Il rum

Approfondiamo insieme la conoscenza della bandiera alcolica dei Caraibi

Il rum

All’inizio il rum non fu altro che una bevanda a metà strada tra la birra e il vino dolce, ottenuta lasciando fermentare per 2-3 giorni le schiume di produzione della melassa (che approfondiremo più avanti): si trattava di uno sciroppo di sostanza, a cui si aggiungevano patate dolci e manioca, somministrato come zuppa agli schiavi sottoposti a durissime giornate lavorative nei campi di canna da zucchero.

Nello stesso periodo, i pirati avevano anche loro imparato a far fermentare il succo della canna fresca triturata, ottenendo una bevanda alcolica e dolce conosciuta sotto il nome di muscovado. La parola rum comparve per la prima volta nel 1661 in un’ordinanza del governatore della Jamaica, e sembra derivi o dalla desinenza del nome del lievito usato per fermentare (cioè il Sacharum officinarum), oppure da Rectificando verum medicinam, titolo conferito da un monaco benedettino tedesco alla bevanda.

Ma l’ipotesi più accreditata sull’origine della parola rum è che essa derivi dal termine rumbuillon, cioè “gran tumulto”, in quanto tale era la situazione che si creava sulle navi di sua maestà britannica quando gli equipaggi bevevano con abbondanza il distillato di canna da zucchero.

Come per altre bevande, anche nella storia del rum vi sono racconti sul suo potenziale medicamentoso, come evidenziato dal padre domenicano Jean Batiste Labat. Egli non solo fu pioniere dell’introduzione della tecnica della doppia distillazione per migliorare le qualità del rum, ma affermava anche di essersi salvato nel 1693 dalla cosiddetta febbre di Malta (ovvero la brucellosi) grazie all’infusione di tabacco all’interno di guildive, una sorta di acquavite ricavata dalla canna da zucchero.

Il rum era usato anche dalla medicina popolare che lo riteneva capace, in apposite misture con altri ingredienti, di favorire le prestazioni sessuali maschili, combattere la caduta dei capelli o favorirne la ricrescita: era considerato una specie di panacea, buona per tutti i mali.

Nelle ex colonie francesi il rum è conosciuto anche con gli appellativi di tafia, guildive o filibuster; nelle ex colonie britanniche, invece, come Rum e Spirit of Caribbean, mentre quelle spagnole lo chiamano Ron; infine, i nativi delle isole dei Caraibi lo chiamano forest preserver, hogo, hammond, culture, wa bio, babasy.

Il rum si produce in tutta la fascia equatoriale dove si coltiva la canna da zucchero, ma la sua zona storica di produzione è insita nell’America Centrale. La materia da trasformare in distillato deriva dalla lavorazione della canna da zucchero fresca da cui ricavare lo zucchero, che si chiama melassa. Da un ettaro di canna da zucchero si ottengono da 90 a 120 tonnellate di massa fresca verde, da cui si estraggono 9 tonnellate di zucchero cristallizzato, 3 tonnellate di melassa e 12 di bagassa (un sottoprodotto impiegato come combustibile).

A far decollare la produzione di rum fu la crisi della canna da zucchero, scoppiata all’inizio del 1900 come conseguenza della scoperta dello zucchero che poteva essere estratto dalla barbabietola a costi decisamente inferiori. Fu allora che le coltivazioni di canna da zucchero dei Caraibi e del Sud Est asiatico furono destinate prioritariamente alla produzione di rum industriale e agricolo, con economie di scala che resero il prezzo accessibile a tutti.

Le tecnologie di produzione del rum industriale e di quello agricolo sono molto diverse. Quello industriale si ricava dalle melasse (una specie di sciroppo di colore bruno, ricchissimo di saccarosio non più cristallizzabile) residuate dalla lavorazione della canna per ottenere il relativo zucchero cristallizzato, le quali vengono diluite con acqua e lasciate fermentare per ottenere il mosto alcolico da distillare in alambicchi continui. Si ottiene in tal modo un rum dal gusto e odore neutri, molto adatti all’invecchiamento (in contenitori di legno) e alla formazione dei blend.

Quello agricolo si ottiene invece dalla canna fresca, la quale viene sfibrata e pressata estraendo un succo vegetale che successivamente viene filtrato e diluito, per poi essere lasciato a fermentare o tramite i lieviti naturali presenti nel liquido (i famosi “caipiria”), o attraverso l’aggiunta di lieviti selezionati (un po’ come avviene per il vino). Si passa infine alla distillazione in alambicchi, in genere discontinui.

Entrambe le categorie di rum possono essere invecchiate per qualche anno (in genere per non più di sette anni) e poi imbottigliate. In tale fase si aggiungono talvolta succo di cactus, uva passa, vaniglia o buccia d’arancia o altri aromi per ottenere distillati aromatizzati. Per l’invecchiamento non è raro che alcuni produttori utilizzino le botti già usate per la maturazione di Scotch, Cognac e Sherry, in modo da conferire al rum una maggiore complessità e un gusto strutturato decisamente particolare. Non mancano però produttori che affinano in acciaio o che invecchiano il prodotto anche fino a 15 anni.

Ad ogni modo, nel mondo del rum regna molta anarchia tra i vari paesi produttori - Messico, Brasile, Venezuela, Cile, Perù, Repubblica Dominicana - sia per quanto concerne la terminologia da usare in relazione all’età del prodotto, sia per il grado alcolico minimo (si passa dai 40° del Cile, ai 50° della Colombia).

Il rum viene distinto non soltanto in agricolo e industriale, ma anche in funzione dell’invecchiamento, in rum giovane (carta blanca, white label, grappe blanche) e rum invecchiato (genericamente anejo oppure carta oro, gold label, dark), oltre che della zona d’origine (Cuba, Barbados, Guyana, Haiti, Jamaica, ecc.). Il vero rum si produce solo ai Caraibi, ma dato che ogni isola ha la sua specialità ci si trova davanti a moltissimi rum talora completamente diversi tra loro.

Nella maggior parte dei casi, il rum che viene imbottigliato e commercializzato è un’equilibrata miscela di distillati di età diverse, frutto dell’abilità e dell’esperienza dei produttori: per consuetudine, l’invecchiamento di questa bevanda dichiarato in etichetta si riferisce a quello del rum più giovane presente nel blend. In genere i rum bianchi o al massimo ambrati sono più diffusi, mentre quelli dalle tonalità scure si consumano di più nei luoghi di produzione.

E’ curioso sapere inoltre che nelle Antille francesi, Martinica, Guadaloupe e Saint Martin, che oggi per la Francia sono DOM (domini d’oltremare), il rum prende nomi diversi a seconda dell’ora in cui si degusta: decollage il primo del giorno (detto anche  rouè-zeux  perché fa aprire gli occhi e petè pied perché fa partire col piede giusto), t-laguotte quello del languorino pre pasto, pousse quello del dopo caffè, heure du Christ quello delle tre del pomeriggio, pape-pape subito dopo (come un Pontefice), folibar quello gustato più tardi al bar, verso il tramonto, mentre il Trafalgar e il matè-homme si buttano giù d’un fiato prima della cena; infine il partent e il vaten coucher saranno gli ultimi che manderanno a dormire e daranno fastidio il mattino dopo.

La distilleria più famosa e che ha dato lustro mondiale al rum è la Saint James dell’isola di Sainte Marie, il cui fondatore fu padre Lefevbre, superiore dei Frati della Carità. Questa distilleria imbottiglia ancora oggi nelle bottiglie perfettamente squadrate usate da sempre; il rum agricolo della Saint James ha di recente ottenuto la denominazione d’origine francese (AOC); la casa ci tiene a sottolineare che la parola “agricolo” spesso porta a pensare a un prodotto scadente, mentre in realtà così non è perché il rum in tal caso è completamente diverso dall’industriale, oltre che essere più ecologico in quanto nella produzione si usa come carburante la bagasse (sottoprodotto dello zucchero) e non il petrolio come in quello industriale.

Infine, adatti alla degustazione sono soltanto i rum invecchiati, mentre quelli giovani e incolori così come quelli più alcolici sono destinati principalmente all’impiego nei cocktail. Per la degustazione, il rum va servito a una temperatura tra 12 e 14°C, possibilmente in un bicchiere balloon o in una tradizionale copita da Sherry, dalla caratteristica forma di tulipano.
 

Note bibliografiche e sitografiche

Photo via Pixabay

Scritto da Luciano Albano

Laureatosi nel 1978 con lode in Scienze Agrarie, presso l'Università di Bari, si è specializzato nel 1980 in "Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli" presso il C.I.H.E.A.M. (Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici del Mediterraneo) di Valenzano (Bari), ha conseguito nello stesso anno anche l'abilitazione alla professione di Agronomo. Fino al 1/3/2018 ha lavorato alla Regione Puglia nell'Ufficio Territoriale di Taranto, quale Responsabile della P.O. "Strutture Agricole". Appassionato di olio e vino ha conseguito il Diploma di Sommelier AIS nel 2005 e ottenuto nel 2008 l'Attestato di Partecipazione alle Sedute di Assaggio ai fini dell'iscrizione nell'Elenco Nazionale di Tecnici ed Esperti degli oli di oliva extravergini e vergini. Fino al 2018 è stato iscritto all'Albo Provinciale dei Dottori Agronomi e Forestali e come CTU presso il Tribunale di Taranto. Ama il food & beverage e ne approfondisce i vari aspetti tecnici, alimentari e storici

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