Il Roquefort

Vanto di Francia, è il formaggio erborinato che la leggenda narra esser nato “per caso”: ecco le sue caratteristiche e come gustarlo in tavola

Il Roquefort

I formaggi erborinati sono dei veri capolavori dell’arte casearia: se abbiamo già parlato di prodotti rinomati come il gorgonzola italiano e lo stilton inglese, questa volta voglio parlarvi dell’impareggiabile e raffinato francese Roquefort, definito ne XVIII secolo da Diderot e d’Alambert “re dei formaggi” (di Francia, ovviamente). 

La Francia è patria di formaggi famosi e squisiti, di eccellente qualità: Cantal (DOP, vaccino, a pasta pressata, morbida detta “mollica” - “mie” in francese, con crosta rosso – arancio e non commestibile), Reblochon (DOP, savoiardo, vaccino, pressato, pasta fondente, crosta color arancio con muffa bianca, edibile), Beaufort (DOP dell’Alta Savoia, detto “il principe dei Gruyères”, vaccino , pressato, a pasta dura, crosta consistente, non edibile), Chevre (originario del Poitou-Charentes ma oggi prodotto in tutta la Francia, da latte di capra, a crosta fiorita edibile, pasta morbida e fondente nella parte centrale, compatta in periferia), Cancoillotte (vaccino, consistente molle e cremosa, con aggiunta di burro, tipico della Franca Contea della Francia Orientale e della Lorena), Bleu d’Auvergne (DOP del Massiccio Centrale, erborinato, vaccino, pasta morbida come la crosta, anch’essa edibile) ma senza dubbio quello che più di tutti parla di Francia nel mondo è il formaggio Roquefort. 

Si tratta di un prodotto che da tempo ha visto riconosciute legalmente le sue ottime caratteristiche organolettiche e nutrizionali, in modo da proteggerlo dalle contraffazioni e tutelarlo attraverso norme e Consorzio di tutela: infatti il 26 luglio 1925 il Parlamento francese lo riconosce quale formaggio a denominazione di origine (primo in tutta la Francia), nel 1979 diventa prodotto DOC e nel 1996 DOP.

Come per altri formaggi, anche per il Roquefort esiste una prima leggenda sull’origine, per la quale questo formaggio sarebbe nato per puro caso, grazie alla dimenticanza di un pastorello che per seguire la sua amata dimenticò, in una grotta del monte Combalou, sia il pane che il formaggio di pecora costituenti il suo pasto. Quando tornò un po’ di tempo dopo nella stessa grotta, vide di quanta muffa si era ricoperto sia il pane che il formaggio, ma mentre il primo era ormai immangiabile, l’altro era diventato cremoso e squisito! 

Secondo alcune ricerche il Roquefort si produceva addirittura già prima della venuta di Gesù, mentre ricerche più accurate hanno stabilito che il Roquefort sarebbe stato prodotto per la prima volta nel 1070 d.C. nel villaggio di Roquefort - sur - Soulzon, fatto supportato dalla citazione contenuta nel Cartulario dell’abbazia di Conques (un libro o un "codice" medievale, dove sono stati compilati documenti, cronache o altri tipi di testi scritti a mano, trascritti o copiati) nel dipartimento dell’Aneyron. Lo stesso imperatore Carlo VI (Carlo d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero, morto nel 1740) per difendere l’unicità del Roquefort concesse agli abitanti di Roquefort - sur – Soulzon l’esclusività della sua stagionatura, limitata da successive leggi alla sola zona dei ghiaioni del Mont Combalou.  

Le cantine di stagionatura del Roquefort, ubicate sotto lo stesso villaggio di Roquefort-sur-Soulzon, sono completamente scavate nei ghiaioni ai piedi del Combalou (siamo nella zona a sud del Massiccio centrale, praticamente nell’area Linguadoca – Rossiglione – Midi – Pirenei) che, nel corso dei secoli, sono state sede di fratture e crolli. Attraverso le fessure di questi ghiaioni, veri e propri camini naturali chiamati «fleurines», arriva una corrente di aria fresca e umida, più o meno violenta. A seconda delle variazioni di temperatura esterna e pressione atmosferica, le fleurines funzionano infatti come un enorme generatore di aria umida e fresca: l’aria che entra dal suolo viene raffreddata dalle pareti fresche delle grotte e ridiscende verso la base del ghiaione dove viene umidificata dal contatto con la falda acquifera sotterranea. 

In questo modo le fleurines creano e mantengono in equilibrio un particolare microclima naturale nelle cantine in cui si sviluppa il Penicillium roqueforti. Le cantine di stagionatura, attrezzate nei ghiaioni sui quali sorge il villaggio di Roquefort-sur-Soulzon, offrono le condizioni indispensabili che consentono al Penicillium roqueforti di svilupparsi nel formaggio per successivamente rivelarne il gusto tipico. La fase successiva di maturazione lenta garantisce l’evoluzione del prodotto fino all’ottenimento di una consistenza cremosa e delle caratteristiche organolettiche ottimali. 

Il Roquefort è prodotto con latte crudo (cioè riscaldato al massimo fino a 38°C) e intero degli ovini di razza Lacaune, la più allevata in Francia, originaria del Monte Lacaune, razza a originariamente  triplice attitudine ma oggi divenuta selezionata da latte), perfettamente adattati alle condizioni ambientali della zona geografica, caratterizzata da altitudine media di 400 m, venti oceanici e mediterranei, inverni lunghi e siccità estiva. Queste pecore vengono allevate come disposto dal disciplinare: nessuna transumanza, alimentate da pascoli e prati, oltre che con foraggi e mangimi prodotti nell’area delimitata dalla norma (almeno per il 75%), a sua volta costituita da alcuni comuni dei dipartimenti Aneyron, Aude, Gard, Hérault, Lozère e Tarn. 

In parole povere: il formaggio Roquefort può essere prodotto in tutti i dipartimenti, ma la stagionatura/maturazione deve essere effettuata soltanto nelle grotte/cantine del villaggio di Roquefort-sur-Soulzon. In base al disciplinare modificato, anche le fasi di stoccaggio, prima dell’imballaggio, taglio, condizionamento, pre-imballaggio e imballaggio sono effettuate esclusivamente nel comune di di Roquefort-sur-Soulzon.

Il Roquefort viene prodotto da febbraio a ottobre proprio per sfruttare al meglio le caratteristiche ambientali che conferiscono al latte ovino la composizione migliore per il Roquefort, in particolare per gli acidi grassi che conferiranno al formaggio gli aromi e il sapore, da cui l’uso di latte crudo (quindi non pastorizzato o termizzato) per un ottimale sviluppo della muffa del Panicillium. La cagliata, formatasi per aggiunta di starter batterici e caglio di vitello, con aggiunta delle spore di Panicillium Roqueforti, non viene pressata né cotta, ma solo salata e fatta sgocciolare, in modo da conservare l’umidità utile per lo sviluppo della muffa. Successivamente le forme vengono forate con punte di acciaio per aiutare lo sviluppo del Penicillium verde azzurrognolo. 

Durante i 90 – 120 giorni successivi alla produzione, il Roquefort attraversa le fasi di stagionatura (perdita di umidità, sviluppo della muffa con comparsa delle venature verde - azzurro) / maturazione lenta (metabolismo del fungo che trasforma la pasta caseosa conferendo le tipiche caratteristiche organolettiche), acquisendo una consistenza untuosa. Al termine il Roquefort si presenta senza crosta (meglio sarebbe dire con crosta umida, volendo edibile), con pasta cremosa, uniformemente venata di verde – azzurro, lieve odore di muffa, sapore fine e pronunciato, sentore deciso di latte ovino. La forma del Roquefort è cilindrica, con diametro di 19 – 20 cm, altezza di 8,5 – 11,5 cm, peso tra 2,5 e 3 kg. Il Roquefort giovane ha una pasta più consistente, uniforme, elastica e poco friabile, elementi che risultano attenuati nel tipo più stagionato.

Come alimento il Roquefort è grasso, calorico e ricco di colesterolo: infatti 100 g apportano circa 370 kcal, 31 g di lipidi (formaggio tal quale) per la gran parte saturi (dannosi), 90 mg di colesterolo, 1,8 g di sale, 22 g di proteine (di alto valore biologico), 2 g di carboidrati, 660 mg di calcio, circa 1 g di potassio, 392 mg di fosforo, 30 mg di magnesio, oltre a vitamine tipiche del latte di pecora (gruppo B). Devono pertanto essere poste le dovute attenzioni nelle dosi e frequenza di consumo. 

In cucina il Roquefort può essere innanzitutto degustato da solo come antipasto o come dessert di fine pasto, eventualmente affiancato da pane bianco con un velo di burro e verdure fresche, oppure con frutta a guscio come le noci, ma lo si utilizza anche all’interno di condimenti alla panna o latte, fondute e creme per arricchire primi piatti, gratinare verdure, intingere finger food e preparare canapè, paste sfoglie ripiene e quiche. Non per ultimo è ottimo il suo impiego sbriciolato in una ricca insalata, ad esempio, di radicchio, mele e noci

Dopo l’acquisto conservatelo in frigorifero, nella zona meno fredda per non compattare troppo la parte grassa del prodotto, avvolgendolo in carta stagnola o all’interno di uno specifico contenitore. Prima di mangiarlo lasciatelo a temperatura ambiente per almeno per 30 minuti nella stagione fredda, per non più di 5-10 nella stagione calda (il formaggio dovrà riscaldarsi ma senza mai arrivare a “sudare” grassi dalla sua superficie).

Per il vino da abbinare ricordiamo che I formaggi erborinati in generale si abbinano con vini rossi dal bouquet evoluto, fruttato e speziato, morbidi, caldi (alcolici), abbastanza tannici, sapidi (ricchi di mineralità), di corpo e notevole persistenza aromatica intensa. Ottimo l’abbinamento con vini dolci con gradazione alcolica almeno di 15°, sia bianchi che rossi, specialmente con il tipo più giovane, che risulta meno piccante e con tendenza dolce, bevuti in bicchieri piccoli, serviti freddi se bianchi, appena sotto la temperatura ambiente se rossi.

Note bibliografiche

  • F. Raris, Storia e realtà dei formaggi, Ed. De Bastiani
  • Atlante Internazionale Qualigeo 
  • Mucchetti – Neviani, Microbiologia e tecnologia dei prodotti lattiero-caseari, Ed. Tecniche Nuove
  • AA.VV., Tecnica dell’abbinamento cibo vino, Ed. AIS

Scritto da Luciano Albano

Laureato con lode in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Bari nel 1978, ha svolto servizio come dirigente del servizio miglioramenti fondiari della Regione Puglia presso l’Ispettorato Agrario della città di Taranto. Appassionato di oli e vini, ha conseguito il diploma di sommelier A.I.S. e quello di assaggiatore ufficiale di olio per la sua regione

Specializzato in Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli presso il C.I.H.E.A.M. di Bari (Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Mediterraneennes)" . Iscritto all'Ordine dei Dottori Agronomi della Provincia di Taranto. Iscritto nell'Albo dei C.T.U. del Tribunale Civile di Taranto

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