I ceci

Sono tra i legumi tra i più amati nella cucina mediterranea e orientale: conosciamoli meglio tra storia, coltivazione, nutrizione e ricette

I ceci

Quando si parla di ceci, non posso fare a meno di andare con il pensiero a quando, piccolo scolaro delle elementari, assistevo alla classica punizione che i maestri d’allora infliggevano ai compagni più indisciplinati: dietro la lavagna, in ginocchio cui ceci! La punizione era non solo umiliante ma anche piena di sadica cattiveria e, certamente, sfuggiva ai preziosi insegnamenti di maestri con la M maiuscola, come la benemerita Maria Montessori e il famoso maestro d’Italia, Alberto Manzi, che con il suo programma “Non è mai troppo tardi”, negli anni Sessanta del secolo scorso, concorse all’alfabetizzazione di milioni di italiani.

Ricordi a parte, oggi se vi parlo di ceci è con l’intento di dire tanto sulla loro bontà gastronomica e sulle loro pregevoli qualità nutrizionali e terapeutiche, decantante dalla tradizione e dall’esperienza popolare, più che da vere e proprie ricerche scientifiche.

Il nome botanico del cece è Cicer arietinum, appartenente alla famiglia delle leguminose o fabacee. Progenitore sarebbe il Cicer echinospermum, ancora oggi presente come forma selvatica nelle quercete e nelle steppe dell’Anatolia sudorientale (nell’odierna Turchia). Secondo altri studiosi, progenitore sarebbe il Cicer reticulatum in quanto, a differenza dell’echinospermum, forma ibridi fertili, da cui sarebbe derivato il C. arietinum attualmente coltivato.

Il termine Cicer deriverebbe dal greco Kikus che significa forza, potenza, probabilmente per via delle virtù afrodisiache attribuite al legume (spesso usato in riti sacro-sessuali, che coinvolgevano anche i riproduttori animali), nonché del notevole valore nutritivo di questi semi. Secondo alcuni deriverebbe dall’ebraico kikar (che sta per “rotondo”). In Grecia il cece si consumava già ai tempi di Omero, quando era chiamato erèbinthos e krios, con riferimento all’ariete (aries in latino) del quale il seme del cece richiamerebbe la forma della testa (Columella probabilmente tradusse krios con arietinum). Presso i Romani il termine cicer era anche un soprannome (cognomen) dato a chi aveva sul volto un'escrescenza a forma di cece, e fu per questo che il celebre oratore Marco Tullio Cicerone pare venisse soprannominato così.

Una curiosità: al tempo della dominazione francese in Sicilia (Angioini) il nostro cece fu al centro della rivolta dei Vespri Siciliani del 1282, poiché gli isolani per individuare i francesi facevano pronunciare la parola “ceci”: se l’accento cadeva sulla “i” finale e la “c” veniva pronunciata come “s” (praticamente “sesì”), allora si trattava di un francese e… si provvedeva in merito.

Il cece è una delle è una delle leguminose da granella più antiche e largamente utilizzate nel Medio ed Estremo Oriente. Ritrovamenti archeologici, ad Hacilar in Turchia, di semi probabilmente appartenenti a forme selvatiche di Cicer sono stati fatti risalire ad oltre 5000 anni a.C. Residui di coltivazione risalenti all’età del Bronzo (3.300 – 1.200 a.C.) sono state ritrovate in Iraq, databili a circa 3300 anni prima di Cristo. Tracce scritte recentemente identificate proverebbero la presenza di coltivazioni di cece presso gli Egiziani, nella valle del Nilo tra il 1580 e il 1100 a.C.

Secondo gli studiosi le aree di origine del cece coinciderebbero con il Mediterraneo e il Sud-Ovest asiatico (Bangladesh, Afghanistan, Bhutan, India, Maldive, Nepal, Pakistan, Sri Lanka), mentre l’Etiopia sarebbe da considerare come centro secondario di diversificazione della specie. Nel mondo ad oggi l’Asia detiene i primati del cece: 91% della superficie coltivata totale (circa 13,5 milioni di ettari, quindi 12,285 milioni di ettari) e 4/5 (80%) della produzione mondiale (circa 9 milioni di tonnellate, quindi 7,2 milioni), con una produzione media di 0,85 T/ha (praticamente 8,5 Q/ha). I maggiori produttori di ceci sono India (maggior produttore con circa 8,2 milioni di tonnellate), seguita a distanza da Australia, Pakistan, Turchia, Birmania, Etiopia, Iran, Stati Uniti, Canada, Messico. In Italia sono coltivati a cece circa 3.000 ettari, con produzione totale di circa 4.000 tonnellate e resa media di 1,2 T/ha (12 quintali di semi per ettaro); le regioni più interessate sono quelle meridionali, seguite da Toscana, Marche ed Emilia-Romagna. La produzione interna non soddisfa però il consumo nazionale, per cui si importa molto prodotto dai paesi esteri.

Il cece è una pianta a ciclo annuale, pubescente, decisamente rustica, che ben si adatta a quasi tutti i tipi di terreno (preferisce quelli aridi a quelli troppo fertili e umidi i quali determinano la caduta del piccolo legume-baccello appena allegato; rifugge da quelli argillosi o soggetti a ristagni d’acqua in quanto soffre facilmente di asfissia radicale, anche se le radici sono capaci di scendere molto in profondità alla ricerca di acqua), non richiede molta acqua se non all’inizio della sua vita (quando si deve formare ed affermare la plantula), predilige climi miti ma si adatta bene a quelli caldi e secchi del Sud.

Per questi motivi è una pianta che valorizza le zone marginali, quelle in cui altre piante alimentari, più gentili, non si adattano bene. Essendo una leguminosa, il cece è ha il vantaggio di arricchire il terreno di azoto, grazie alla simbiosi radicale con alcuni tipi specifici di batteri azoto fissatori (specialmente quelli del genere Rhizobium): da questa mutua assistenza i batteri ottengono dalla pianta gli zuccheri, cedendo a questa i composti azotati utili principalmente per la formazione delle proteine vegetali e di tanti altri composti vitali per i vegetali. Per questo motivo il cece non è una pianta sfruttante il terreno (come il grano) ma miglioratrice.

Le cultivar di ceci si suddividono in due grandi categorie: macrosperma (ceci grossi di colore giallino) e microsperma (ceci piccoli, di colore nero o scuro in genere); in Italia le varietà più note sono Bianco Catanese, Calia, Califfo, Principe, Rubino e Sultano. I fiorellini della pianta rassomigliano a quelli delle papilionacee e possono avere colore bianco, porporino, rosato, giallino; i semi o ceci sono di norma gialli, ma non mancano varietà nere, rosse e marroni. La raccolta del cece sulle piccole superfici si pratica a mano, tagliando raso terra le piante più o meno ingiallite, portandole poi sull’aia per farle essiccare in attesa della sgranatura, facendo poi seccare ancor di più i semi. Sulle estensioni maggiori si usa la mietitrebbiatrice del grano adattata però al caso.

Dal punto di vista nutritivo la composizione del cece crudo è molto interessante: acqua 10,33%, proteine 19,72%, grassi 6,30%, zuccheri 6,80%, amido 40%, fibra solubile 0.78%, fibra insolubile ben 12,45%, ceneri 3,1%, potassio 881 mg, fosforo 415 mg, calcio 142 mg, oltre a ferro, sodio e zinco, e vitamine quali, B1, B2 e B3, il tutto per un introito di 364 kcal/100 g. I valori indicati cambiano notevolmente se si tratta di ceci cotti e in scatola, preparazioni in cui tutti i valori diminuiscono tranne il contenuto di acqua, che invece aumenta. L’apporto calorico passa da 140 kcal dei ceci crudi alle circa 110 di quelli cotti, a 90-95 di quelli in scatola.

I ceci possiedono anche proprietà terapeutiche, talvolta avvalorate da ricerche, ma per la maggior parte basate sull’esperienza popolare che, nei secoli, ha potuto correlare la risoluzione di alcuni problemi di salute al consumo di ceci in abbondanza. Diciamo allora subito che, oltre agli aspetti energetici già evidenziati, il cece aiuterebbe a controllare la colesterolemia, la glicemia, ipertensione arteriosa, le cardiopatie, grazie alla presenza di fibre e vitamine; agevolerebbero inoltre la diuresi (aiutando quindi a liberarsi dei calcoli carbonatici e sabbiosi) e il tenore di acido urico nel sangue. Ricerche appropriate hanno ipotizzato l’influenza del consumo frequente di ceci (ma anche di tutti i più noti legumi) sulla prevenzione dei tumori. Molte delle proprietà derivano certamente dal buon valore biologico del cece, pari a 68, superiore a quello degli altri legumi comuni, ricordando che il VB è la percentuale dell’azoto proteico introdotto che l’organismo riesce effettivamente a usare per costruire i suoi principi azotati.

Oggi in cucina i ceci sono presenti in tante ricette: zuppe variamente arricchite (leggendaria quella che apri il pranzo di riconciliazione tra l’imperatore Enrico IV e il Papa Gregorio VII, organizzato dalla famosa Matilde di Canossa), insieme alla pasta, magari con aggiunta di erbe aromatiche come il rosmarino per la ricetta alla romana. Ma è frequente anche l’uso della farina di ceci, come nella famosa farinata cotta al forno (sia essa ligure, toscana o sassarese), o nelle versioni fritte come le panelle siciliane e la panissa ligure (ne esiste anche una versione simile in Spagna, chiamata paniza). Da ricordare anche i falafel (polpette di ceci) e l’hummus (crema di ceci), di tradizione orientale ma tanto amati e facilmente reperibili nella ristorazione ormai nel mondo intero. Con i ceci potrete realizzare anche dei burger vegetariani o vegani da servire come secondo piatto, oppure servirli freddi e ben scolati come semplice piccolo contorno, variamente conditi e aromatizzati. Come aspetto pratico, è noto che prima della cottura i ceci debbano prima essere tenuti per almeno 8-12 ore in ammollo in acqua, rinnovandola spesso per allontanare le sostanze non favorevoli alla digestione (rilasciate dai ceci ma anche da altri legumi). La cottura su fiamma bassa dura 2-3 ore, avendo l’accortezza, come ci insegna Fabio Campoli, di aggiungere il sale solo a fine cottura.

Nel sud Italia i ceci vengono anche arrostiti e sgranocchiati come street food o aperitivo, in abbinamento a birra o buon vino. Abbinare un vino a una preparazione di ceci non sarà difficile perché, certamente, la pietanza sarà caratterizzata da tendenza dolce (data dal cece e da altri vegetali aggiunti eventualmente), untuosità (da olio d’oliva aggiunto), sapidità (da sale) e aromaticità (da erbe aromatiche come rosmarino o da spezie tipo pepe). Andrà bene un vino fresco, profumato, giovane, secco, bianco o rosato, volendo vivace ma non frizzante, con 11-12 gradi alcolici, servito a 10-12°C.

Fonti consultate

  • Grimaldi-Lorenzetti-Bonciarelli, Coltivazioni erbacee, Edagricole
  • G. Tassinari, Il manuale dell’agronomo, Ed. R.E.D.A.
  • AA.VV., Merceologia degli alimenti, Ed. AIS
  • AA.VV., Tecnica dell’abbinamento vino cibo, Ed. AIS
  • Siti web vari

Scritto da Luciano Albano

Laureatosi nel 1978 con lode in Scienze Agrarie, presso l'Università di Bari, si è specializzato nel 1980 in "Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli" presso il C.I.H.E.A.M. (Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici del Mediterraneo) di Valenzano (Bari), ha conseguito nello stesso anno anche l'abilitazione alla professione di Agronomo. Fino al 1/3/2018 ha lavorato alla Regione Puglia nell'Ufficio Territoriale di Taranto, quale Responsabile della P.O. "Strutture Agricole". Appassionato di olio e vino ha conseguito il Diploma di Sommelier AIS nel 2005 e ottenuto nel 2008 l'Attestato di Partecipazione alle Sedute di Assaggio ai fini dell'iscrizione nell'Elenco Nazionale di Tecnici ed Esperti degli oli di oliva extravergini e vergini. Fino al 2018 è stato iscritto all'Albo Provinciale dei Dottori Agronomi e Forestali e come CTU presso il Tribunale di Taranto. Ama il food & beverage e ne approfondisce i vari aspetti tecnici, alimentari e storici

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