Baobab: tra cucina e salute

Dell'albero del baobab - detto il gigante gentile - non si spreca nulla: foglie e frutti genuini rientrano anche in gustose ricette africane

Baobab: tra cucina e salute

Nel romanzo Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry, i semi del baobab sono semi cattivi perché gli alberi giganteschi che ne nascono potrebbero distruggere il suo pianeta. Fuori dal contesto della favole il baobab è un albero degno di tutto rispetto, venerato e tutelato dalle popolazioni indigene fin dall’antichità.

Simbolo nazionale del Senegal e del Madagascar dove si chiama renala o reniala - che vuol dire “madre della foresta” - il baobab domina i paesaggi africani da millenni. La leggenda racconta che un tempo questo albero era il più bello della Terra e se ne vantava deridendo gli altri alberi; questi allora chiesero giustizia al dio della foresta che sradicò il baobab mettendolo a testa in giù per cui quelli che vediamo come rami in realtà sarebbero le radici.

Il nome botanico del baobab che si trova in Africa è Adansonia digitata, dal nome del botanico francese Michel Adanson che trascorse cinque anni in Senegal catalogando specie animali e vegetali. Fu colpito dalla forma delle foglie del baobab, che sembrano mani con tante dita (da cui il nome  “digitata” della varietà); sono state individuate però altre otto specie sei delle quali sono in Madagascar, mentre in Australia la specie diffusa è l’Adansonia gregorii.

La longevità di questo albero è impressionante: può vivere mediamente 5000 anni e notevoli sono le sue dimensioni. L’altezza può raggiungere i 30 metri e il tronco ha un diametro medio di 7 metri ma alcuni esemplari arrivano anche a toccare gli 11 metri. I grandi fiori profumati durano soltanto una notte. Il tronco cavo del baobab può incamerare fino a 120000 litri di acqua piovana necessaria nei periodi di siccità e quando l’albero muore può diventare l’abitazione per una famiglia; durante i conflitti mondiali è servito come rifugio antiaereo. 

Gli indigeni del luogo utilizzano proprio tutto del gigante vegetale e impiegano il baobab anche in cucina. Dalla corteccia ricavano fibra per funi, corde, reti per la pesca, tessuti e ceste; il gigante buono non risente della scorticazione e riproduce altra corteccia. I gusci dei frutti essiccati diventano ciotole e oggetti ornamentali, se poi vengono bruciati la cenere che si ottiene può servire a fare il sapone.

In cucina le foglie del baobab vengono bollite per ottenere delle salse di accompagnamento, ma si mangiano anche fresche; se poi vengono essiccate si ottiene una polvere che è un ottimo legante per il couscous. In Nigeria dalle foglie  si ottiene la zuppa di kuka. Il frutto del baobab, detto anche pane di scimmia, ha forma ovoidale ,pesa mediamente 1-2 kg e si consuma sia fresco che essiccato .Quando il frutto è maturo e disidratato la polpa lignifica concentrando i principi attivi e il suo sapore è alquanto acido ma ha un aroma di vaniglia o di pera.  

La polpa del frutto del baobab essiccata, ridotta in polvere e aromatizzata con fiori d’arancio o noce moscata, è usata nella preparazione di bevande dissetanti e gelati. Il frutto del baobab è arrivato in Occidente quando si è riconosciuto che è ricco soprattutto di vitamina C, minerali e aminoacidi essenziali. Inoltre non ha glutine ed è ricco di fibre, e perciò è un ottimo integratore naturale e superfood; la fibra alimentare solubile è ricca di mucillagini che servono a riequilibrare la flora intestinale e favoriscono la digestione .

La polvere del frutto del baobab aiuta a rinforzare il sistema immunitario; in erboristeria oggi troviamo integratori, tavolette e anche creme a base di polvere di baobab. Il baobab deriva dall’arabo “bu-hibab“ che vuol dire “padre di molti semi”; da essi si ottiene l’olio di baobab che ha proprietà antiossidanti ed è alleato della salute della pelle e dei capelli  Al di là di quello che immagina il Piccolo Principe di questo colosso vegetale, le tante virtù del baobab ci fanno sperare che non si estingua e possa continuare a rendere unici i panorami delle sue terre e fornire il tanto che dona.  

Photo made in AI/Canva

Scritto da Elena Stante

Laureata in Matematica nel 1981 presso l’Università degli Studi di Bari, dal 1987 al 2023 ha insegnato Matematica e Fisica presso il Liceo Ginnasio Aristosseno di Taranto .Ha partecipato ai progetti ESPB, LabTec, IMoFi con il CIRD di Udine e a vari concorsi nazionali ed ha collaborato con la nomina di Vice Direttore per la regione Puglia alla rivista online Euclide, giornale di matematica per i giovani. Le piace correlare la scienza al cibo, nonché indagare su storie e leggende, e con Prodigus inizia il suo percorso di redazione di contenuti golosi per gli utenti del web.

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