Ovvero quando la vera buona cucina è frutto di un vero e proprio progetto da parte del cuoco
Dal croissant al gelato, dall’affettato al formaggio, nascono sempre più alternative vegane…o sarebbe meglio definirle “vegrasse”?
Il trend della dieta vegana non smette di far parlare di sé a livello internazionale, con sempre più persone che scelgono di abbracciarla come vero e proprio stile di vita. Ma non mancano anche coloro che, dopo averla seguita, sono tornati ad essere onnivori, non tralasciando di rilasciare interviste e pubblicare post sui social proclamando un ritrovato benessere.
Questo articolo, però, non vuole soffermarsi sul discutere la scelta vegana, ma vuol far riflettere sulla natura degli alimenti industriali vegani sempre più presenti sul mercato. Infatti, una dieta vegana “classica”, abbracciata fino a un decennio fa, andava ad escludere carni, pesci, latticini e uova e qualsiasi altra forma di cibo “vivente”, sostituendo il tutto con tanti alimenti di origine vegetale, dall’ortofrutta ai legumi alla frutta secca, e compensando ancora in piccola parte con alimenti industriali come hamburger di soia, tofu, seitan e latte di soia (che erano sì presenti sul mercato, ma non nelle quantità e nella varietà attuale).
Da quando in questi ultimissimi anni quella di essere vegani è esplosa come vera moda, però, le aziende alimentari hanno pensato bene di cogliere l’attimo a proprio favore, mettendo a punto nelle proprie aree di ricerca e sviluppo alimenti vegani altamente ingegnerizzati. Dunque, se ad un vegano mancano i salumi, per fare un primo esempio, oggi nel banco frigo di pressoché qualsiasi supermercato potrà trovare almeno una tipologia di affettato “innovativo”: a base di lupini, di rape rosse, e ancora il salame, la bresaola e la mortadella “vegane”, che vogliono ingannare abilmente anche l’occhio con il loro aspetto che riproduce esattamente quello dei salumi originali.
Proseguendo, naturalmente sono nati anche i formaggi “vegani”: lo stracchino di riso, il gorgonzola di soia, le forme di formaggio da tavola a base di farina di ceci. E ancora, i gelati, i croissant, i dessert al cucchiaio ed i biscotti vegani, e chi più ne ha più ne metta: il tutto rigorosamente senza latte e derivati, senza uova e senza qualsivoglia ingrediente di origine animale, come ad esempio la gelatina alimentare classica (sostituita talvolta dall’agar agar ed altri gelificanti). Inoltre, spesso i produttori scelgono di prendere “due piccioni con una fava”, scegliendo di non utilizzare ingredienti derivati dal frumento, al fine di ottenere prodotti vegan ma anche gluten-free, strizzando l’occhio dunque ad un altro comparto sempre più consistente di consumatori.
Ma allora, senza questi ultimi ingredienti che si leggono normalmente sull’etichetta dei prodotti industriali classici da supermercato, come fa l’industria a “tenere in piedi” tutti i suoi impasti, dai salumi, ai formaggi e i dolciumi vegani?
La risposta si riassume in un’unica affermazione: la stragrande maggioranza dei prodotti alimentari processati “vegani”, in realtà sono “vegrassi”. Un neologismo pensato appositamente per riuscire a trasmettervi al meglio un messaggio forse scontato ma oggi sempre più fondamentale, dal momento che al giorno d’oggi i claim posti sulla parte frontale del packaging degli alimenti sono così rassicuranti ed accattivanti da farci “fidare impulsivamente” dei prodotti nel nostro processo mentale d’acquisto, senza “perdere tempo” a leggere la loro composizione ingredientistica.
Basterà girare dunque una qualsiasi confezione di salumi, formaggi, dolciumi e prodotti da forno industriali accompagnati dal termine “vegano” per accorgersi della presenza di una quantità di grassi di origine vegetale che fa spavento. E quando “va bene”, è possibile essere consapevoli della tipologia aggiunta (olio di cocco, di girasole, di colza, di soia ecc.); in altri casi, si leggono diciture tipo “miscele di oli vegetali” e altre diavolerie tipo “grassi bifrazionati”.
Occorre ricordare inoltre che, all’interno delle liste ingredienti impresse sulle etichette dei prodotti industriali, gli ingredienti sono elencati da quello contenuto in quantità maggiore a quello contenuto in quantità minore. Per fare un esempio, in un comune biscotto industriale confezionato troveremo citata al primo posto la farina, poi lo zucchero, seguiti dalle uova e dai derivati del latte, ed infine eventuali aromi e additivi aggiunti sempre in percentuali molto ridotte.
Allo stesso modo, prendendo tra le mani la confezione ad esempio di un formaggio o un salume vegano, noterete che i grassi sono presenti sempre dal secondo al terzo posto in poi, cosa che sta a significare che sono fortemente contenuti all’interno del prodotto, accanto alla materia prima principale di origine vegetale. E più il “progresso” ci divora, più consigliamo di far attenzione che questa base vegetale sia realmente presente, perché soprattutto i prodotti a basso costo danno luogo all’esistenza di referenze vegane fatte da null’altro che amidi emulsionati con grandi quantità di grassi, e in più con aggiunta di numerosi additivi, come emulsionanti e coloranti, e con la parte vegetale presente solo sotto forma di estratto in polvere o in pasta, incentivato naturalmente dalla presenza di aromi.
Ma facciamo alcuni esempi pratici andando a guardare le etichette di alcuni noti alimenti “vegrassi”!
Gelato vegano industriale: acqua, zucchero, oli vegetali, farina, estratto di soia (ecc.)
In pratica vi vendono acqua in cui è stata reidratata una polvere di soia, poi trasformata in una sorta di “pastella” con aggiunta di farina e grassi, infine ben montata ed emulsionata con il 100% di pura aria. Ricordate che l’aria ha anche la proprietà di essere pesante quando aggiunta nei prodotti… dunque è un’espediente proprio come l’aggiunta di acqua per far aumentare il peso del prodotto (e, indirettamente, anche il suo prezzo di vendita).
Croissant vegano industriale: farina, margarina vegetale, acqua, mono e digliceridi degli acidi grassi, lecitine, sale, lievito, aromi (ecc.)
Anche in questo caso, nient’altro che farina, grassi e acqua, plasmati per magia dai più moderni macchinari industriali in dolci da prima colazione vegana. E anche se vorrete proseguire nel mangiarli, speriamo almeno di aver sfatato la convinzione che siano “più leggeri”: proprio come quelli classici, a livello calorico, dovremmo mangiarne la metà.
Patatine di legumi industriali: fecola di patate, patate disidratate, olio di palma, fecola modificata, sale, farina di ceci (ecc.)
Ma perché mai definire “veg” le nuove dilaganti patatine di legumi, quando anche le normali patatine da snack sono fatte con sole patate, olio per friggere e sale? Un prodotto processato che usa tutti semilavorati sfarinati, abilmente trasformati in impasto mediante una cospicua aggiunta di grassi, poi spinto all’interno di estrusori o stampi per plasmarne la forma e cuocerle in fantastiche “patatine ricomposte”.
Morale della favola vegana? I prodotti industriali che portano questo nome sono “tutti uguali”, e non sono altro che ammirabili alchimie d’ingredienti (naturali ed artificiali) messi insieme a formare surrogati dall’aspetto estremamente realistico e similare agli originali. E a ben guardare, sulle loro etichette troppo spesso vengono citati ingredienti che abbiamo boicottato ed evitato nella nostra alimentazione per anni, mentre oggi le industrie giocano a camuffarle dietro claim e nuove forme.
Il consiglio conclusivo è rivolto sia a chi già è vegano, sia a chi sta valutando di abbracciare questo stile di vita, ma anche a tutti coloro che sono attenti alla propria alimentazione, a cui spesso può capitare comunque di afferrare al volo al supermercato i prodotti industriali vegani: per farvi davvero del bene, il regalo più grande che potrete fare alla vostra salute dal punto di vista dell’alimentazione sarà il tempo, di scegliere prodotti di qualità - il più possibile non lavorati industrialmente - ma soprattutto di cucinarli e ottenere ricette sempre nuove con le vostre stesse mani e la vostra fantasia, evitando di aprire ogni giorno confezioni di plastica che, oltre ad inquinare il pianeta, contengono alimenti pronti che illudono in fatto di gusto, nutrizione e qualità.
Scritto da Sara Albano
Laureata in Scienze Gastronomiche , raggiunta la maggiore età sceglie di seguire il cuore trasferendosi a Parma (dopo aver frequentato il liceo linguistico internazionale), conseguendo in seguito alla laurea magistrale un master in Marketing e Management per l’Enogastronomia a Roma e frequentando infine il percorso per pasticceri professionisti presso la Boscolo Etoile Academy a Tuscania. Dopo questa esperienza ha subito inizio il suo lavoro all’interno della variegata realtà di Campoli Azioni Gastronomiche Srl, , dove riesce ad esprimere la propria passione per il mondo dell'enogastronomia e della cultura alimentare in diversi modi, occupandosi di project management in ambito di promozione, eventi e consulenza per la ristorazione a 360°, oltre ad essere referente della comunicazione on e offline di Fabio Campoli e parte del team editoriale della scuola di cucina online Club Academy e della rivista mensile Facile Con Gusto.

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