Il mais e i suoi derivati

Non solo polenta: del mais non si butta via nulla! Ecco le sue origini e la sua evoluzione a coltura dai frutti estremamente versatili

Il mais e i suoi derivati

Il primo europeo a trovarsi di fronte delle piante di mais (in botanica Zea mais; frutti le cariossidi, cioè i chicchi, riunite nella pannocchia, portata da un supporto rigido detto tutolo) fu certamente Cristoforo Colombo quando giunse a Cuba, luogo in cui gli indigeni indicavano la pianta col nome di “maìz” in spagnolo (derivato da mahìs in lingua taino, abitanti dei Caraibi al tempo di Colombo) per ritrovarlo poi in tanti altri siti del continente americano, sempre come elemento fondamentale dell’alimentazione di quelle popolazioni, ma di uso anche religioso. Recenti ricerche hanno potuto stabilire che il nome del genere “ZEA” deriverebbe dal greco “Zao” che significa “vivere”, mentre quello della specie “Mais” dalla parola livonica (lingua della regione baltofinnica della Lettonia) “Mayze” che significa “pane”, per cui Zea mais vorrebbe dire “pane di vita”.

Il mais è una graminacea, un cereale, monoica (la pianta ha un fiore maschile e uno femminile), a ciclo annuale, il cui luogo d’origine per gli studiosi sarebbe il Messico (valle di Tehuacan 5200 – 2500 a.C.), ma in questo Paese non è stata trovata sino ad oggi una pianta di mais selvatico, elemento che fa propendere altri studiosi per l’ipotesi di origine in Paesi del Sud America. Introdotto in Spagna dal 1492, il mais si diffuse rapidamente come pianta particolare e curiosa da giardino, per divenire pianta agricola molto tempo dopo grazie ai Veneziani, con ampia diffusione nel 1500 – 1600 in Veneto e Friuli. I Portoghesi diffusero la coltivazione del mais in Africa nelle loro colonie, mentre in America fu l’arrivo degli europei che determinò la diffusione del mai in agricoltura (Inglesi in Virginia nel 1608), con importanti risvolti per l’alimentazione nelle colonie inglesi.

In Italia il mais è indicato con molti altri nomi, tra cui granturco (dove turco sta per indicare esotico, nuovo, sconosciuto), granone, frumentone, meliga e altri, con coltivazione che interessa una superficie di circa 600.000 ha, con produzione totale di 7 milioni di tonnellate, pari a 100 -110 q/ha, insufficiente per le esigenze nazionali, per cui si importa molto mais (quasi 6 milioni di tonnellate nel 2020). Primo produttore mondiale gli USA con circa 393 milioni di tonnellate, seguiti da Cina, Brasile e Argentina.

Il mais è una pianta che presenta un notevole polimorfismo per quanto riguarda la forma, la composizione e il colore delle cariossidi, in virtù del quale si individuano 7 tipi di mais (varietà): mais dentato (dent corn), mais vitreo o plata (flint corn), mais tenero o da amido (flour o soft corn), mais dolce (sweet corn), mais da scoppio (pop corn), mais ceroso (waxy corn), mais vestito (pod corn). Il più coltivato al mondo è il dentato, seguito dal vitreo usato per l’alimentazione umana (oltre a quello per pop corn e mais dolce) e per l’allevamento di polli, ovaiole, bovini. suini. Gli altri tipi sono meno importanti e trovano impiego industriale per la produzione di tanti derivati. La FAO classifica il mais in 8 categorie con le sigle da 100 a 800, numeri che indicano la durata del ciclo vitale (semina - maturazione delle cariossidi, da 85 a 140 giorni).

Il mais è molto usato nell’alimentazione umana, sia in modo diretto (arrostito, bollito) sia sottoforma di derivati come pop corn, polenta e snack vari e prodotti per la prima colazione, sia attraverso preparazioni che contemplano l’uso di mais in varie forme. Questo però non vuol dire che il mais sia un alimento nutriente, ma solo che contribuisce ad arricchire alcune pietanze per la sua tendenza dolce e carica di carboidrati. L’insufficienza del mais dal punto di vista nutrizionale è dovuta non solo alla carenza di vitamine, ma al fatto che tutti i nutrienti presenti sono poco disponibili per cui non nutrono chi mangia mais. Per il mais tal quale 100 g di cariossidi apportano 361 kcal e contengono 12,5 g di acqua, e sulla sostanza secca 9,2 g di proteine, 3,8 g di grassi, 75,8 g di carboidrati (per il 97% amido), 2,9 g di fibra alimentare, potassio 2,87 mg, fosforo 256 mg, oltre a ferro – calcio – sodio – zinco, bassi contenuti di vit. B1 (tiamina) - B2 (riboflavina) - B3 (o PP – “Pellagra Preventis” o antipellagra o niacina) - B6 (piridossina), assenza di lisina e triptofano (due amminoacidi essenziali, cioè che non sono prodotti dall’organismo e che bisogna assumere con l’alimentazione). 

Fu proprio la carenza della PP che determinò in Veneto e Friuli la diffusione della pellagra (malattia detta anche lebbra, tra il XVII e XIX secolo), durante un periodo di carestia quando i contadini mangiavano principalmente mais (come polenta) e sorgo, cereali poveri di vitamine del gruppo B e dei due citati amminoacidi essenziali. Anche in Messico, Paese molto povero, i contadini mangiavano (e mangiano) molto mais (specialmente per preparare le tortillas), ma usano (antica saggezza popolare non scientifica ma pratica) mettere a bagno le cariossidi insieme a calce, in modo da rendere solubili e più disponibili per l’organismo le poche vitamine presenti nelle cariossidi e tutti gli altri nutrienti (preparano il cosiddetto nixtamal). Dal nixtamal fatto fermentare si ottiene il pozol, cibo importantissimo per Inca, Maya e Aztechi, sia come alimento che per i riti religiosi. Alcune varietà possiedono chicchi di colore rosso, nero, viola scuro dovuto alla presenza di pigmenti quali antociani, che potrebbero conferire proprietà antiossidanti molto interessanti dal punto di vista nutrizionale. 

L’uso della granella di mais è diverso tra i Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo. Nei primi è utilizzata per l’85% nell’alimentazione degli animali, per il 10% in quella umana e per il 5% nella trasformazione industriale, quota è in continua crescita. Nei secondi il 75% del mais prodotto è destinato ad alimentare gli esseri umani, il 25% gli animali, con assenza di uso industriale. Nell’Unione Europea il mais da industria viene lavorato per il 65-70% “ad umido” per produrre amido e derivati vari, mentre il resto viene lavorato “a secco” per produrre semolati, farine, fiocchi, semolino di mais ecc.

La macinatura di mais “ad umido” (ricordo che la macinatura è l’insieme delle operazioni utili per la macinazione, mentre quest’ultima è l’operazione di frantumazione) la granella viene macerata e trattata con anidride solforosa e fermenti lattici, al fine di facilitare l’estrazione dei granuli di amido. L’acqua di macerazione che deriva dal processo è chiamata “corn steep liquor”, e può essere destinata o alla fermentazione o alla concentrazione per l’industria dei mangimi per animali. La granella inumidita subisce una prima macinazione per separare il germe (cioè la plantula o germinello presente nella cariosside, che si sviluppa dopo la semina per dare la pianta) da cui si ricava l’olio di mais (composizione), procedimento da cui residua il panello (composizione) destinato all’alimentazione animale. 

Si procede poi a una seconda macinazione per separare crusche e glutine da destinare agli animali, il latte d’amido dal quale separare per disidratazione l’amido nativo. Il latte d’amido può subire anche trattamenti termici e/o chimici e raffinazione per produrre altri derivati come amido gelificato, destrine, glucosio, malto-destrine, destrosio, isoglucosio, caramello. Nella macinatura “a secco” si effettua preliminarmente la decorticazione e degerminazione della cariosside, per separare l’endosperma () dalle crusche e dal germe, frazioni lavorate come già detto. L’endosperma macinato ottenuto viene suddiviso in base alla granulometria, quindi sottoposto a diversi trattamenti per produrre vari derivati.

Il mais è quindi definibile come una pianta di cui, praticamente non si butta nulla, se si tiene conto che anche fusti, brattee, tutoli vengono usati per diversi scopi (zootecnia, combustibili, materiale edilizio, materiali per l’agricoltura, ecc.). La pianta fornisce in definitiva alimenti per l’uomo (olio, semole utili per pane, polenta, e biscotti, bevande alcoliche come birre e liquori), alimenti per animali, prodotti farmaceutici, derivati utili per l’industria cartaria, tessile, ceramica, delle vernici e degli esplosivi. Infatti l’industria chimica ricava dal mais acetone, aldeide acetica, oltre agli acidi citrico, lattico, fumarico, ossalico, piruvico. Attualmente dal mais si produce anche bioetanolo (alcol etilico non di sintesi) per autotrazione, specialmente negli USA, anche se le le criticate sono molto accese perché molte superfici sono sottratte alla destinazione alimentare e zootecnica (molto importanti), con gravi conseguenze economiche per i due settori.

A base di mais sono la chicha e la chicha morada del Sud America, il Bourbon whiskey degli USA. Il Bourbon è tipico del Kentucky, viene prodotto anche se può essere prodotto in tutti gli USA. La miscela di cerali per la sua produzione è formata per il 70% da mais e per il resto da grano e/o segale, oltre a orzo maltato. La chicha è una bevanda simile alla birra, dolciastra e poco alcolica (1-3° alcolici), diffusa in tutta l’America Latina. Spesso si aggiungono altri cereali, qualche tipo di frutta (come mele e uva), manioca (la radice è molto ricca di amido). Talvolta si usa un mais di colore violaceo scuro (maìz morado) e la bevanda prende il nome di chicha morada. I due tipi di chicha sono aromatizzate con spezie e frutta. Si tratta di bevande molto simili alle birre europee a base di mais, scelta effettuata dalle industrie per il minor costo di questo cereale (e del riso) rispetto a grano, orzo, segale, con un prodotto finale soddisfacente anche se meno ricco di odori e aromi. 

Note bibliografiche

  • Baldoni – Giardini, Coltivazioni erbacee, Pàtron editore
  • Grimaldi-Bonciarelli-Lorenzetti, Coltivazioni erbacee, Edagricole
  • Tassinari, Manuale dell’agronomo, Ed. REDA
  • T. Maggiore- AA.VV, Il mais, Culture&Cultura

Photo via Canva

Scritto da Luciano Albano

Laureato con lode in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Bari nel 1978, ha svolto servizio come dirigente del servizio miglioramenti fondiari della Regione Puglia presso l’Ispettorato Agrario della città di Taranto. Appassionato di oli e vini, ha conseguito il diploma di sommelier A.I.S. e quello di assaggiatore ufficiale di olio per la sua regione

Specializzato in Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli presso il C.I.H.E.A.M. di Bari (Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Mediterraneennes)" . Iscritto all'Ordine dei Dottori Agronomi della Provincia di Taranto. Iscritto nell'Albo dei C.T.U. del Tribunale Civile di Taranto

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