Il vino capovolto

Un libro in difesa della cultura enologica ai tempi della globalizzazione

Il vino capovolto

Jacky Rigaux - Sandro Sangiorgi, Il vino capovolto. La degustazione geosensoriale e altri scritti. Prefazione di Giuseppe Battiston, Porthos Edizioni 2017 , Pagg. 140

"anch'io preferivo il Terrano di una volta, era più acido.
Adesso sono tutti uguali: cabernet, merlot,li fanno
per voi giovani che non capite niente di vino
e io ho bevuto dei vini schifosi. Che bei tempi.."

Retorica del passato e dei ricordi? Rimpianto del vino del contadino che troppo spesso si trasforma in aceto? No, con queste parole l'attore Giuseppe Battiston, conosciuto in tanti film di successo, firma una lucida prefazione, da vero appassionato di vino, a questo importante saggio. Con questa citazione iniziale, che si rifà al film Zoran il mio nipote scemo, girato tra il Friuli e la Slovenia, sintetizza la tesi fondamentale del libro: il vino espressione di dei territori e, in questo caso, di questi territori di frontiera.

Il Vino Capovolto, senza mai forzature ideologiche, ma sempre argomentando con competenze proprie dei settori dell'enologia e facendo uso di un’erudizione storica che ci allieta nella lettura, afferma con chiarezza che esistono sia quelli che vengono chiamati vini tecnici sostenuti e valorizzati da un potente marketing sia quelli chiamati di terroir. Rilancia la necessità di valorizzare sempre più questi ultimi, argomentando come per le due tipologie si sono conseguentemente affermati modi  diversi di degustare ed interpretare il vino.

Secondo Rigaux, se il riconoscimento del vitigno è facile nella prima categoria, per i vini di territorio serve molta più esperienza, Nei primi infatti abbiamo un odore facilmente riconoscibile  per cui  l'analisi sensoriale praticata da enologi, sommelier, professionisti e critici si concentra sull'olfatto e sull'identificazione degli aromi. Per quelli della seconda categoria la degustazione, appunto geosensoriale, s'interessa ai luoghi di nascita del vino, ai diversi minerali presenti e pone l'accento sull'aspetto tattile e sulla sapidità pur senza ignorare gli aromi.

L'ambizione del libro è la partecipazione attiva a questo confronto affinché i vini del luogo abbiano la considerazione che meritano e la degustazione resti un piacere in grado di farci apprezzare il fascino della loro diversità, concorrendo "alla difesa della cultura contro la logica consumistica che mortifica i terroir e genera prodotti sempre più banalizzati e uguali in tutto il pianeta".

Per profonda convinzione personale sono portato a pensare in modo plurale e mai manicheo, ma certo queste posizioni non sono eludibili, proprio se si ama il vino e il cibo in generale. Qualche giorno fa Carlo Petrini (La Repubblica 8 Luglio 2019) commentava con una nota di prudenza il riconoscimento da parte dell'Unesco delle colline del Prosecco come Patrimonio dell'Umanità. Infatti se da un lato riconosceva e apprezzava il grande lavoro fatto e il grande successo commerciale, dall'altra lo moderava con un richiamo ai rischi della monocultura che potrebbe finire per impoverire il territorio e mostrare problemi nel caso di un cambiamento di rotta del gusti del mercato. Io credo che non esista solo il rischio della monocoltura, ma anche e soprattutto quello della  monocultura.

Sandro Sangiorgi, fondarore di Porthos, che ormai da decenni testimonia la determinata volontà di non arrendersi alla banalità del gusto (mi auguro che qualche lettore capisca la citazione da Hanna Arendt, la pensatrice che più di tutti nel secolo delle ideologie si è  battuta per pensare con la propria testa) pone, negli scritti che contribuiscono a completare il volume, alcune questioni fondamentali rispetto al tema della formazione dei tecnici e all'informazione degli appassionati.

La tesi di fondo di questi scritti, anche episodici di Sangiorgi, dopo il suo fondamentale La scoperta della Gioia del 2011,  riguarda la necessità di cambiare l'approccio e la relazione con il vino, "perché è ora di concentrarci su di noi e smetterla di volere cambiare il vino. Chiedere alle persone di mettere da parte breviari e schematismi per assumere la responsabilità di un sentimento verso il vino. Ci siamo accorti che il valore dato al colore e all'esame olfattivo stava soppiantando l'importanza dell'esame gustativo".

Rigaux, con una digressione storica di grande interesse, tratta delle modalità che, per ragioni di spazio, così sintetizziamo: "Le tecniche di degustazione sono progredite e così, dopo i vini buoni, sani, sinceri e marchand (bevibile-consumabile) del 1415 il vocabolario si è arricchito e differenziato. Il verdetto dell'esperto o del guru non è più accettabile. La differenza dei luoghi deve essere percepita dal degustatore che la descrive e dal produttore che la pratica: sentire il gusto del luogo. Come quella gastronomica, la pratica della degustazione dei vini ha attraversato mode e tendenze. Nella società del secondo dopoguerra il consumo ha prevalso sull'amore per il vino".    

Una riflessione che pari pari è estensibile al cibo a fronte della omologazione e della teatralizzazione che sta sempre mortificando il gusto e il palato, la vera cultura del cibo e del vino e di cui in più occasioni abbiamo scritto in questa rubrica.

Sangiorgi parla di sapienze che si credevano perdute ma che ora sempre più vengono riscoperte e riproposte. Lasciar fare alla natura è il messaggio che sintetizza la semplicità del lavoro della terra. In molti casi ci troviamo di fronte ad una produzione che deve soddisfare più la quantità che la qualità. Sempre citando dalla prefazione di Battiston "A me non interessa essere rassicurato, voglio continuare a provare curiosità. Voglio capire cosa c'è nel bicchiere e non riconoscere come sapori veri sapori invece alterati e artificiali, voglio puntare alla riscoperta dell'autenticità della verità del vino in tutto il suo essere.

Il vino cattivo, quello troppo elaborato che perde la sua essenza e il suo sapore peculiare specifico del luogo  e della filosofia del suo produttore per omologarsi ai gusti  che non appartengono alla sua natura". Sempre più decine e decine di produttori, che a me piace chiamare autori, mostrano che è possibile fare vini di grande personalità  senza necessariamente ricorrere ad alcuni dei trecento additivi chimici, insetticidi, concimi, diserbanti ed altro. Esemplare è da questo punto di vista l'uso a volte massiccio della gomma arabica. Potrebbe essere il prodotto più naturale del mondo.  Potrebbe anche, alla pari di un resveratrolo, fare bene alla salute ma, dato che cambia le carte in tavola, se lo usi devi dirlo. Soprattutto conferisce caratteristiche che potrebbero essere attribuite ad altri fattori. I prodotti enologici in un uso rispettoso possono essere  aiutanti discreti dei vini e come tali essere utilizzati. Altrimenti dovremmo ammettere che forse molte delle tecniche e delle sostanze utilizzate in cantina ignorano le regola etiche o di normale informazione. L'omologazione del gusto, in un mondo globalizzato, rappresenta una contraddizione che penalizza un paese come il nostro, che è quello con le più alte percentuali di biodiversità alimentare.

Il momento in cui beviamo il vino dal calice è la tappa conclusiva di un lungo e complesso percorso che nasce dalla passione del viticoltore, dalle caratteristiche generali del territorio, dalle caratteristiche del vitigno,dalle cure e dalle tecniche dedicate in tutte le sue fasi dalla vigna alla cantina, dalle modalità di comunicazione che si utilizzano. Una sintesi semplicistica questa mia che, ad esempio, taglia fuori tutti gli aspetti emozionali e storici, ma tanto basta per stare in tema con il libro di Rigaux e Sangiorgi.

Vorticare del vino nei calici, nasi immersi prima di ogni sorso, ricerca spasmodica di odori e profumi: questa purtroppo è la rappresentazione forse macchiettistica del bevitore contemporaneo. Di quello che si aggiorna sulle guide, soprattutto sui riconoscimenti in calici, grappoli, ecc.  e che certo non si è fatto mancare la frequentazione di un corso il cui diploma ha opportunamente incorniciato.

Scritto da Sergio Bonetti

Ha insegnato all'Università, si è occupato di piccole imprese e, negli ultimi anni, soprattutto di quelle del  settore enogastronomico, per le quali ha promosso eventi legati alla cultura del territorio. Le sue grandi passioni sono i libri, il cibo, il vino…e le serie tv.  

Ama viaggiare e per lui ogni tappa diventa occasione per visitare i mercati alimentari e scoprire nuovi prodotti, tecniche e tradizioni.

E’ inoltre appassionato di ricerca e dello studio di testi in ambito culinario, per contrastarne la spettacolarizzazione e i luoghi comuni.

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