al via la XXV edizione del Concorso con ospite lo chef Fabio Campoli
È l’analogo visivo dell’effetto Larsen, tanto amato e studiato da Escher e facente parte anche di diversi packaging di prodotti alimentari
A tanti durante un evento pubblico sarà capitato di sperimentare il cosiddetto feedback acustico o semplicemente ritorno, ovvero quel fischio assai sgradevole all’udito che si verifica quando si avvicina troppo il microfono all’altoparlante. Questo fenomeno è chiamato effetto Larsen, e prende il nome dallo scienziato danese che lo studiò lavorando nell’ambito dell’elettroacustica; la causa dell’effetto sono i suoni che dal microfono vengono amplificati dall’altoparlante e quindi ricevuti dal microfono per tornare allo stesso altoparlante.
È un effetto che si cerca di prevenire, specialmente durante le esibizioni canore o i discorsi degli oratori, attraverso dispositivi elettronici opportuni, ma dal 1960 la distorsione del suono dovuta a questo effetto è stata utilizzata dai Queen, dai Beatles, da Jimi Hendrix ed altri per creare con la chitarra elettrica famosi brani rock, heavy metal e di altro genere musicale.
Esiste però anche un analogo effetto visivo che possiamo sperimentare semplicemente se ci poniamo tra due specchi paralleli: il primo specchio riflette la nostra immagine sul secondo e questo la restituisce al primo e così via per un numero di volte che sembra infinito anche se in realtà non lo è perché dipende dalla distanza tra i due specchi. Il modello matematico che si può associare a questi effetti ha alla base il concetto di ricorsione intesa come autoreferenza in cui un oggetto, inteso in senso molto ampio e generale, fa riferimento a sé stesso. In informatica un algoritmo si dice ricorsivo se la sua esecuzione comporta la suddivisione degli insiemi di dati in dati più semplici e l’applicazione dello stesso algoritmo a questi insiemi.
Nell’arte figurativa del ‘900 l’autoreferenza è stata affrontata mirabilmente da Maurits Cornelis Escher del quale sono a tutti note le opere dalle forme mutevoli, esplorazioni dell’infinito, tassellazioni ricorsive e distorsioni visive. In particolare nell’opera Galleria delle stampe del 1906 c’è l’idea dell’autore di rappresentare la riproduzione infinita di un’immagine. Anche Salvador Dalì ha utilizzato l’effetto Droste nel suo dipinto Volto della guerra (Visage de la Guerre). Il senso di vertigine associato a questo effetto in francese si esprime come mise en abyme ,ovvero messo nell’abisso, si ritrova anche in lavori di letteratura, di teatro e di cinema.
Non tutti sanno però che anche nelle etichette di prodotti alimentari c’è un esempio di immagini ricorsive nel cosiddetto effetto Droste. E’ questo il nome che il giornalista olandese Nico Scheepmaker ha dato ad una immagine qualunque che contiene se stessa, posizionata nello stesso punto in cui dovrebbe trovarsi se fosse reale; lo spunto per il nome il giornalista lo trasse alla fine degli anni Settanta dello scorso secolo dall’etichetta della marca olandese del cacao Droste. La pubblicità era stata ideata nel 1904 e ritraeva un’infermiera che reggeva in mano un vassoio con una tazza ed una scatola di cacao della stessa marca Droste.
L’illustratore Benjamin Rabier, nel 1926 , ha ideato il marchio dei formaggini francesi La vache qui rit nel quale c’è una mucca con gli orecchini che riproducono la scatola degli stessi formaggini. E ancora troviamo l’effetto Droste nell’etichetta di un antico formaggio francese (Le Berruyer) e sulla confezione del burro Land O’Lakes dove una nativa americana reca in mano un pacchetto di burro con la sua stessa immagine.
Foto di copertina by Redazione Prodigus (altre immagini tratte dal web)
0 Commenti