaggio fresco, saporito e calorico, oltre che colesterolico, da consumare quindi con moderazione, preferibilmente da sola non solo per gustarla veramente, ma anche perché la presenza di grassi abbondanti sazia abbastanza presto e (salvo ingordigia) non apre lo stomaco verso altre pietanze (a parer mio è un errore servire burrata e stracciatella come antipasto!). 

La composizione della burrata (estendibile alla stracciatella tal quale) vede in media in 100 g: 287 kcal, acqua 58,7 g, proteine 12 g, grassi 26 g, carboidrati 2 g, colesterolo 70 mg, cloro 510 mg, fosforo 234 mg, sodio 134 mg, calcio e potassio rispettivamente 127 mg, solfo 75 mg, magnesio 9 mg, iodio 3 mg, zinco 1,68 mg, oltre a tracce di ferro e selenio; per le vitamine sono presenti quelle del gruppo B (B₁ o tiamina, B₂ o riboflavina, B₃ o niacina, B₉ o acido folico, B₁₂ o cobalamina), la vita A o retinolo, la D o calciferolo e la E o tocoferolo. Un quadro, quindi, di tutto rispetto come completezza nutrizionale, da cui la necessità di non eccedere. 

La bontà di questo prodotto fuori dall’Italia è testimoniata (come si legge nell’art. 6 del disciplinare della burrata di Andria IGP) dal fatto che “una delle prime segnalazioni risale al 1931 nella Guida del Touring Club e il successo della Burrata di Andria fu sin da subito enorme, non solo in Italia, ma anche all’estero, tanto da trovare nello Scià di Persia uno dei suoi estimatori più fedeli”. 

Nello stesso articolo leggiamo anche: “Il gusto semplice e burroso di questo tipico prodotto pugliese, permette di soddisfare tutti coloro che, avvicinandosi alla cucina mediterranea, cercano prodotti semplici, genuini e poco elaborati. La Burrata di Andria ha una notevole presenza nei menù di numerosi ristoranti del mondo dove si evidenzia il pregio di tale prodotto specificandone la provenienza andriese. Il prodotto Burrata di Andria, oltre ad aver mantenuto inalterato il legame tra tradizione produttiva e territorio, ha raggiunto una notorietà ancora più significativa se si considera la durata limitata (shelf-life) del prodotto che ne frena la commercializzazione. Trattandosi, infatti, di un prodotto che va consumato fresco, la burrata sembrerebbe essere trascurata dagli operatori commerciali più importanti e relegata ad un mercato di nicchia. Nonostante ciò il prodotto presenta una consolidata domanda evidentemente legata al raggiungimento di una ottima reputazione presso i consumatori”……. “Nonostante la sua breve shelf-life, la burrata di Andria è molto apprezzata all’estero anche in paesilontani come gli Stati Uniti dove settimanalmente il prodotto viene spedito da alcune aziende associate. Una testimonianza è il menù di una nota catena di ristoranti “Il Fornaio” che è solita organizzare dei periodi tematici in cui proporre determinate specialità e prelibatezze”.

Per quanto attiene all’abbinamento con il vino, le due specialità procedono sulla stessa via: se consumate tal quali abbineremo vino bianco, secco, giovane, preferibilmente frizzante, non troppo profumato in modo da sposarsi bene con le sensazioni di grassezza, tendenza dolce e delicatezza gustolfattiva dei due speciali formaggi pugliesi. Ottimi gli spumanti per sgrassare meglio la bocca e sentirla pulita dopo la deglutizione. Anche i rosati con caratteristiche simili non sfigureranno. 

Note bibliografiche

  • Mucchetti – Neviani, Microbiologia e tecnologia lattiero casearia, Ed. Tecniche Nuove
  • Disciplinare di produzione Burrata di Andria IGP
  • Mensile “Il mio vino”, Ed. Il Mio Castello
  • AA.VV., Merceologia degli alimenti, AIS
  • AA.VV., Tecnica dell’abbinamento cibo-vino, AIS

Photo made in AI

Scritto da Luciano Albano

Laureato con lode in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Bari nel 1978, ha svolto servizio come dirigente del servizio miglioramenti fondiari della Regione Puglia presso l’Ispettorato Agrario della città di Taranto. Appassionato di oli e vini, ha conseguito il diploma di sommelier A.I.S. e quello di assaggiatore ufficiale di olio per la sua regione

Già specializzato in Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli presso il C.I.H.E.A.M. di Bari (Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Mediterraneennes), nonché iscritto all'Ordine dei Dottori Agronomi della Provincia di Taranto e nell'Albo dei C.T.U. del Tribunale Civile di Taranto

, da sempre ama approfondire il food e il beverage per metterne in rilievo ogni sfaccettatura.

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