I chiodi di garofano

La spezia che profuma tante ricette tradizionali dolci e salate: ecco la storia, le proprietà e gli utilizzi in cucina dei chiodi di garofano

I chiodi di garofano

A molti il loro aroma non piace affatto, ma a tanti altri si perché evoca molti dei dolci e biscotti che nella nostra vita gustiamo, specialmente durante varie festività. Chiodi di garofano, un nome che inizia con qualcosa di rigido metallo, tanto utile sin dai tempi antichi (ma destinato talvolta a usi ignobili), per poi sfociare nel profumo di un fiore stupendo: il garofano. 

Tutto questo si ritrova già nel nome botanico della pianta da cui i “chiodi” provengono: Caryophyllus aromaticus o Eugenia caryophyillata (vi sono anche altri sinonimi in funzione di chi ha rivisitato la prima classificazione di Linneo; oggi si trova spesso come Syzygium aromaticum). Partiamo allora dal termine Caryopphyllus, che nella Grecia antica indicava il garofano, termine greco Karyiophyllon, poi latino Caryophyllum, poi italiano volgare garofalo e infine garofano. Garofano: un nome che sembra non essere di origine greca ma sanscrito (lingua indeuropea attestata nell'India a partire dal sec. X a.C.)  e che si riferirebbe al fatto che le sue foglie sono molto lunghe, strettissime e acuminate. 

Lo stesso nome botanico del garofano Dianthus caryophyllum deriva dai termini greci divino ("dios") e fiore ("anthos"): quindi fiore degli dei con foglie strettissime e acute. Sappiamo tutti quanto è gradevole e delicato il profumo dei garofani, per cui Caryophyllus aromaticus (il nome botanico della pianta dei chiodi di garofano) starebbe per “Garofano aromatico”, per indicare che il profumo supera quello del fiore del garofano. Se poi adottiamo il sinonimo Eugenia caryophyllata la spiegazione del nome è sempre bella: eugenia vuol dire nata bene, ricca, nobile, di conseguenza il nome starebbe per pianta nobile simile al garofano, pianta di per sé stessa “divina”.

Si chiamano “chiodi” i boccioli fiorali essiccati della pianta, simili esteriormente a dei chiodi, con tanto di testa, gambo e punta: in francese clous de girofle, in portoghese cravo, in spagnolo clavos de olor, in tedesco nelken, in inglese cloves. In botanica, della famiglia delle Myrtaceae, la pianta originaria delle Molucche (gruppo di isole dell'Indonesia) si è poi diffusa in parecchi paesi tropicali: isole di Zanzibar e di Pemba (di fronte alla Tanzania, Stato di cui fanno parte), che forniscono i 2/3 della produzione totale, Giava (isola dell’arcipelago indonesiano), Penang (isola della Malesia nord - occidentale), Sumatra (isola indonesiana).

Si tratta di un albero sempreverde, con foglie lanceolate alle due estremità, coriacee, fiori raccolti in infiorescenze a corimbo (), con calice rosso e petali biancastri, che diventano verdolini e infine rossi. La pianta può raggiungere un'altezza compresa tra i 8 – 12 m, ma ciò non l’aiuta a resistere al freddo, vista la zona d’origine indonesiana. La pianta si moltiplica normalmente per seme (gamica) seminando in primavera, ma si può operare anche per via agamica con la talea. La raccolta dei fiori viene eseguita a mano con l’aiuto di pertiche di bambù; segue l’essiccazione al sole o con diverse modalità artificiali (che però rendono scuri i fiori essiccati).

Questa stupenda spezia era usata in Oriente (Siria e Cina in particolare) già prima della nascita di Gesù (si ritiene 20 secoli prima) sia per i medicamenti popolari, che per la produzione di profumi riservati ai ricchi, oppure bruciata nelle cerimonie religiose, o quelle di re e regine; si diffuse nelle diverse aree orientali con i commerci delle popolazioni nomadi del deserto, giungendo, infine, anche nel mondo occidentale intorno al 1700 a.C., ma senza una diffusione rilevante. Di questa spezia si faceva uso già nell’Impero Romano (come analgesico dentale e cicatrizzante/disinfettante delle ferite superficiali), e durante il Medioevo in tutta Europa (grazie ai naviganti portoghesi e olandesi, colonizzatori delle terre produttrici (Timor est, Madagascar e Zanzibar), a simboleggiare la ricchezza di chi la usava (insieme a tante altre spezie secondo la moda del tempo). 

Nel modo europeo i chiodi di garofano furono diffusi dagli Arabi intorno al IV sec. d.C; all’inizio non furono usati in cucina ma essenzialmente come componente medicamentosa, molto studiata e valorizzata dalla famosa Scuola Medica Salernitana, oltre che per la profumeria. Solo successivamente si sviluppò l’uso culinario e liquoristico.

I maggiori produttori mondiali di chiodi di garofano sono: 1° Indonesia (isole di Giava e Sumatra, con circa 110 T), 2° Madagascar (11 T), 3° Tanzania (con le isole di Zanzibar e Pemba, con circa 7 T)), 4° Sri Lanka (circa 4 T), 5° Isole Comore (Stato insulare nell’Oceano Indiano, posto tra Madagascar e Mozambico, con circa 2,5 T), 6° Kenya (circa 1,8 T), 7° Cina (1,2 T) , 8° Malesia, 9° Grenada (isole dei Caraibi, detta anche l’isola delle spezie).

I chiodi di garofano si usano molto per aromatizzare alimenti e liquori; da essi si estrae anche un olio essenziale usato in medicina e profumeria (ricavato per la prima volta da belgi e olandesi per la cosmesi), ricco di una sostanza aromatica chiamata eugenolo (costituisce il 78% in peso, trovato per la prima volta nelle piante genere Eugenia, da cui deriva il suo nome), la quale caratterizza l’odore del chiodo di garofano tal quale noto a tutti, estimatori o avversari che siano. In verità nell’olio essenziale si ritrovano anche altre sostanze aromatiche come il β-cariofillene, α-umulene, cavicòlo, cineòlo, ecc. 

L’olio essenziale di eugenolo è antibatterico, antifungino, potentissimo antiossidante (protezione delle cellule dall’invecchiamento veloce), antiflogistico (cioè antinfiammatorio), antiemetico (cioè capace di prevenire o reprimere il vomito), analgesico (cioè che sopprime o mitiga il dolore, specialmente del mal di denti, come ognuno di noi ha potuto verificare dal dentista i cui prodotti antidolorifici sono, tanto da avvertire l’odore dei chiodi di garofano nella cavità nasale che è collegata col naso), antispasmodico (cioè che diminuisce l’eccitabilità del sistema nervoso e riduce le contrazioni muscolari anomale). Masticare un chiodo di garofano combatte agevolmente l’alitosi, mentre mettere nei cassetti e negli armadi un sacchetto con chiodi di garofani aiuta contro le tarme (alternativa a naftalina e simili).

In cucina i chiodi di garofano possono essere usati sia per ricette salate che dolci, sia interi che polverizzati che frantumati. Il ricordo di tutti certamente è collegato ai dolci come quelli alla frutta (tipo mele e pere come la torta di mele speziata), ciambelloni, crostate, panpepato, pandolci, creme, impasti per farcire, pan di spezie, pere al vino, oltre a liquori (specialmente digestivi a base di alloro, agrumi, in abbinamento con la cannella), grappa, vini aromatizzati (come il vin brûlè), cocktails, tisane calde, the aromatizzati. Ottimi i nostri chiodi anche per profumare marmellate (agrumi e cannella), frutta cotta classica (ossia mele e pere).

Nell’ambito delle ricette salate i chiodi di garofano impreziosiscono pasta sfoglia, minestre, zuppe, sughi a base di pomodoro nonché bolliti, stufati e brasati di carne, soprattutto rossa e di selvaggina (i chiodi di garofano vengono inseriti anche nelle marinature, nonché in molti salumi e insaccati come aromatizzanti). Non mancano gli abbinamenti con verdure dolci come la cipolla, cipolline e carote, i molluschi marini come il polpo. Aromatizzati con i chiodi di garofano diventano insuperabili i brodi di carne, i tortellini in brodo, le zuppe di lenticchie, la carbonade di carne alla valdostana, il riso pilaf cotto con il famoso curry garam masala, fortemente contraddistinto dalla presenza di questa spezia accanto ad altre. 

Note bibliografiche
M. Brooks – I. Dal Brun, Spezie aromi e condimenti, Ed. Il Punto d’Incontro
F. Antinucci, Spezie. Una storia di scoperte, avidità e lusso, Ed. Laterza

Photo by Sara Albano

Scritto da Luciano Albano

Laureatosi nel 1978 con lode in Scienze Agrarie, presso l'Università di Bari, si è specializzato nel 1980 in "Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli" presso il C.I.H.E.A.M. (Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici del Mediterraneo) di Valenzano (Bari), ha conseguito nello stesso anno anche l'abilitazione alla professione di Agronomo. Fino al 1/3/2018 ha lavorato alla Regione Puglia nell'Ufficio Territoriale di Taranto, quale Responsabile della P.O. "Strutture Agricole". Appassionato di olio e vino ha conseguito il Diploma di Sommelier AIS nel 2005 e ottenuto nel 2008 l'Attestato di Partecipazione alle Sedute di Assaggio ai fini dell'iscrizione nell'Elenco Nazionale di Tecnici ed Esperti degli oli di oliva extravergini e vergini. Fino al 2018 è stato iscritto all'Albo Provinciale dei Dottori Agronomi e Forestali e come CTU presso il Tribunale di Taranto. Ama il food & beverage e ne approfondisce i vari aspetti tecnici, alimentari e storici

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