Riccia, frolla... o Santarosa?

Di sfogliatella napoletana non ce n'è una sola: ne esistono ben tre versioni, "gemelle diverse" accomunate da un gusto impareggiabile

Riccia, frolla... o Santarosa?

“So’ doje sore: ‘a riccia e a frolla. / Miez’a strada, fann’a folla. / Chella riccia è chiù sciarmante:/ veste d’oro, ed è croccante, / caura, doce e profumata. / L’ata, 'a frolla, è na pupata. / E’ chiù tonna,  e chiù modesta, / ma si’ a guarde, è già na festa! /Quann’e ncontre ncopp’o corsot’e vulesse magnà a muorze./ E sti ssore accussì bellesai chi so’? / So’ ‘e sfugliatelle!”

Spesso quando si cerca di risalire alle origini di una ricetta si leggono tante versioni diverse della sua storia; è il caso della sfogliatella napoletana, le cui vicende vengono non di rado "confuse" da quel pizzico di fantasia che contraddistingue anche il nostro stesso essere italiani. Intanto, il punto di partenza è che di sfogliatella non ce n’è una sola, ma ben tre appartengono alla tradizione partenopea, e sono la riccia, la frolla e la Santarosa.

Quest’ultima sembra che cronologicamente sia stata la prima delle tre, inventata da una delle clarisse del convento di Santa Rosa, oggi sede di un hotel, che si trova tra i comuni di Furore e Conca dei Marini sulla Costiera Amalfitana. Siamo all’incirca nel XVIII secolo, e nei salotti dell’alta borghesia e della nobiltà erano molto di moda i dolci che da una parte erano gioia del palato e dall’altra costituivano una fonte di guadagno per i monasteri che li sfornavano.

C’era fra l’altro una vera e propria "battaglia silenziosa" tra un monastero e l’altro per ingraziarsi le famiglie abbienti e ricavare profitto dalla vendita dei propri dolci. Se si legge l'Opera di Bartolomeo Scappi, il più grande trattato di cucina del ‘500 scritto dal famoso letterato e cuoco privato dei papi Paolo III e Pio V, vi si può trovare menzione della sfogliatella ripiena di biancomangiare

Lo chef riporta la “sfogliatella piena di biancomangiare“ in una delle sue ricette, in cui il biancomangiare è racchiuso in una sfoglia per renderlo croccante e più appetitoso sulla tavola dei papi. Anche se Scappi è fuori territorio e di epoca antecedente, sono tanti quelli che ritengono che la sfogliatella sia opera di una clarissa che non voleva sprecare i resti del pranzo e si trovava della semola cotta nel latte. Da qui pensò di aggiungervi frutta secca, zucchero e liquore al limone per ottenere il ripieno per un dolce.

Sistemò poi il composto tra due dischi di pasta di pane arricchita con strutto e vino bianco e sollevò la sfoglia superiore per darle la forma di un cappuccio. I nuovi dolci fragranti e profumati, appena usciti dal forno a legna e spolverati con zucchero a velo, furono serviti a mensa e la Madre Superiora ne fu talmente entusiasta che pensò di trarre profitto con la vendita .Nel rispetto della clausura questi dolci erano portati all’esterno del convento su di una ruota grazie alla quale dall’interno le suore ricevevano le monete lasciate dai contadini del posto.

La sfogliatella fu dedicata a Santa Rosa: divenne simbolo della festa della Santa celebrata il 30 agosto, giorno in cui questo dolce veniva donato ai cittadini di Conca dei Marini .Negli anni successivi la ricetta della Santarosa fu perfezionata aggiungendovi la ricotta e decorandone la superficie con crema pasticcera e amarene. Ma la ricetta restò un segreto delle suore del monastero: infatti, per arrivare dalla Costiera a Napoli, la ricetta impiegò circa 150 anni.

Ai primi dell’800 un'oste napoletano di nome Pasquale Pintauro sarebbe venuto a conoscenza - non si sa bene come - della ricetta originale della Santarosa e cominciò a venderla. Il successo fu tale che l’oste trasformò la sua bottega in pasticceria e decise di eliminare la guarnitura di crema pasticcera e amarene e pure la forma a cappuccio, lasciando al dolce la forma triangolare ma riducendone le dimensioni. 

Quando più tardi la pasticceria napoletana fu travolta dall'influenza di quella francese, la sfogliatella non fu più gradita ai ricchi nobili, ma grazie all’intraprendenza di famiglie di pasticceri di lunga tradizione bastò spostare l’attività dal centro storico ai quartieri popolari affinché la sfogliatella raggiungesse la fama che ancora oggi la contraddistingue. Il ripieno delle sfogliatelle oggi è fatto di semolino, ricotta, uova, zucchero, canditi e spezie tra cui risalta la cannella; la croccantezza della sfogliatella in versione "riccia" è dovuta ai sottilissimi strati di pasta sfogliata sovrapposti l’uno all’altro che conferiscono la particolarissima increspatura superficiale oltre alla sua forma triangolare a conchiglia .La sfogliatella in versione "frolla" ha invece forma forma tondeggiante e la pasta è una morbida e sapida pasta frolla, e il suo ripieno è lo stesso della riccia.

La Santarosa che può essere riccia o frolla ha anch’essa lo stesso ripieno, ma si distingue per la sua guarnitura di crema e amarene sciroppate. Il visitatore o il turista in visita a Napoli e dintorni non potrà rinunciare e al piacere di gustare una sfogliatella: che sia riccia, frolla o Santarosa con la crema e le amarene in cima, sarà comunque uno dei ricordi della città che porterà con sé a lungo. 

Photo by Redazione Prodigus

Scritto da Redazione ProDiGus

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