La mozzarella

La pasta filata fresca è un fiore all’occhiello delle nostre tavole: scopriamo le differenti tipologie di mozzarelle e come servirle in tavola

La mozzarella

La mozzarella è un formaggio a pasta filata (non un latticino come tanti sostengono, semplicemente perché ad essa si può applicare la definizione legale di formaggio, che abbiamo già citato in altri articoli di ProDiGus) tipico dell’Italia Meridionale, prodotto successivamente, ma sempre anticamente, anche nel Centro Italia. Attualmente viene prodotta su tutto il territorio nazionale, ma per la qualità i caseifici eletti sono quelli meridionali, campani e pugliesi in particolare. 

Il latte utilizzato per la preparazione delle mozzarelle può essere di bufala, di vacca o misto; ciò ha fatto sì che in commercio oggi sia possibile trovare:

  • la "Mozzarella di bufala campana DOP": indica la mozzarella di latte bufalino con denominazione d’origine protetta (DOC nel 1993, DOP nel 1996; fino a tale anno era la sola a poter essere chiamata semplicemente "mozzarella"); 
  • la "Mozzarella di latte di bufala": indica la mozzarella di latte bufalino che non ha la DOP; 
  • la “Mozzarella con latte di bufala”: denominazione rara che indica una mozzarella fatta con latte misto bovino e bufalino (30% circa); 
  • la "Mozzarella Tradizionale" (senza ulteriori specificazioni) prodotta con latte di vacca e riconosciuta PAT; 
  • la "Mozzarella di latte vaccino" o "fior di latte": cioè la mozzarella di latte vaccino, ma è giusto precisare che “fior di latte” si usava quando la parola mozzarella era relativa solo a quella di bufala, mentre in realtà oggi (oltre che storicamente) la fior di latte si differenzia (pur essendo parte della mozzarella) dalla mozzarella vaccina classica in quanto meno ricca di siero e più facile da introdurre nelle pietanze, specialmente sulla classica pizza napoletana, perché non rilascia molto siero e, quindi, non altera la preparazione e ha, di conseguenza, una resa in cucina superiore a quella della classica mozzarella di vacca, oltre al fatto che fila molto meglio nelle pietanze in cui è introdotta, pizza napoletana in primis. 

Una differenza valutabile facilmente è la seguente: la fior di latte normalmente non viene tenuta in liquido di governo e viene venduta incartata, a differenza delle vaccine che per qualsiasi pezzatura sono sempre in acqua e senza carta. I termini "Mozzarella di bufala" e "Mozzarella bufalina" non sono consentiti dalla legge.  

La mozzarella deve il suo nome all'operazione di mozzatura compiuta per separare dall'impasto i singoli pezzi durante la lavorazione artigianale, come testimonia anche la sua antica denominazione: mozza per indicare “l’operazione manuale di strozzatura della matassa di pasta filata a mano, per ottenere gli ovuli caratteristici”. Con 100.000 tonnellate esportate ogni anno, la mozzarella è il terzo formaggio italiano più apprezzato all'estero, dopo Grana Padano e Parmigiano Reggiano. In passato la mozzarella era consumata essenzialmente nei luoghi di produzione e nei loro pressi, in quanto non solo non erano ancora presenti le ferrovie ed altri mezzi a motore per il trasporto a distanza notevole, ma non esistevano sistemi di conservazione frigorifera. 

La mozzarella veniva perciò consumata fresca, senza dimenticare che quella di piccole produzioni domestiche (accade anche oggi) andava consumata per il miglior risultato gustativo, non proprio appena fatta ma dopo un giorno di maturazione. Infatti la mozzarella della massaia di campagna deriva da una cagliata meno acida di quella più commerciale e, appena fatta è “nervosa”, molto consistente, perché la cagliata e la pasta filata hanno ancora in sé molto calcio e fosforo. Nelle 24 ore successive diventa la mozzarella di casa diventa più elastica e saporita grazie alla distensione delle caseine coagulate e lieve aumento dell’acidità del siero che le pervade, con abbandono in questo degli ioni calcio e fosforo. Nella produzione industriale, invece, l’acidificazione di lavorazione è più spinta, la cagliata perde più calcio e fosforo, la mozzarella è morbida e saporita appena fatta.

Le origini della mozzarella si perdono nel tempo e gli autori non sono d'accordo sull'epoca in cui fu “inventata”, anche perché insieme alla mozzarella veniva prodotta la cosiddetta “provatura” (specialmente nel Lazio e nella Campania), che prende il nome da prova, termine con il quale si indicava la porzione estratta da una pasta filata destinata alla produzione di  formaggi più consistenti e da stagionare brevemente (come il caciocavallo, la provola [da prova] e la scamorze ritenuta madre della mozzarella [da scamozzare]), per  testare la qualità della  pasta filata che si stava preparando a tal fine (era di buona qualità se una piccola porzione della pasta si allungava fino a 1 metro). Si trattava di una pasta filata più conservabile di quella della mozzarella (perché contenente meno acqua) e per questo trasportabile e commercializzabile per tempi più lunghi rispetto alla mozzarella o alla ricotta. 

La più antica citazione di un formaggio che doveva essere simile alla mozzarella è quella di Plinio il Vecchio, con riferimento a un prodotto della Basilicata, nella zona a ridosso del fiume Bradano nei pressi di Metaponto (siamo vicinissimi al confine con la Puglia, altra area di elezione dei formaggi a pasta filata, tra cui la mozzarella di Gioia del Colle, oggi a denominazione d’origine protetta – GUUE del 9/12/2020). Il termine “mozza” compare però per iscritto solo nel XII secolo, con riferimento a un prodotto dei monaci di un monastero di Capua (insediatisi in zona intorno all’anno 800, siamo nel IX secolo d.C., dopo essere fuggiti dal Molise, dalla zona dell’attuale Isernia), i quali offrivano ai pellegrini che si fermavano da loro, pane con mozza o provatura (questo accadeva specialmente nelle festività cristiane).

La tradizione casearia della pasta filata non è però appannaggio esclusivo del Meridione italiano, dato che anche nell’Italia Centrale si ottenevano formaggi di questo tipo, come attestato da documenti marchigiani del 1496 e a Roma in un ricettario di Bartolomeo Scappi (1500-1577), cuoco dei Papi Pio IV (224° Papa dal 1559 al 1565), e Pio V (225° Papa, dal 1533 alla sua morte nel 1572), mentre prima lo era stato del cardinale Lorenzo Campeggi. Il progresso dei trasporti insieme a quello delle attrezzature casearie e frigorifere, avviato dai primi del ‘900, determinò la diffusione anche delle produzioni artigianali delle mozzarelle, attuate in piccole aziende agricole o in modesti caseifici di piccoli paesi, distribuite (avvolte da fogli di giunco o mortella e inserite in anfore) con i “moderni mezzi di locomozione” di allora, con i primi motori a scoppio e le ferrovie. 

La zona di origine della mozzarella è stata sempre ritenuta la Campania, ma se questo è certamente vero per la mozzarella di bufala (data la diffusione dell’allevamento di bufale in Campania sin dal XIII secolo con i Normanni, mentre altri propendono per il IV sec. a. C. ad opera dei Greci), certamente non lo è per le mozzarelle di vacca, da sempre prodotte in tutto il meridione, ma specialmente in Molise. Quindi tutto il meridione d’Italia deve essere considerato zona di origine della mozzarella di vacca, grazie agli scambi commerciali tra il Molise e tutto il resto del Sud italiano, con sconfinamenti nel Centro dopo le conquiste Romane, con conseguente diffusione della tecnica di produzione delle paste filate, mozzarelle in primis. 

Ma potremmo chiederci: perché la pasta filata al Sud? Perché in tali zone, più che altrove, le condizioni climatiche, strutturali (casearie, zootecniche ed agricole) del passato non consentivano, più che altrove, di conservare più di tanto il latte; il formaggio classico da stagionare  veniva sì prodotto ma, date le strutture e le tecniche casearie ancestrali, si cercava di procedere il più velocemente possibile (non esisteva la refrigerazione del latte e scarsa era l’igiene, con le correlate contaminazioni del latte e durante le varie fasi della trasformazione. Questa situazione faceva sì che una parte del latte (munto tra la sera e la mattina), non veniva trasformato velocemente e praticamente “avanzava”, con il rischio di inacidirsi e dover essere buttato via. 

Questo determinava la necessità di dover trovare un modo rapido di caseificare questa porzione del latte prodotto in giornata (arrivato tardi alla fase di caseificazione). L’ingegno dei casari meridionali (che da sempre è stato resiliente e non resistente) fece sì che, dopo incidenti di percorso e affinamenti progressivi, scaturiti certamente dalla ben nota intelligenza e arguzia delle popolazioni contadine (contadino scarpe grosse e cervello fino!), nascesse la pasta filata, lavorata praticamente in tempi molto più brevi (un giorno) di quelli necessari per formaggi duri o semiduri, da stagionare più o meno a lungo, e con attrezzature più semplici. Questa pasta era più conservabile del latte di provenienza, in quanto per preparare la pasta filata bisognava riscaldare 2 volte (prima il latte e poi la cagliata per renderla elastica/plastica e lavorarla) e farla inacidire con l’aggiunta di siero o latte acidi del giorno prima. Tutto ciò faceva sì che fosse possibile poter mangiare le mozzarelle sia subito che per qualche giorno dopo; se il latte non fosse stato trasformato rapidamente, sarebbe diventato tanto acido da non essere più utilizzabile come alimento diretto o in cucina. in media da 10 litri di buon latte si ottiene 1 kg di mozzarelle. Di conseguenza quando il prezzo delle mozzarelle è troppo basso (il minimo dovrebbe essere di almeno 8 – 9 €/kg) vuol dire che ci troviamo di fronte a mozzarelle ottenute da cagliate precongelate, portate in Italia da chissà dove.

Dal punto di vista nutrizionale di mozzarelle, come già detto in apertura, ne esistono diversi tipi legalmente riconosciuti, per cui al di là delle differenze dovute al latte usato e alla tecnologia caseari attuata, è possibile indicare la composizione media di 100 grammi di mozzarella vaccina: 60 g di acqua (55 sia  per bufala che fior di latte), 19,9 g di proteine animali (20,6 fior di latte), 16,1 g di lipidi animali (25 se di bufala, 20,3 se fior di latte), 0,7 g di  carboidrati (solo lattosio), 97 mg di colesterolo (90 se fior di latte), oltre a  mg 403 di calcio (162 se fior di latte), 137 di sodio (118 se fior di latte), 38 di potassio e 350 di fosforo, 800 di cloro e 110 di solfo, a cui si aggiungono vitamine idro e liposolubili, con un apporto calorico di  224 kcal (288 se di bufala, 265 fior di latte).

In cucina qualunque tipo di mozzarella dovrebbe essere gustata freschissima, e per deliziarsi di tutto il suo sapore e morbidezza sarebbe bene conservarla in luogo fresco, possibilmente in un recipiente di vetro, ceramica o terracotta (evitare il metallo che mal sopporta le soluzione acido/saline, anche se deboli), immersa nel proprio liquido di governo (di norma fatto d’acqua con un pizzico di sale, ma potrebbe essere anche solo acqua, alla quale finisce comunque per miscelarsi un po’ del siero della mozzarella, specialmente se di media o grande pezzatura). Se di notevole qualità si potrebbe immergerla in acqua tiepida (circa 34°C) per una decina di minuti, dopo una breve sosta fuori frigo se questo è stato il luogo di conservazione. Anche senza tale bagno, se la mozzarella è stata in frigorifero tiriamola fuori almeno mezz’ora prima di consumarla, per farle riprendere tono e sapore, normalmente azzerati dalle basse temperature disseccanti del frigorifero (ma questo vale per tutti i formaggi). 

La mozzarella dovrebbe essere assaporata da sola, senza aggiunta di altri condimenti, senza altri cibi in affiancamento, perché è tanto delicata da essere facilmente sconfitta da ciò che si affianca. Ma sarà fantastica anche condita con origano fresco e un filo d’olio extravergine fruttato delicato, nella più classica quanto irrinunciabile caprese, accompagnata al prosciutto crudo o cotto negli antipasti quanto in panini di facile digestione per le gite fuoriporta e le giornate in spiaggia. 

Se si vuole utilizzare la mozzarella come parte di altre pietanze, teniamola in frigorifero dopo averla tolta dal liquido di governo, in modo che si asciughi dal suo liquido intrinseco (siero), il quale finirebbe per annacquare la pietanza che vogliamo realizzare. Nel caso di impiego nelle ricette, è consigliabile anche lasciarla “invecchiare” qualche giorno in frigorifero, sempre con l’obiettivo di farle perdere acqua. Elencare le pietanze per impiegare ad arte la mozzarella e i suoi invitanti “fili” sarebbe un lavoro infinito: basti citare gli gnocchi alla sorrentina, i supplì, la mozzarella in carrozza, i crostini, le pizze, gli sformati di pasta, di riso e di verdure… Non mancano inoltre gli spunti per abbinamenti gourmet con la mozzarella: cliccate qui per lasciarvi conquistare dalle originali idee di Fabio Campoli!

Per quanto riguarda l’abbinamento tra vino e mozzarella, formaggi freschi come questo, a pasta molle e con una certa tendenza acida, preferiscono vini bianchi o rosati, al massimo rossi giovani (quindi a 1 anno massimo dalla vendemmia), con bouquet non particolarmente intenso (la mozzarella non ha sentori olfattivi intensi), morbidi (grazie a glicerina e alcol; serve per adeguarsi alla lieve salagione e alla morbidezza gustativa del prodotto), abbastanza caldi (cioè alcolici per contrastare la succulenza del prodotto, perché l’alcol asciuga la bocca), abbastanza freschi (quindi acidulo in bocca, per contrastare la tendenza dolce e la grassezza del formaggio; gli acidi del vino puliscono la mucosa orale dai grassi e non aumentano la tendenza dolce) e deboli di corpo (corpo è l’insieme delle sostanze non volatili del vino, in sostanza tutto ciò che resta se togliamo acqua e alcol; quindi debole di corpo vuol dire non ricco di molte sostanze minerali, com’ è appunto anche la mozzarella, ricca più che altro di grassi e proteine). Evitiamo i vini rossi e corposi che finirebbero per coprire completamente il sapore delizioso della mozzarella, specialmente se di bufala o mista.
 

Note bibliografiche

  • Mucchetti – Neviani, Microbilogia e tecnologia lattiero casearia, Ed. Tecniche Nuove
  • Fidanza – Liguori, Nutrizione umana, Ed. Idelson
  • Mensile “il Mio vino”, Ed. Il Mio Castello
  • L. Veronelli, Bere giusto, Ed. Rizzoli Bur
  • AA.VV., Merceologia degli alimenti, Ed. AIS
  • AA.VV., Tecnica dell’abbinamento cibo – vino, Ed. AIS

Scritto da Luciano Albano

Laureato con lode in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Bari nel 1978, ha svolto servizio come dirigente del servizio miglioramenti fondiari della Regione Puglia presso l’Ispettorato Agrario della città di Taranto. Appassionato di oli e vini, ha conseguito il diploma di sommelier A.I.S. e quello di assaggiatore ufficiale di olio per la sua regione

Già specializzato in Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli presso il C.I.H.E.A.M. di Bari (Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Mediterraneennes), nonché iscritto all'Ordine dei Dottori Agronomi della Provincia di Taranto e nell'Albo dei C.T.U. del Tribunale Civile di Taranto

, da sempre ama approfondire il food e il beverage per metterne in rilievo ogni sfaccettatura.

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