Una proposta di legge contro le campagne sottocosto nelle catene della GDO. Ma quali con ci sarebbero?
Da dove proviene e come si usa in cucina il prezioso tubero che sfama intere popolazioni e suscita sempre più interesse in Europa
Ormai non occorre più entrare necessariamente nei negozi specializzati in prodotti etnici: accanto al platano, è sempre più frequente trovare le radici di manioca nei comuni supermercati, dimostrazione di un’integrazione sociale e culturale fortemente in atto.
Ma non solo: accanto al prodotto fresco tra gli scaffali è possibile oggi trovare farina, fecola di manioca o ancora le perle di tapioca ottime per i dessert, tutti derivati da questo tubero veramente speciale e importante per tanti paesi tropicali, laddove costituisce un’importante fonte alimentare per il suo alto valore energetico, valido sostituto dei cereali a noi più noti (grano tenero, grano duro, orzo, avena, mais, ecc.).
Il suo apporto energetico di 365 kcal/100g di fecola fa sì che la manioca si collochi al 3^ posto, dopo mais e riso, quale fonte energetica per uso umano, specialmente nell’Africa sub-sahariana. I Paesi maggiori produttori di manioca sono Nigeria, Repubblica democratica del Congo, Thailandia, Ghana, Indonesia, Brasile, Vietnam, seguiti da altri, con una produzione globale di 303 milioni di tonnellate di radici, su una superficie di 28.250 ha, distribuiti nell’ordine in Africa Asia, Americhe, Oceania .
Manioca (detta anche cassava e yuca) è il nome popolare di alcune piante del genere Manihot della famiglia delle Euforbiacee, piante originarie dell’America tropicale (Brasile, Messico, El Salvador), la cui coltivazione si è poi diffusa in quasi tutti i Paesi tropicali, particolarmente nell’America centrale, nelle Antille, nel Brasile, nelle Indie olandesi, nel Madagascar.
Si tratta di pianta coltivata da circa 7.000 anni prima di Cristo, nota anche alle civiltà precolombiane dell’area tropicale, in quanto base di alimentazione e riti religiosi di ringraziamento agli dei per la sua presenza in queste aree, come poterono constatare gli invasori spagnoli (e di altre nazioni dopo il 1492), i quali riuscirono a organizzare a Cuba anche la produzione di un “pane” con la farina di manioca, pur essendo questa priva di glutine.
L’arrivo della manioca in Africa si attribuisce ai colonizzatori portoghesi, mentre quello in Asia agli scambi commerciali tra America centrale e coste asiatiche. La specie botanica è la Manihot esculenta, di cui esiste la varietà dolce e quella amara (dalla buccia liscia e dalle foglie rosse dalla buccia liscia e dalle foglie rosse, da utilizzare con alcune precauzioni, come vedremo), caratteristica che in passato aveva portato alcuni botanici a classificare come M. utilissima quella amara e M. palmata quella dolce (con buccia rugosa e foglie verdi, molto meno tossica).
Si tratta di pianta che raggiunge un’altezza tra i 2 e i 4 metri, perenne (cioè che dura più anni in quanto non si esaurisce con la formazione dei semi), a portamento più o meno eretto e moderatamente ramificato, rami fragili e con scorza liscia, con foglie palmato – lobate, monoica per quanto riguarda i fiori (maschili e femminili separati, ma portati sulla stessa pianta), riuniti in infiorescenze che portano in alto i fiori maschili e in basso quelli femminili. I frutti sono delle capsule (si tratta di frutto secco, deiscente a maturazione, capace di agevolare la dispersione dei semi), glabre, quasi sferiche, triloculari, con un seme per loggia; i semi ricordano quelli del ricino, più piccoli, grigio – biancastri, con macchie nere.
Le radici all’inizio normali e fascicolate, poi cominciano ad accumulare tanto amido (si dice che sono radici tuberizzate, dato che ricordano i tuberi veri e propri come quelli della patata, anch’essi ricchissimi di amido), diventano lunghe in media fino a 30-45 cm, con diametro medio di 5-15 cm e peso medio di 900 g, ma si arriva anche a superare i 2 kg e 1 metro di lunghezza; sono carnose, terminanti a punta, più o meno voluminose, con epidermide un po’ spessa e di colore variabile a maturità (fresche); contengono il 25 - 35 % in peso di fecola (nome commerciale dell’amido che si ricava da tuberi come le patate, da radici come la manioca, o da fusti di varie piante; si presenta come polvere bianca, fine e insolubile in acqua fredda).
Tutte le varietà di manioca contengono una sostanza cianogenetica chiamata Manihotossina: si tratta di linamarina, un glucoside cianogenetico (classe di sostanze vegetali costituite da una molecola di glucosio e da altre diverse da zucchero, che per reazione con acqua si scinde (idrolisi) determinando nell’intestino la formazione di acido cianidrico, velenoso), presente nelle foglie e nelle radici.
La varietà amara ne contiene molto di più della dolce, per cui deve essere sempre cotta prima del consumo. Quella dolce ne contiene molto meno e peraltro solo nella corteccia delle radici, per cui basta eliminare la scorza per non correre rischi (in tal caso alcuni la consumano anche cruda). Al riguardo mi piace ricordare che il glucoside cianogenetico si ritrova anche nelle mandorle amare, nei semi di mela, nei nòccioli di prugne, albicocche e nettarine, nel fagiolo lunato e nei semi di lino.
Quanto alle esigenze climatiche, queste piante si sviluppano bene nei Paesi tropicali, nei quali la temperatura media annuale si aggira intorno ai 25-27°C e le piogge cadono abbondanti (1.000-3.000 mm). La manioca si può coltivare con l’ausilio dell’irrigazione, teme i venti forti, preferisce i terreni leggeri e ben drenati, originati da operazioni di disboscamento. Questo perché tali terreni sono ricchi di humus, il quale è uno dei componenti fondamentali del terreno agrario, costituito da un complesso chimicamente indefinito di sostanze organiche che conferiscono al terreno, quando abbondanti, un colore dal giallo più o meno bruno sino al nero, proveniente principalmente da residui vegetali morti, chimicamente e biologicamente modificati e intimamente compenetrati con le particelle minerali del terreno.
La manioca dal punto di vista agronomico è pianta depauperante (o liquidatrice o sfruttante perché lascia il terreno in condizioni peggiori di come lo hanno trovato, come il frumento, l’orzo, l’avena, il riso, il lino), per cui nei terreni non ricchi di humus sono necessarie abbondanti concimazioni organiche (letame maturo e sovescio di leguminose). La propagazione della manioca avviene per talea, essendo difficile la germinazione dei semi, oltre che per avere uniformità delle piante sia nello sviluppo che nella produzione di radici.
Spesso la manioca viene consociata (cioè coltivata contemporaneamente sul medesimo terreno) nello insieme ad arachide (Arachis hypogaea), granoturco (Zea mais), sorgo (Sorghum vulgare), tabacco (Nicotiana tabacum), in modo da avere del reddito nell’attesa di raccogliere le radici della manioca. Infatti sono queste che della manioca interessano ai fini alimentari, raccogliendole quando in esse è massimo il contenuto di fecola, di solito dopo 12-24 mesi dall’impianto per l’industria, dopo 12-20 mesi per il consumo diretto (che di solito prevede l’arrostimento per non correre rischi con la manihotossina).
Un buon raccolto si aggira intorno ai 200 q/ha di radici fresche, ma si può giungere anche a 500. La composizione delle radici fresche di manioca vede la presenza di 60-70% di acqua, 20% di amido, 1-2% di cellulosa, 0,6-1,5% di proteine e 0,5% di sostanze minerali. La lavorazione delle radici può avvenire sul posto, sia allo stato fresco che con l’essiccazione. Quest’ultima operazione viene effettuata con diverse modalità: su graticci, su aie, in essiccatori artificiali. Si ottiene un prodotto che viene insaccato e poi lavorato ulteriormente per ricavare la farina di manioca, la fecola, la tapioca, i cui residui di lavorazione (e le radici da scartare) vanno a integrare i mangimi per gli animali allevati.
Farina, fecola e tapioca non sono sinonimi di uno stesso derivato, ma prodotti di lavorazioni differenziate. Macinando le fettine essiccate al sole, si ottiene la farina di manioca (prodotto ricco di amido, fibre ed altri composti, praticamente grezzo); per ricavare l’amido o fecola, invece, si grattugia e si macina la manioca lavata e sbucciata, poi la si sciacqua ripetutamente con acqua fresca, in modo da far restare nel recipiente la massa amilacea da far asciugare perché diventi polverulenta e di colore giallino. La fecola di manioca si può anche ottenere (come fanno in Guadalupa) grattugiando la radice lavata e sbucciata, strizzando il composto ottenuto attraverso lunghi canestri simili a manicotti (detti tapiti).
Scaldando dolcemente la fecola umida (su piastre di ferro bollenti) si ottengono minuscole palline che costituiscono commercialmente la tapioca, il prodotto più pregiato tra quelli derivati dalla manioca. La tapioca di qualità superiore viene usata per l’alimentazione di bambini, anziani, malati, convalescenti. La lavorazione del prodotto fresco viene effettuata molto spesso anche a livello familiare, ottenendo un prodotto più grezzo e meno puro della lavorazione industriale.
Dal punto di vista nutrizionale 100 g di tapioca apportano 364 kcal, 12,6 g di acqua, e sul rimanente 87,4 g: amido 95,8%, proteine 0,60 %, grassi 0,2 %, fibra 0,4 %, minerali (20 mg di potassio, 12 mg di calcio, 12 mg di fosforo, 4 mg di sodio, 0,12 mg di zinco), mentre delle vitamine solo tracce.
In cucina la radice di manioca viene preparata in diversi modi a seconda del paese di coltivazione, essendo diverse le abitudini alimentari locali, con gli opportuni accorgimenti se amara, ma sempre meglio cotta che cruda anche se di tipo dolce. Questa radice tuberizzata viene cotta come le patate: bollita, schiacciata per purè, cotta al vapore, a fettine arrostita oppure fritta, al forno. Con la tapioca si preparano anche budini e prodotti da forno simili al pane (una specie di focaccia detta cassava), come riportato in apertura articolo.
La manioca fresca non si conserva a lungo ma dura diversi mesi se affettata ed essiccata al sole, cruda o sbollentata. Spesso viene semplicemente consumata pelata, bollita in acqua salata e servita con burro. I prodotti a base di manioca tornano utili ai soggetti celiaci in quanto privi di glutine (proteine quasi assenti e comunque diverse da quelle dei cereali, per cui il glutine non potrà mai formarsi anche impastando la tapioca con acqua). La tapioca e la radice vengono usate anche in pasticceria per le ottime proprietà addensanti.
Con il succo estratto dalla manioca si produce il cassarep (un conservante per carni) usato per preparare il pepperpot, uno stufato squisito fatto solo con carne, aromi e cassarep. Lo si può conservare per anni facendolo bollire per circa un’ora al giorno, aggiungendo carne e cassarep quando necessario. Non c’è praticamente bisogno di riporlo in frigo!
La fermentazione del succo di manioca produce inoltre una birra molto forte, bevuta ancora oggi dagli indiani del Sudamerica. Si racconta che quando le scorte di alcol cominciarono a diminuire, anche gli spagnoli imitarono gli indigeni e iniziarono a produrre la loro birra dalla manioca. Oggi dal succo di manioca si ricava anche alcol etilico, glucosio e agenti addensanti. In ultimo: l’amido di manioca viene usato nella manifattura di cosmetici, colle, detersivi e persino carta.
Note bibliografiche
AA.VV., Dizionario di agricoltura, Ed. UTET
Cappelletti, Botanica sistematica, Ed. UTET
R. Parkinson, Caraibi – Una cucina multicolore, Ed. Culinaria Könemann
Santarelli – Dieng, Cucina africana. Il sole nel tuo piatto, Ed. Cose d’Africa
Photo via Canva
0 Commenti