L’essenza dei bistrot

Tra curiosità e letture consigliate per comprendere la storia dei bistrot, ricca di sfumature e piena di significati

L’essenza dei bistrot

"Un bistrot apre l'appetito. L'appetito per bere e
per mangiare, soprattutto l'appetito per la vita"

Alain Ducasse

Quasi l'uso della parola garantisse di per sé

il carattere fraterno, amabile, vivificante

AA.VV., ParBistrot, 120 Bistrot - 120 Ricette, L'Ippocampo Edizioni
Marc Augé, Un etnologo al Bistrot, Raffaello Cortina Editore, 2015

Quest’oggi “Buoni da Leggere” riserva una novità: proponiamo due testi in contemporanea, perché quella del bistrot è una storia ricca di sfumature e piena di significati che riguardano il mondo della gastronomia, ma ne travalicano i confini per diventare icone di un modo di vivere non solo il vino e il cibo, ma il piacere della convivialità.

Quel piacere che rende il bere e il mangiare qualcosa di altro, e di più di un comportamento fisiologico per vivere, ma una scelta di ordine estetico, emotivo e intellettuale.  Un piacere che alimenta il bisogno di vivere una socialità libera ed aperta della cui importanza ci stiamo rendendo conto proprio in questi giorni, in cui la pandemia da coronavirus che attanaglia il mondo, ci costringe alla separatezza che dobbiamo tutti rispettare per potere riprenderci le nostre belle abitudini una volta superato il pericolo del contagio.

Intanto possiamo viaggiare con la fantasia, come faceva e teorizzava l'Ariosto con i libri della sua biblioteca, quando fu relegato in Garfagnana. Possiamo esercitare in modo virtuale il desiderio di socializzare con l'immaginazione sfogliando Parbistrot in cui vengono descritti 120 bistrot parigini, con 120 ricette e attraverso foto che rendono non solo la bellezza e l'originalità dei locali nei loro dettagli significativi o i piatti realizzati accanto alle rispettive ricette, ma ci trasmettono le atmosfere ineguagliabili nei colori caldi e sfumati di arredi che esprimono quasi la cerimonia di un rito più di tante parole.

Il volume, di grande formato, nasce da un progetto di Alain Ducasse, uno dei più noti chef al mondo e uno dei più intraprendenti animatori e influencer della scena gastronomica internazionale, a tal punto da spingere l’UNESCO a riconoscere il bistrot come patrimonio universale dell'umanità.

Parbistrot è il risultato del lavoro dell'associazione Le plus grand bistrot de Paris, la cui giuria (tra i cui membri figura Ducasse in primis) seleziona ogni anno i 120 migliori locali della capitale.

Marc Augé, uno dei più creativi etnologi della nostra vita quotidiana, ricava dalla sue osservazioni significati generali, osservando i luoghi e i comportamenti con lo sguardo scevro da pregiudizi e conformismi. Quindi anche in questo caso, come in altre sue opere, come ad esempio Non Luoghi e Un Etnologo nel Metrò, osserva i riti e i miti della tribù del Bistrot.La parola Bistrot è diventata universale e in tutti i continenti è possibile trovare locali designati in questo modo. La Francia ha esportato in tutto il mondo questo che Augé definisce "un modello di civiltà urbana, contrassegnato da amabilità e socialità". Solo la torre Eiffel può competere con questa icona cheuna miriade di opere letterarie e di film hanno dato un'immagine evocativa.

L'origine della parola, facendo riferimento al dizionario Petit Robert nasce da due possibili etimologie, entrambe non pienamente certe, che lasciano il campo anche ad altre interpretazioni. La prima è bistouille temine che a fine Ottocento designava, soprattutto nel nord della Francia, una bevanda alcolica oppure un caffè corretto con l'acquavite; la seconda nascerebbe dal russo bistro che significa presto, forse un retaggio dei tanti russi attirati dalla Ville Lumiere, dopo l'esodo a seguito della rivoluzione russa del 1917.

In realtà altri autori propongono l'etimologia bistraud, termine usato dall'argot (il dialetto parigino) nella Belle Epoque per designare il mercante di vini. Augé traccia anche un quadro cronologico del bistrot. La sua età dell'oro sarebbe tra il 1914 e il 1934, quando, per la prima volta, il cibo poteva essere più importante del vino e ci sembra di rivedere certe pellicole in bianco e nero del cinema di quegli anni. Poi il secondo dopoguerra, e in particolare gli anni Sessanta animati dalla travolgente scena parigina che incarna la gioia di vivere e la nascita delle tendenze più glamour dell'arte e del pensiero in tutte le sue forme. E ancora, il periodo attuale, a partire dagli anni Duemila, in cui si è sempre più internazionalizzato, designando locali diversi, pur contrassegnati dalle nuove tendenze giovanili e non solo dell'intrattenimento enogastronomico inteso come momento ludico e di socialità accompagnata e favorita dal vino e da piatti semplici, ma mai banali. Su questo aspetto della qualità del cibo abbiamo conferma nelle ricette proposte dal precedente volume curato da Ducasse.

L'autore avanza la tesi che il bistrot francese sia stato un antesignano di questi nuovi comportamenti, infiltrandosi nelle grandi città del mondo divenendo di uso comune. A sostegno di questa tesi l'autore cita il French Little Bistrot di Miami Beach, il Bistrot Les Amis di New York. La parola si è disincarnata dal contesto francese per cui in Italia il Bistrot Turin  è specializzato in vini e in piatti piemontesi, così come, tra i tanti che hanno successo a Berlino, la birra la fa da padrona.

A Parigi, nasce la tendenza dei cosiddetti bistrot bobo, ovvero frequentati da un pubblico di bourgeois-bohème, definiti appunto con questo acronimo. Un movimento che ha giovato del sostegno di alcuni grandi chef che, non solo in Francia, hanno aperto succursali che usano il loro marchio e nobilitano per qualità delle materie prime, per inventività ed eleganza della presentazione anche alcuni dei piatti tipici di una cucina fast.

Dopo questa abbastanza lunga carrellata mi sorge una domanda: cosa ha differenziato e differenzia le osterie romane, i caffè viennesi, i pub inglesi e le birrerie tedesche dal bistrot? Cosa hanno in comune e cosa hanno di diverso? Mi piacerebbe che i lettori di Buoni da Leggere ci riflettessero e provassero a mandarci un loro parere. Anche questo è un modo per vivere una socialità ed un contatto virtuale in un momento difficile come questo.

Ascolta Le Bistrot di Georges Brassens

Scritto da Sergio Bonetti

Ha insegnato all'Università, si è occupato di piccole imprese e, negli ultimi anni, soprattutto di quelle del  settore enogastronomico, per le quali ha promosso eventi legati alla cultura del territorio. Le sue grandi passioni sono i libri, il cibo, il vino…e le serie tv.  

Ama viaggiare e per lui ogni tappa diventa occasione per visitare i mercati alimentari e scoprire nuovi prodotti, tecniche e tradizioni.

E’ inoltre appassionato di ricerca e dello studio di testi in ambito culinario, per contrastarne la spettacolarizzazione e i luoghi comuni.

1 Commento

  1. Sara Albano24 marzo 2020 alle ore 18:24

    E pensare che pare un tempo le persone si recassero a “mangiar fuori” perché non possedevano la cucina! Oggi credo che l’atto ristorativo, sia da parte di chi cucina che dei clienti, è più edonismo che necessità o voglia di assicurarsi qualcosa di genuino e non “junk alla moda”. La cosa in comune nei secoli, però, resta proprio come sottolinei tu la socialita e la condivisione. Nella speranza che questi tempi duri ci portino a rivalorizzarle ancora di più! Con l’occasione ho ritrovato questo articolo sul “fast food” ai tempi di Pompei. Grazie Sergio per le tue riflessioni https://www.prodigus.it/articoli/food-news/fast-food-pompeiani

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