Quando la resina… si mangia

È il prodotto più appiccicoso che si possa ottenere da un albero, e può essere commestibile: scopriamo la resina a tavola nel mondo

Quando la resina… si mangia

A chi non sarà mai capitato di sporcarsi una mano, un vestito o persino la carrozzeria dell’auto con la resina? Così profumata in base all’albero dal quale è stata secreta, con questo termine si identifica una miscela di composti secondari, di natura liposolubile, prodotta e conservata in strutture specializzate interne o sulla superficie di alcune specie vegetali

Prodotte dalle piante sia spontaneamente che a seguito di uno stress allo scopo di proteggersi (come nel caso di tagli nel tronco o di attacchi da parte di insetti e microrganismi patogeni), non tutti sanno che le resine sono anche commestibili: alcune hanno una vera storia millenaria, mentre altre ancora sono state scoperte successivamente ed entrano oggi a far parte di tante preparazioni contenenti “gomma”, come chewing gum, caramelle, salse in tubetti da spremere e prodotti di pasticceria. 

Già Fenici, Greci e Romani (e probabilmente anche i popoli prima di loro) utilizzavano le resine soprattutto per rivestire e rendere il più possibile impermeabili i pezzi per produrre le più arcaiche imbarcazioni, conferendo loro una maggiore durevolezza durante le rotte commerciali e gli spostamenti per scopi militari grazie a questo rivestimento “naturalmente idrorepellente”. Nell’area mediterranea le resine si ricavavano soprattutto da conifere, come il pino, e secondariamente anche dai tronchi di cedri e cipressi. 

Ma nel 1° secolo a.C., Dioscoride (botanico greco antico) parla di retzina, identificando con questo appellativo un vino speciale ai tempi addizionato proprio con la resina degli alberi, e destinato soprattutto a fini curativi, per problemi di stomaco, di gola e tosse, nonché polmonari. Infatti l’uomo ha da sempre notato, se pur empiricamente, gli effetti benefici che le resine potevano avere, soprattutto per il loro potere antisettico e antinfiammatorio, oltre che astringente. Non di meno, diverse resine vantano uno storico uso anche in profumeria. 

In Grecia e Turchia, ancora oggi, “Retsina” è il nome di un vino bianco tradizionale aromatizzato con resina di pino d’Aleppo: si narra che inizialmente la resina fosse usata all’unico scopo di tappare le anfore con la bevanda spiritosa all’interno, ma ben presto si scoprì anche il grande potenziale aromatico che aveva nel trasferire sapore al suo interno. Il “mastice di Chios” è l’albero che dà luogo a questa resina, usata per la produzione di liquori, gomme da masticare, ma anche come “spezia” aromatizzante in gelati, dentrifrici e dolci da forno.

In India è invece in uso il gondh, resina che esiste in forma sia “riscaldante” che “rinfrescante”, ricavata da piante del genere Astragalus e utilizzata in tante ricette come il Panjiri, a base di farina integrale e frutta secca. In Egitto e Marocco e paesi limitrofi si usa invece ancora oggi la resina ricavata dall’arbusto sempreverde chiamato lentisco (detta “dragon blood resin”), che rientra in preparazioni sia salate che di pasticceria. 

Le tradizioni dal mondo con la resina sono davvero infinite, più di quante s’immagini: non dimentichiamo ad esempio che sono le resine a dar vita a materiali unici nel loro genere come l’ambra, che in paesi come la Lituania si usa per aromatizzare liquori, e persino formaggi. 

Photo made in AI

Scritto da Redazione ProDiGus

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