I vini da meditazione

Anche detti vini da conversazione, ecco come imparare a distinguerli ed ove poter scegliere di accompagnarli con il cibo giusto

I vini da meditazione

Essere gustati da soli, in purezza, senza alterazioni derivate da abbinamenti vari, non è certo prerogativa esclusiva dei formaggi, del cioccolato e di tante altre prelibatezze alimentari, ma anche di tanti vini, chiamati “vini da meditazione”, denominazione messa a punto dal famoso enologo Luigi Veronelli. Da gustare con dovuta calma, sono vini con caratteristiche particolari che consentono di berli in purezza, senza abbinamento a cibi vari o preparazioni culinarie.

La parola meditazione lascia intendere che dovrebbero essere bevuti in solitudine, di calma nei quali si avverte la necessità di meditare, riflettere, pensare. In realtà il vino è strumento di relazione con gli altri, per cui molti preferiscono definirli “vini da conversazione”, attività che presuppone discorsi, racconti, scambi di idee ed esperienze, per festeggiare un momento speciale della propria vita o semplicemente dopo il pasto, specialmente alla sera.

Le caratteristiche che rendono un vino anche da conversazione/meditazione sono certamente da correlare a corposità, sapore, profumo (somma di odori primari percepiti per via diretta nasale o ortonasale, propri del mosto ricavato da una certa uva; aromi veri e propri o secondari, che si avvertono dopo la deglutizione e per via nasale indiretta o retro nasale, originati dalla fermentazione del mosto) ed eventuale bouquet (aromi terziari, sostanze aromatiche originatesi  durante l’invecchiamento, se praticato) particolarmente rilevanti e tali da soddisfare pienamente chi beve, pur in assenza di pietanze abbinate.  

Prima di passare ai vini particolari, si può certamente affermare che per la conversazione /meditazione vanno di solito benissimo vini secchi, rossi, molto alcolici e corposi, molto densi alla vista e ricchi di aromaticità, affinati o addirittura invecchiati. Sono vini un po’ difficili da abbinare alle pietanze in quanto prevaricherebbero le caratteristiche gustolfattive di queste, per cui meglio berli da soli o in compagnia per apprezzarli in pieno, anziché collocarli all’interno di un pasto. Parliamo di grandi rossi come Barolo, Amarone, Brunello di Montalcino, Primitivo di Manduria, Aglianico, Chianti e tanti altri, in ogni parte d’Italia, con i loro aromi complessi in cui si avvertono spezie, muschi, tabacco, pepe, ecc. e sapore gratificante, appagante. L’abbinamento al cibo non è però impossibile, bastando all’uopo riferirsi a preparazioni molto elaborate, all’altezza della complessità del grande vino.

Molti  vini da conversazione, invece, hanno una storia diversa da quelli descritti (per i quali l’impegno è massimo sia in vigna che cantina, altrimenti non sarebbero grandi vini rossi), ma sono vere e proprie eccellenze, ottenute con tecniche di coltivazione e di cantina davvero particolari e complesse. Mi riferisco a “vendemmie effettuate in condizioni particolari”, “vendemmie tardive”, “ammuffimento dei grappoli”, “appassimento dei grappoli”, “aggiunta a vino di alcol, liquori, aromatizzanti vari”. 

Da vendemmia particolare proviene il famoso “Icewine o Eiswein” (Austria, Germania e Canada), ottenuto da uve vendemmiate quando completamente ghiacciate, in pieno inverno, talvolta sotto la neve. In tal modo i succhi si concentrano particolarmente negli acini e i vini ottenuti (dopo spremitura soffice e tante altre accortezze) sono dolci, aciduli, ricchissimi di sapore e profumo di frutta (di uva appunto). Tra i vitigni più utilizzati se ne possono trovare sia a bacca bianca (Riesling e Vidal) che a bacca rossa (Cabernet Franc). Dell’ icewine esistono anche versioni spumantizzate e recentemente anche altri paesi si sono cimentati nella produzione, tra cui l'Italia, particolarmente in Trentino-Alto Adige (dove viene chiamato eiswein) e in Valle d'Aosta (dove viene chiamato vin de glace), ma anche in Piemonte, Emilia-Romagna e Francia.

Da vendemmia tardiva provengono uve cosiddette “sovramature”, quindi con notevole concentrazione di zuccheri, per cui si ottengono vini non proprio secchi, talvolta decisamente dolci, corposi, densi, profumati. In pratica si verifica un appassimento naturale (avviene sulla pianta), senza però far sviluppare la muffa, che in tal caso sarebbe non nobile ma dannosa. Esempi tipici sono l’Aleatico passito e il Picolit dei Colli Orientali del Friuli, il Moscato rosa, il Moscato giallo, alcuni tipi di vini da Gewurztraminere e altri, specialmente in Trentino.

Quando parliamo di uve ammuffite non ci riferiamo a quelle che per gli eventi naturali ante vendemmia sono state attaccate da micromiceti che li deteriorano (in particolare Botrytis cinerea a cui si associano altre specie fungine) rendendo difficile anche la loro lavorazione in cantina, ma a quelle uve sulle quali volutamente il produttore fa si che si sviluppi la cosiddetta “muffa nobile” (Botrite citata), con conseguente concentrazione del succo nell’acino per perdita di acqua per rottura e micro - perforazioni della cuticola dell’acino, conseguente aumento della  concentrazione dello zucchero, degli acidi e dei composti dell’ odore, presenza degli aromi aggiunti dalla muffa e chiamati dai tecnici “dextrane”. Questi vini si dicono muffati e un esempio famoso (oltre che molto costoso) sono i vini francesi del Sauternes, quelli di Austria e Germania chiamati Trockenbeerenauslese (TBA), mentre in Italia esempio unico è la tiipologia dell'Orvieto DOC “muffa nobile”.

Vini speciali da conversazione/meditazione sono anche quelli ottenuti da uve appassite, cioè da uve che dopo la vendemmia vengono poste ad appassire in ambienti ventilati, ombrosi, su graticci, stuoie e simili, rivoltandoli spesso perché l’appassimento sia uniforme e non si sviluppi muffa dannosa sugli acini. Si ottengono i cosiddetti vini passiti, dei quali  famosi in Italia il Passito di Pantelleria, il Vin Santo del Chianti, l’Erbaluce di Caluso, lo Sciacchetrà delle Cinque Terre,l’ Aleatico passito dell’Elba, il Recioto

Inoltre, non si dimentichi che vini da conversazione/meditazione sono anche quelli fortificati, ottenuti per aggiunta al vino di alcol, mosto cotto, mistella, liquori e sostanze aromatizzanti, con proseguimento delle reazioni ossido riduttive in botti speciali e con travasi frequenti che servono ad ossidare il vino nella quantità voluta. Esempio tipico sono il Marsala, il Vermouth, la Vernaccia di Oristano, ma non dimentichiamo il Porto, lo Sherry (alias Jerez o Xeres), il Madeira.

Le caratteristiche gustative e olfattive di questi vini si possono così riassumere: colore dal giallo dorato all’ambrato per i bianchi, dal rosso rubino intenso al granato per i rossi; profumo ricco, complesso di agrumi, confettura di albicocca, uva sultanina nei bianchi dolci; frutta candita, frutta di sottobosco come fragoline-more-ribes, frutta cotta, spezie (specialmente cannella e pepe) nei rossi, specialmente se secchi. 

Quando il vino da conversazione (sia bianco che rosso) è dolce, in bocca resta non solo il gusto dolce ma anche tanta morbidezza dovuta ad alcol etilico, polialcoli come la glicerina (alcol trivalente), con scarso calore da alcol etilico (anche se la gradazione non è mai bassa) perché attenuato dal dolce dello zucchero. Quando invece questi vini sono secchi si avverte in bocca un gran calore da alcol etilico, dato che si tratta di vini molto alcolici ma poveri di zuccheri (ma 5% in volume). Sia nei bianchi che nei rossi, sia dolci che secchi, si sente una forte concentrazione di profumo di uva e frutta molto matura, oltre ai aromi (terziari) da legno, se previsto l’uso di botti di varia capienza nel ciclo produttivo del vino in questione. 

Per il servizio occorre tener conto che i vini da conversazione dolci si servono freddi, anzi più sono dolci e più bassa deve essere la temperatura di servizio, senza però esagerare perché il freddo non consentirebbe alle sostanze volatili profumate di svilupparsi e giungere al naso (10-12°C per i bianchi, 14-16 per i rossi); quelli secchi si possono servire a temperatura di 14 – 16°/ 18 – 20°C se rossi a seconda dell’invecchiamento, se bianchi a 12 – 14°C.

Quale bicchiere usare per i vini da conversazione? Sempre il calice a tulipano, per quelli dolci medio/ piccolo, per quelli secchi medio/grande, il tutto anche in funzione dell’invecchiamento a cui è stato sottoposto il vino e quindi agli aromi terziari che ci aspettiamo (l’invecchiamento chiede calici grandi perché i sentori si sviluppano lentamente per giungere al naso).

Se proprio si vuole abbinare un vino da conversazione/meditazione a qualcosa da mangiare, si sceglieranno per quelli dolci (sia rossi che bianchi) la pasticceria secca, i dolci al cioccolato di alta qualità se rossi; se bianchi non eccessivamente dolci si potranno impiegare benissimo per una degustazione di formaggi erborinati.

Note bibliografiche
Veronelli, Bere giusto, Ed. BUR Rizoli                    
AIS, Enologia e viticoltura da vino
AIS, tecnica dell’abbinamento cibo-vino

Photo made in AI

Scritto da Luciano Albano

Laureato con lode in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Bari nel 1978, ha svolto servizio come dirigente del servizio miglioramenti fondiari della Regione Puglia presso l’Ispettorato Agrario della città di Taranto. Appassionato di oli e vini, ha conseguito il diploma di sommelier A.I.S. e quello di assaggiatore ufficiale di olio per la sua regione

Già specializzato in Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli presso il C.I.H.E.A.M. di Bari (Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Mediterraneennes), nonché iscritto all'Ordine dei Dottori Agronomi della Provincia di Taranto e nell'Albo dei C.T.U. del Tribunale Civile di Taranto

, da sempre ama approfondire il food e il beverage per metterne in rilievo ogni sfaccettatura.

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