Il formaggio Piave DOP

E’ la perla casearia delle dolomiti bellunesi: scopriamo storia, caratteristiche, tipologie e ricette per gustare al meglio il formaggio Piave

Il formaggio Piave DOP

Il formaggio Piave DOP è un vero tesoro caseario che nasce in un contesto davvero speciale, qual è la provincia di Belluno, la più settentrionale e montuosa del Veneto, attraversata dal fiume Piave, che racchiude e racconta storie di millenarie popolazioni, di migrazioni, di guerre.

In questo angolo incantato del nostro Bel Paese, è nato il formaggio Piave, che nel 2010 ha ottenuto il riconoscimento DOP (Denominazione di Origine Protetta) dalla Comunità Europea, a dimostrazione dell’intimo legame tra territorio, abitanti, prodotti della terra e dell’allevamento. Un tempo nella zona dolomitica bellunese, sottoposta al governo della Repubblica Veneziana (la cosiddetta Serenissima), si viveva di silvicoltura, vista la grande richiesta di legno per la costruzione delle navi, per tutte le attività produttive della Serenissima, per gli usi domestici e di riscaldamento dei popoli che facevano parte della Repubblica. Con la fine di questa sovranità giunse in zona una grande crisi: il bosco non dava più da vivere, bisognava ingegnarsi. 

Ecco allora la rinascita delle antiche arti agricole montane, sia di coltivazione che di allevamento (di capre, pecore e bovini), e dell’arte di fare il foraggio, con tutte le difficoltà e la fatica che tali attività richiedono quando esercitate in montagna, dove tutto è senza dubbio di bellezza e silenzio incomparabili, ma effettivamente molto più faticoso che altrove (tanto che le montagne e le colline si sono in parte già spopolate).

Fu ripresa anche l’attività casearia che prima si esercitava solo per autoconsumo, mentre adesso bisognava produrre per il mercato. Senza dubbio all’inizio si trattò di un formaggio fatto per il consumo familiare e per il piccolo mercato del paese e di altri vicini, ma col tempo l’agricoltore e l’allevatore bellunese seppero far tesoro dell’esperienza tramandata dalle precedenti generazioni, in quanto migliorarono sia le tecniche di coltivazione che di allevamento, al fine di ottenere e utilizzare un latte di alta qualità

Orgogliosi erano del grande fiume Piave e orgogliosi sarebbero stati del formaggio prodotto nelle meravigliose aree dolomitiche bellunesi, a cui diedero lo stesso nome del grande fiume, proprio a significare non solo la grandezza del formaggio ma anche l’indissolubile intreccio tra fiume e attività agricola, di allevamento e di produzione casearia, di cui il formaggio Piave è solo la punta di diamante. Gli agricoltori, dimenticati i boschi, avevano a disposizione pascoli (formazioni vegetali naturali polifite, che gli animali consumano sul posto, essendo l’erba tale da non poter essere sfalciata ma solo consumata con la brucatura), prati (formazioni vegetali naturali o artificiali, cioè seminate dall’agricoltore, in cui l’erba polifita raggiunge altezza utile per essere sfalciata e successivamente pascolata, oppure solo pascolata), erbai (coltivazioni dell’agricoltore, mono o polifite,  specialmente con leguminose e graminacee, distinguibili in erbai autunno - primaverili e primaverili – estivi, in cui l’erba viene sfalciata e poi trasformata in fieno o insilato, e solo dopo la sfalciatura eventualmente pascolata) ricchi di specie vegetali ottime per i bovini da latte. 

Questi trascorrevano parte dell’anno in stalla (alimentati dagli ottimi fieni e insilati) e parte in monticazione o alpeggio, cioè sui pascoli e prati di altura, presso le malghe, durante i mesi estivi fino all’inizio dell’autunno, in modo da sfruttare al meglio l’erba fresca brucata su pascoli e sui prati delle dolomiti. In tali zone non solo vi era abbondanza di formazioni vegetali ricche di specie, quindi di profumi che passavano al latte e al formaggio, ma la frescura evitava anche il calo produttivo del latte che invece si sarebbe avuto nelle zone più basse durante il caldo estivo. L’ambiente ottimale e la presenza di acqua consentirono lo sviluppo di attività casearie artigianali, le quali però cominciarono a soccombere con la crisi del primo e del secondo dopoguerra, quando iniziò l’emigrazione degli italiani. 

Pur di non lasciare la terra natia gli allevatori bellunesi “inventarono” (con avvio della prima struttura l’8 Gennaio 1872) la latteria sociale cooperativa (o turnaria o kasèl o casello), similmente a quanto stava accadendo nelle aree viticole con le cantine e gli oleifici sociali cooperativi, nella quale a turno i soci lavoravano il latte di tutti gli associati, producendo non solo un formaggio latteria (un prodotto fresco, non ancora Piave, caratterizzato da un deciso odore e sapore di latte, dal sapore dolce e profumo intenso) ma anche burro, formaggi a pasta cotta di breve e media stagionatura, ricotta, ecc.

Grazie alle latterie turnarie, gli allevatori non erano costretti ad acquistare ciascuno le attrezzature casearie e a pagare operai per il caseificio (la famiglia contadina doveva pensare ai campi e all’allevamento delle bestie, curare la vita domestica, andare a vendere al mercato e altro). L’economia negli investimenti individuali consentì grazie alle turnarie di modernizzare i Kasel, acquistando nuove macchine casearie a nome della cooperativa, migliorando sempre più i risultati ottenuti con la trasformazione del latte in formaggio. Oggi la produzione del Piave DOP si attesta intorno a 350.000 forme all’anno, ed è molto apprezzato non solo in tutta Italia ma anche all’estero (viene esportato in Germania, Spagna, Belgio, Francia e Olanda, negli USA, in Canada e anche in Russia ed Australia). Del Piave non DOP si parlava già nel 1960, grazie all’esistenza di un quasi disciplinare in vigore tra gli aderenti alla cooperativa turnaria, il che consentiva di ottenere latte con precise caratteristiche e un formaggio di qualità costante.

Il formaggio Piave DOP è prodotto con latte vaccino, ottenuto per almeno l’80% da vacche delle razze Bruna italiana, Pezzata Rossa Italiana e Frisona italiana, le cui razioni alimentari devono essere costituite da foraggi prodotti per almeno il 70% nell’area di produzione, mentre per i mangimi secchi (sfarinati, semi tal quali, miscele) si passa ad una quota del 50%. Il latte usato è quello di due o quattro mungiture, mentre il tempo di attesa del latte prima della lavorazione in caseificio non può superare le 72 ore dalla prima mungitura. Nell’attesa della lavorazione il latte viene conservato a 4°C nel refrigeratore, senza l’aggiunta di alcun conservante. Il latte da trasformare viene pastorizzato a 72°C al fine di eliminare quella parte della microflora indigena del latte capace di determinare difetti del futuro formaggio. Al fine di ottenere un prodotto costante nelle sue caratteristiche qualitative ed organolettiche, si ricorre all’immissione nel latte da trasformare del lattoinnesto o del sieroinnesto

SI procede in seguito con il riscaldamento a 34-36°C e l’aggiunta del caglio di vitello, lasciando il tutto in riposo in modo da far coagulare e precipitare la caseina (proteina del latte) e formare la cagliata. Quest’ultima viene poi tagliata (rotta) lentamente con delle lame, in modo da ottenere una granulometria “a grano di riso” che non consenta la formazione di occhiature nel formaggio durante la maturazione. Segue la separazione del siero dalla cagliata, la cottura di quest’ultima a 44-47°C, con sosta e agitazione contemporanea per un tempo di circa 1,5-2 ore. Alla fine, la cagliata viene scaricata, porzionata e posta nelle forme circolari, dove continua a sgocciolare il siero (se ne deve allontanare il più possibile per evitare problemi durante la stagionatura per sviluppo di tanti microrganismi dannosi in questo elemento acquoso). Queste grosse porzioni di cagliata vengo sottoposte a pressatura per 40 minuti

Al termine di questa fase la massa, ridotta in volume e diventata più compatta, viene posta in anelli detti fascere che consentono di stampare sullo scalzo in verticale la parola “PIAVE” (marchiatura), facendola sostare in torri di sosta per 12 ore circa, in modo da cominciare a maturare e formare la sua texture tipica (prematurazione). Segue la fase di salatura in salamoia liquida, che dura circa 48 ore, dopo la quale il formaggio sarà portato nei magazzini di stagionatura dove resterà per un tempo variabile, alla T di 8-14°C e UR del 70-90%. 

Il Piave DOP è un formaggio da latte vaccino pastorizzato, a pasta semicotta (cottura cagliata a T minore di 48°C), dura (contiene meno del 40% di acqua) e semidura (acqua tra il 40 e il 45%), grasso (superiore al 42% nella s.s.), con stagionatura breve (fino a 30gg), media (fino a 6 mesi) e lunga (6 – 24 mesi). In media le tipologie hanno peso oscillante tra 5,5 kg (Vecchio Riserva) e 6,8 kg (nel tipo Fresco), mentre lo scalzo oscilla tra 70 e 80 mm e il diametro tra i 320 mm nel tipo Fresco e i 275 mm del Vecchio Riserva. Sotto l’aspetto nutrizionale si tratta ovviamente di un prodotto molto nutriente (410/440 kcal per 100 g, in funzione della stagionatura), ricco di calcio e fosforo, grassi per il 33 – 37% sul prodotto tal quale, proteine per circa il 23/27%. 

Le tipologie di formaggio Piave DOP sono cinque, capaci di soddisfare tutte le esigenze. Infatti, il tipo Fresco (20/60 gg di maturazione) e quello Mezzano (61/180 gg) sono da tavola; quello Vecchio va bene sia per tavola che per grattugia; quelli Vecchio Selezione Oro (stagionatura superiore a 12 mesi) e Vecchio Riserva (oltre 18 mesi) sono da grattugia.

L’occhiatura è sempre assente, ma con l’avanzare della stagionatura si modificano, ovviamente, colore (dal paglierino chiaro all’ocra intenso) e spessore della crosta, colore (dal bianco omogeneo nel fresco al giallo paglierino dopo),  sapore (da dolce e lattico nel Fresco a più sapido, mai piccante) e profumo della pasta (da latte, a yogurt nel Mezzano a erbe successivamente, con aumento della persistenza gustolfattiva), consistenza di quest’ultima, che da morbida alla fine diventa friabile. Il cambio di consistenza consiglia per il taglio il coltello a goccia nella Selezione Oro e Riserva (per staccare scaglie, data la friabilità della pasta), mentre quando è Fresco si dovrebbe usare un coltello a lama ribassata (per ridurre la superficie di contatto tra lama e pasta ed evitare che la fetta umida resti attaccata alla lama se fosse larga), quando e Mezzano o Vecchio andrebbe bene un coltello a lama rigida della lunghezza di circa 30 cm, in modo da non rompere la texture della fetta.  

Il Piave DOP è ottimo a fine pasto, ma in cucina è molto versatile, anche se l’uso più frequente è  grattugiato sui piatti tipici del Triveneto (Veneto, Friuli V.G e Trentino A.A.), come canederli, gnocchi, casunziei, polenta. Ottimi gli abbinamenti in purezza con vari tipi di miele, come quello di acacia (da Robinia pseudoacacia, dolce e delicato, molto fluido, dal colore oro chiaro), di castagno (scuro, dall'odore aromatico e dal sapore complesso, con retrogusto amarognolo), oltre che con le confetture di frutta e di ortaggi (uva, fichi, fichidindia, radicchio, cipolle rosse, carote, di peperoni, di zucchine, ecc.), Ricordate sempre di tirare il formaggio fuori dal frigorifero almeno 30 minuti prima di consumarlo per percepirne al meglio ogni nota olfattiva e gustativa. 

Il vino da abbinare dipenderà dalla preparazione che stiamo per degustare, ma se il Piave viene consumato come formaggio da tavola puro, abbineremo vini bianchi per il tipo Fresco e rossi per le altre stagionature – all’aumentare della stessa si potrà passare anche a a rossi di medio invecchiamento, complessi come profumi e sapori, persistenti in bocca. 
 

Note bibliografiche

  • Mucchetti – Neviani, Microbiologia e tecnologia lattiero – casearia, Ed. Tecniche Nuove
  • Vitagliano, Industrie agrarie, Ed. UTET
  • C.T. Piave DOP - Piave, un fiume, un territorio, un formaggio  
  • Atlante dei formaggi italiani, Slow Food Editore

Scritto da Luciano Albano

Laureatosi nel 1978 con lode in Scienze Agrarie, presso l'Università di Bari, si è specializzato nel 1980 in "Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli" presso il C.I.H.E.A.M. (Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici del Mediterraneo) di Valenzano (Bari), ha conseguito nello stesso anno anche l'abilitazione alla professione di Agronomo. Fino al 1/3/2018 ha lavorato alla Regione Puglia nell'Ufficio Territoriale di Taranto, quale Responsabile della P.O. "Strutture Agricole". Appassionato di olio e vino ha conseguito il Diploma di Sommelier AIS nel 2005 e ottenuto nel 2008 l'Attestato di Partecipazione alle Sedute di Assaggio ai fini dell'iscrizione nell'Elenco Nazionale di Tecnici ed Esperti degli oli di oliva extravergini e vergini. Fino al 2018 è stato iscritto all'Albo Provinciale dei Dottori Agronomi e Forestali e come CTU presso il Tribunale di Taranto. Ama il food & beverage e ne approfondisce i vari aspetti tecnici, alimentari e storici

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