Siamo primi in Europa per consumo di prodotti ittici, con una media di ben 28kg pro capite consumati ogni anno
Nutrizionalmente equilibrate e storicamente versatili per la cucina e la salumeria, ecco le origini, le caratteristiche e gli usi delle carni suine
La cultura contadina ci insegna che storicamente la macellazione del maiale era una vera festa, legata alla terra e ai suoi frutti, un rito dai tratti pagani che seguiva il ritmo naturale del tempo e delle stagioni e affondava la sua ragion d’essere in un passato arcaico che oggi rimane vivo nelle tradizioni che evocano non solo una necessità materiale ma un momento di autentica socialità e aggregazione.
Era infatti l’occasione in cui si radunavano tutti i membri della famiglia, a volte il vicinato, e in cui ognuno aveva un compito ben preciso da svolgere seguendo tecniche e pratiche antiche e sempre uguali. La macellazione era il sacrificio dell’animale per eccellenza che, dopo un anno di cura e attenzioni, avrebbe dato sostentamento a tutta la comunità per tutto l’anno a venire. Era nel periodo invernale, nei mesi compresi tra novembre e febbraio (i più freddi dell’anno, a seconda delle varie zone) che il maiale raggiungeva la maturità ed era pronto per la massima resa delle carni e dei grassi usati come condimenti della cucina povera. Il momento della macellazione, secondo tradizione, avveniva la mattina subito dopo l’alba, con una gestualità precisa e dal valore simbolico.
Quello che oggi può apparire un rito tradizionale ma cruento era in realtà il momento in cui i contadini, dopo aver mangiato verdure per mesi, si concedevano il piacere e il gusto della carne. Dopo la macellazione, infatti, ci si riuniva intorno alla tavola per consumare il piatto tipico del giorno e, anche questo, rendeva l’evento un’occasione speciale e sanciva tutto il carattere sociale del rito stesso. Era il momento per eccellenza di solidarietà e coesione tra le famiglie, sia nella fase di macellazione e lavorazione delle carni che in quello del consumo nel quale si offriva ai partecipanti tutto ciò che non era immediatamente destinato alla conservazione, in una rete di scambi tra le varie famiglie che ricambiavano reciprocamente.
Oggi è sempre più diffusa tra i consumatori l'inclinazione alla scelta delle carni fresche di maiale in sostituzione delle altre, ritenute più “magre”, più “leggere”, meno “colesteroliche” e meno “grasse” grazie alla diffusione delle notizie sulle caratteristiche dei suini leggeri allevati oggi con metodi diversi dal passato e macellati con un peso minore di prima, quindi con grassi meno presenti nella muscolatura. Il maiale appartiene alla famiglia dei Suidi (ordine degli Ungulati, sottordine degli Artiodattili) con la specie Sus scrofa domestica, che secondo alcuni discenderebbe dal cinghiale europeo (Sus scrofa ferus), secondo altri da suini asiatici (S. scrofa vittatus o asiatico-indiano, S. scrofa verrucosus o indocinese, S. scrofa barbutus o indonesiano); secondo altri ancora dal cinghiale asiatico (S. scrofa indicus).
Allo stato selvatico i maiali vivono in foreste e paludi nutrendosi, in quanto onnivori, di erbe, radici, tuberi, frutti, semi, ma anche di altri animali. In Italia l’allevamento è praticato a sistema:
- brado: tipico di Italia centrale e meridionale, con transumanza estiva dal monte al piano, in modo da pascolare sulle ristoppie di cereali e di foraggere, maiali rustici che pascolano in continuazione, camminano tanto nella macchia e nel bosco, nutrendosi di vegetali spontanei, producono carne magra destinata al consumo fresco , ma ancor più a rinomati salumi insaccati, anche prosciutti se il pascolamento è prolungato con maggior deposito di grasso sottocutaneo (utile per la produzione di lardo) e periviscerale (destinato a fare sugna e strutto);
- semistallino: di giorno i maiali pascolano su erbai, prati, pascoli, boschi, mentre di notte sono ricoverati in porcilaie dove ricevono un’alimentazione integrativa;
- intensivo o stallino (sia familiare che industriale): molto diffuso nella Valle Padana, gli animali sono sempre in porcilaia, ricevono alimenti vari, tra cui i sottoprodotti dei vicini caseifici).
Di razze suine domestiche ne esistono tante; tra le italiane ricordiamo: Emiliana – Mora - Castagnona, Cinta senese (mantello scuro con fascia bianca dal garrese spalla agli arti anteriori), Cappuccia d’Anghiari - Casentinese - Perugina - Casertana - Napoletana - Pelatella, Parmigiana, Maremmana - Macchiaiola, Pugliese, Calabrese, Cavallina lucana, Mascherina (Calabria/Molise/Puglia), Siciliana delle Madonie, Sarda.
Tra le straniere, invece, le razze suine più note sono: Yorkshire - Large White (praticamente mondiale, mantello bianco, per carne fresca e salumificio, molto diffusa nella Valle Padana e nel Centro Italia), Large Black (inglese, mantello nero, ottima per la carne magra e per il bacon), Berkshire (inglese, mantello nero, per carne grassa e lardo), Poland china (la più diffusa negli USA, mantello nero con macchie bianche su muso, punta coda e arti), Duroc (USA, cute rossastra, carne grassa), Landrace (incrocio tra Large white e maiali campagnoli, danese, per bacon e prosciutti, carne fresca magra), Hampshire (USA, carne magra, mantello come la Cinta senese).
La specie suina, oltre che onnivora, si contraddistingue per la notevole voracità: il maiale mangia di più a parità di peso vivo, ma utilizza meglio gli alimenti. Riesce a trasformare in grasso gli alimenti molto più di quanto fanno gli altri animali domestici (bovini, ovini, caprini, conigli e galline), per cui la loro alimentazione viene regolata a seconda che si vogliano produrre carni per consumo diretto, salumi insaccati e non.
La loro capacità di accrescimento è tale che i maialini raddoppiano il peso in appena 2 settimane, conto i 22 – 47 – 60 giorni impiegati rispettivamente da caprini, bovini, equini; a 7 mesi il peso del maiale è 75 volte superiore a quello della nascita, con altissime rese alla macellazione dal 75 al 92% (rapporto tra il peso vivo e il peso dell’animale eviscerato/rifilato pronto per la vendita alle macellerie e industri alimentari; come si dice “del maiale non si spreca nulla”), pari soltanto a quella dei polli. Quando si deve produrre carne suina per consumo diretto è necessario che questa sia poco grassa, oltre che tenera/saporita/digeribile facilmente, dato che oggi il mercato non gradisce assolutamente carni suine fresche e grasse. Questa richiesta del mercato fa sì che i maiali destinati al consumo fresco devono pesare al massimo 100 kg quando giungono al macello.
In base al peso e all'età di macellazione, i maiali vengono così suddivisi:
- - Lattonzolo (o giovane slattato) - 45-70 gg, kg 15-20
- - Magroncello tempaiolo - fino a 4 mesi, kg 20-35
- - Magroncello scorzone (o terzano) - fino a 6 mesi, kg 35-50
- - Magrone - fino a 8 mesi, kg 50-100
- - Semigrasso - fino a 10 mesi, kg 100-150
- - Grasso - fino a 12 mesi, kg 150-180
- - Grasso finito - 12 mesi, kg 180-200 e oltre (sopranno)
Oggi il maiale da carne si macella sottanno, in media a 6 – 8 mesi, ma anche le prime categorie due possono essere destinate alla carne per consumo diretto, poiché le carni sono ancor più tenere e magre, come il consumatore chiede per un’alimentazione razionale e salutare, senza rinunciare al buon sapore del maiale.
L’alimento principe nell’alimentazione del maiale è il granoturco, seguito da orzo e avena (come farine), fave, sottoprodotti del caseificio (come il latticello, il siero di latte, il latte scremato), sottoprodotti della lavorazione di cereali, riso compreso (cruscami vari come tritello, pula, farinaccio), panelli di semi oleosi, farine di carne/sangue/pesce. L’alimentazione comprende anche foraggi verdi, radici, tuberi quando gli animali sono al pascolo oppure forniti in porcilaia affettati, crudi o cotti uniti a mangimi concentrati.
Le parti del maiale destinate al consumo fresco sono numerose e volendo possiamo elencarle.
Partendo dal quarto posteriore dell’animale, troviamo la coscia,taglio noto e pregiato, famosa non solo per la produzione di prosciutto crudo e prosciutto cotto. In essa si distinguono lo scamone (parte alta della coscia), la noce (tra cosca e pancia), la fesa (accanto alla noce e sotto la coscia), la sottofesa (tra fesa e stinco). Con esse si possono preparare squisite ricette soprattutto a cottura veloce. Più in basso invece si trova lo stinco, venduto generalmente intero con osso e ideale per stufati e brasati a cottura lenta. Segue la zampa, di solito destinata alla produzione dello zampone.
Il filetto è il taglio più magra, tenera, delicata e pregiata del maiale: è il più desiderato dei tagli di diverse tipologie di animali domestici, particolarmente magro e ricco di succhi. Ciò deriva dalla sua posizione nella struttura muscolare: è situato in una zona interna che parte dalla coscia e finisce all’inizio del costato, dunque rappresenta una parte non sottoposta al movimento e per questo povera di collagene e parti tendinee. Si tratta di un taglio non abbondante (anzi, proprio piccolo nel caso del suino). Molto tenero e ricco di fibra muscolare magra, si presta ottimamente a cotture veloci ma non va mai servito al sangue.
Il carrè o àrista è un taglio più ricco di grasso e saporito: comprende la parte superiore delle costole, sopra le vertebre lombari e toraciche, dalla settima costola alla coda. Se intera (costole affiancate tra loro) si prepara sia come arrosto che in umido; se in forma di costolette (o braciole) e bistecche con l’osso si potranno cuocere invece alla griglia o in padella. Le puntine di maiale altro non sono che il prolungamento verso il basso delle costole del carrè: si tratta di un taglio economico e perciò molto popolare, da cuocere al forno o alla griglia, ancor meglio dopo una precottura per ammorbidirne l'alto quantitativo di tessuti connettivi, come consiglia Fabio Campoli (qui la ricetta). Il taglio detto coppa si trova subito dietro alla testa dell’animale: è una parte molto carnosa e saporita, con poco grasso, usata anche per salumi. Fresca è utilizzata per la preparazione di spezzatini (come il gulasch), ma può essere gustata anche brasata.
La composizione in nutrienti di 100 g di bistecca di maiale leggero, senza grasso visibile, con parte edibile pari a 74 g, è decisamente idonea all’alimentazione razionale, in quanto si riscontrano: circa 70 g di acqua, 8 g di grassi saturi, 21 g di proteine, 62 mg di colesterolo, oltre a potassio 290 mg, fosforo e zolfo con 160 mg ciascuno, cloro per 50 mg, sodio con 56 mg, magnesio per 17 mg, calcio per 8 mg, ferro con 1 mg, vitamine B1, B2, B5 e C. Da non sottovalutare la presenza in questa carne anche la presenza di sostanze con funzione antiossidante, come la creatina (derivato amminoacidico epatico, utile ai muscoli per l’avvio delle contrazioni), la taurina (ammina con gruppo acido, di origine epatica, coinvolta sia nella funzionalità di tale organo che del cervello e del sistema muscolare/scheletrico) e il glutatione (forte antiossidante tripeptidico).
Sorgono spesso discussioni su come classificare la carne di maiale: rossa, bianca, rosa?
Per chiarire ogni dubbio si deve prendere atto che esiste una classificazione gastronomica ed una classificazione nutrizionale. In base a quella gastronomica sono carni bianche quelle degli animali giovani, pallide prima e dopo la cottura, mentre sono rosse quelle degli animali adulti, rossastre prima e dopo cottura (comprendono anche quelle scure o nere della selvaggina); rosa quelle rosa chiaro prima e dopo cottura, come il nostro maiale che dopo cottura sconfina talvolta verso il bianco, tanto da indurre taluni a definire carne bianca quella suina. Nella classificazione nutrizionale si tiene, invece, conto del contenuto in mioglobina (Mb) della carne, per cui si hanno carni rosse e carni bianche, senza via di mezzo.
Poiché la carne di maiale contiene mioglobina superiore a pollo e pesce (0,1-0,3% contro 0,05%) la si deve classificare certamente come rossa. Diversa dalla nostra è la distinzione operata negli USA dal USDA (cioè dal Dipartimento Agricoltura), per il quale sono rosse le carni di tutti i mammiferi terrestri a quatto zampe, in quanto tutte contenenti (anche se in misura diversa) mioglobina, mentre sono bianche le carni del pollame, dei conigli e dei pesci, con l’unico difetto di non classificare quelle della selvaggina non mammifera (da pelo o da piuma che sia), di solito molto scura.
Per come oggi viene allevato il maiale per consumo fresco, si può affermare che le caratteristiche negative del maiale di un tempo sono scomparse: infatti il colesterolo e i grassi saturi sono inferiori alle altre carni ritenute, erroneamente, più salutari, oltre alla ricchezza di micro e macro nutrienti che rendono tali carni adatte praticamente a tutti, in particolare agli sportivi, agli anziani, ai piccoli grazie all’elevata biodisponibilità dei principi nutritivi contenuti, al benefico influsso sul funzionamento del sistema cardiocircolatorio.
Nelle carni suine fresche si possono annidare due parassiti, per cui bisogna porre molta attenzione nella loro cottura.
Si tratta delle larve di Trichinella spiralis e di larve e uova di Taenia solium detta anche verme solitario (ma anche di T. asiatica), due tipi di vermi (nematode dal corpo cilindrico il primo, platelminta dal corpo piatto il secondo) responsabili rispettivamente della trichinellosi e della cisticercosi.
La trichinella causa danni a livello muscolare, cardiaco, oculare, intestinale, renale (diarrea, nausea, vomito, edemi diffusi sul corpo e altro), con rischio anche di morte se non combattuta tempestivamente con appositi presidi medici. La tenia si insedia nell’intestino dell’uomo, alimentandosi (e riproducendosi) a sue spese, dato che non ha un suo apparato digerente, per cui praticamente è come se succhiasse liquidi dall’intestino, tanto da determinare continua fame nel soggetto infetto, oltre a vomito, diarrea alternata a stitichezza, dolori addominali e stanchezza.
La prevenzione per entrambi i parassiti, che dal maiale passano all’uomo, consiste nel cuocere in modo da raggiungere la temperautra di almeno 71°C per almeno 3 minuti nella parte più spessa del pezzo di carne che si sta cucinando; l’alternativa è il congelamento della carne per la trichinella a -15°C per almeno 37 giorni, mentre per la tenia a -10°C per almeno 7 giorni.
Note bibliografiche
Tortorelli, Zootecnia speciale, Edagricole
Palombi, Compendio di zoologia generale e agraria, Edagricole
Schirone - Visciano, Igiene degli alimenti di origine animale, Edagricole
Photo by Redazione Prodigus
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