La pastiera napoletana

Scopriamo storia, ricetta e caratteristiche del massimo simbolo della pasticceria italiana che onora la Pasqua: la pastiera

La pastiera napoletana

La Pasqua con la Risurrezione di Gesù è antica festività cristiana, per cui antichi sono rituali e tradizioni ad essa collegati, variabili da luogo a luogo ma sempre contraddistinti dal richiamo alla rinascita della vita (sia per la Risurrezione che per il passaggio dall’inverno alla primavera), alla ripresa della natura sia per gli animali che per le piante, alla semina e alla speranza di un raccolto abbondante, alle nascite per le varie specie animali, al rinnovarsi di tutti i componenti della nostra incomparabile Terra Madre.

E’ in questa aria di novità, felicità, speranza, allegria e buonumore che si inseriscono le tante preparazioni di dolci per la Pasqua: bisogna fare festa e quale miglior modo se non a tavola, con piatti salati e tanti tanti dolci! Il panorama è ampio e differenziato, ma dovendo operare una scelta mi piace dir qualcosa su una prelibatezza che io per primo amo: la pastiera napoletana.

E’ tanto conosciuta e preparata in tutta Italia, anche se effettivamente preparata e consumata specialmente a Sud, preparazione a cui si ispirano anche altre specialità meridionali, come la pugliese torta o pizza di ricotta diffusa in particolare nella provincia di Foggia (si differenzia dalla pastiera napoletana perché non si utilizza grano cotto). La pastiera in alcuni luoghi della Campania viene preparata anche per l’Epifania e per la Pentecoste. Inoltre, la pastiera, come tante altre e altre golosità tipicamente pasquali (come la Ciaramicola di Perugia, il Torcolo e la Rocciata umbri, la Torta di Ricotta pugliese, la Pupa e il Galluzzo del Salento e altri dolci locali) veniva offerta dal fidanzato alla promessa sposa, in particolare nei periodi come Pasqua e Natale. Che la pastiera dolce sia una vera e propria fonte di buonumore lo dimostra anche un aneddoto, secondo il quale assaggiandola, anche la regina Maria Teresa d’Asburgo, moglie di Ferdinando II di Borbone, avrebbe sorriso per il piacere della gola, lei che era definita “sovrana che non sorride mai”!

Di leggende sull’origine della pastiera ve ne sono diverse, passando da quella di pescatori che si erano salvati in mare mangiando la “pasta di ieri” da cui “pastiera” come assonanza fonetica; a quella che vede attrice la divina sirena Partenope che vede realizzare la pastiera dagli stessi dei ai quali aveva presentato i doni (farina, ricotta, uova, grano tenero, spezie, zucchero, acqua di fiori di arancio, ricevuti dai napoletani, i quali in tal modo l’avevano premiata per la bellissima voce). Mettiamo però da parte le leggende, per dire che la prima ufficiale citazione della pastiera compare in libri di cucina locale alla fine del XV secolo, anche se si trattava di una preparazione salata e dolce allo stesso tempo, vista la contemporanea presenza di grano bollito, formaggi, pepe, sale da un lato e ricotta, pistacchi, marzapane, latte dall’altro. 

Anche se della pastiera esiste una versione salata, concorrente del tortano (con le uova sode non “a vista”) e del casatiello (che le uova sode le ha invece ben visibili e del quale esiste anche una versione dolce), nel tempo si è affermata maggiormente (quasi esclusivamente) quella dolce. La pastiera affonda però effettivamente le sue radici nel substrato delle preparazioni salate, in quanto è comune convincimento degli addetti ai lavori che all’inizio fu una frittata di maccheroni (spaghetti e vermicelli) arricchita di salami, formaggi, uova, provola grattugiata. Non mancano però studiosi che fanno risalire all’antichità l’uso di questo impasto, dolce o salato che fosse, tipico di popolazioni che coglievano ogni occasione per fare festa, ma data la povertà dei tanti si finiva per utilizzare residui vari sia di tipo salato che dolce, con una progressiva variazione degli elementi man mano che miglioravano le condizioni economiche, le coltivazioni, gli allevamenti, l’arrivo di spezie da altri paesi, l’affinamento sia dell’agricoltura che della zootecnia. 

Si assiste pertanto all’affermazione della versione dolce, molto più adatta a festeggiare in allegria insieme al buon vino campano (famoso sin dal tempo dell’antica Roma; si pensi al Falerno). Oggi nella versione ormai accreditata da tempo, la pastiera viene preparata con pasta frolla (ottenuta con farina, sale, zucchero, burro o strutto o sugna e uova, con eventuale aggiunta di aromi o bucce di agrumi a piacere, talvolta del lievito), farcita con un impasto fatto con ricotta, grano tenero bollito nel latte bovino (in commercio si trova già pronto all’uso), frutta candita, zucchero, uova, a cui si aggiungono per profumare il tutto anche cannella, scorze d’arancia dolce, vaniglia, acqua di fiori d’arancio (in molti Paesi del Nord Africa dove gli agrumi sono presenti, si usa sia per la cura del corpo che per deodorare gli ambienti, oltre che per la cucina; già pronta in commercio, ma facile da preparare anche in casa, con fiori di arancio o zàgare, profumatissimi, e procedimenti semplici disponibili in siti web, che ovviamente conducono a un risultato diverso dalla distillazione degli oli essenziali). Come al solito, qualcuno apporta modifiche (è tipico di noi italiani volerci sempre segnalare per originalità), per cui esiste una versione in cui è presente la crema pasticcera (o semplicemente crema, preparata usando latte, farina o amido di mais o di riso, zucchero, tuorlo d’uovo), riso o pasta lessata e sminuzzata al posto del grano, senza ricotta ma con frammenti di pasta lessata, con cacao amaro messo nell’impasto della pasta frolla. 

La pastiera, come tante altre preparazioni pasquali, dolci o salate che siano, si prepara tra il giovedì e il sabato santo, in modo che possa riposare e migliorare in consistenza, sapore e profumo prima di essere consumata nel giorno di Pasqua, o a Pasquetta nella gita classica di quel giorno. Nella sua versione salata (assenza di componenti dolci, presenza di formaggi vari, salumi diversi, pepe) viene servita fredda o calda come antipasto o durante il pranzo pasquale, freddo a Pasquetta. La versione dolce si serve come tale a fine pasto, anche se può rappresentare un gradito spuntino pomeridiano col caffè. Se dovesse avanzare, la pastiera napoletana si conserva bene sia in frigorifero (anche per una settimana, purché coperta sotto cupola di vetro o altro materiale), sia in un luogo asciutto e fresco.  

Molti non amano i canditi, oppure non vogliono sentire il grano cotto in bocca: in questi casi la farcitura può essere frullata finemente (“trucchetto” adoperato da molte pasticcerie), oppure si possono eliminare alcuni componenti naturalmente a seconda dei gusti. Nel degustare una deliziosa fetta di pastiera, scegliamo di abbinare un vino bianco dolce, morbido (la pastiera è molto saporita e complessa), profumato (la pastiera ha tanti profumi al suo interno), speziato (nella pastiera troviamo cannella e altre spezie), freddo di frigo (per non sommare il dolce del vino a quello della pastiera rendendo il boccone stucchevole al gusto) e dell’annata (in modo che l’acidità possa ripulire la bocca dalla grassezza dell’impasto). Non essendo un prodotto lievitato non richiede bollicine, ma se ci fossero (non spumante ma semplicemente vino mosso o vivace) contribuirebbero a ripulire la bocca, pur restando nell’ambito dei vini dolci.

Note bibliografiche

  • C. Cesetti, C'è una volta. Ricette e storie della tradizione popolare, Ed. Stampa Alternativa
  • L. Pignataro, I dolci napoletani in 300 ricette, Ed. New Compton
  • L. Pignataro, La cucina napoletana, Hoepli

Photo by Sara Albano

Scritto da Luciano Albano

Laureato con lode in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Bari nel 1978, ha svolto servizio come dirigente del servizio miglioramenti fondiari della Regione Puglia presso l’Ispettorato Agrario della città di Taranto. Appassionato di oli e vini, ha conseguito il diploma di sommelier A.I.S. e quello di assaggiatore ufficiale di olio per la sua regione

Già specializzato in Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli presso il C.I.H.E.A.M. di Bari (Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Mediterraneennes), nonché iscritto all'Ordine dei Dottori Agronomi della Provincia di Taranto e nell'Albo dei C.T.U. del Tribunale Civile di Taranto

, da sempre ama approfondire il food e il beverage per metterne in rilievo ogni sfaccettatura.

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