La vignarola

Un piatto tipico della primavera nelle campagne romane, che fonde insieme lattuga, carciofi, fave e piselli per un trionfo di gusto e benessere

La vignarola

Molti sono i piatti che caratterizzano la cucina romana e la sua tradizione più autentica, e tra questi c’è sicuramente la vignarola.  Non è famosa in tutto il mondo come altri piatti che hanno fatto la fortuna della cucina romana, ma è sicuramente una ricetta tra le più autentiche legate alla tradizione della campagna laziale. Sembra sia originaria delle zone di Velletri e Frascati, zone note e conosciute per una centenaria tradizione vinicola. 

La vignarola si collega all’origine del nome del “vignarolo” (o vignaiolo), che nel dialetto romanesco è l’ortolano, e questa ricetta - tipicamente primaverile – si realizzava con ciò che rimaneva di invenduto dopo una giornata di mercato, nel nome del recupero di quanto fosse avanzato dalla vendita. Un’altra tradizione invece ricollega il nome del piatto a quelle verdure che venivano piantate tra i filari della vigna (da qui il nome) per arricchire il terreno, pratica tipica dei viticoltori del velletrano, che avevano l’abitudine di piantare delle verdure tra le vigne per avere qualcosa di comodo da reperire e da mangiare a casa, una volta rientrati dalla dura giornata di lavoro.

Le protagoniste della vignarola sono le primizie primaverili accostate all’utilizzo degli ultimi carciofi: piselli, fave, lattuga, cipollotti, e volendo arricchire il gusto del piatto non è poco frequente utilizzare del buon guanciale. Un connubio di sapori che non necessita di altre presentazioni, se non dell’invito ad essere provato: la ricetta è facilissima, la trovate cliccando qui

Un altro aspetto interessante è quello che vede la vignarola quasi mai menzionata nei libri che si sono tramandati sulla cucina romana, mentre in quella che potremmo definire “tradizione orale” non c’è famiglia che non conosca questo piatto, proprio perché tramandato di generazione in generazione diventandone parte a tutti gli effetti. Un vero esempio di come la memoria sia il filo che unisce la tradizione alle nuove generazioni, cui va il compito di renderla sempre attuale. 

Esistono comunque una serie infinita di varianti rispetto al piatto originario, considerando per esempio la pancetta tesa utilizzata spesso al posto del guanciale, o la mentuccia romana impiegata per profumare il tutto. Esistono anche due versioni interregionali di questo piatto che hanno la stessa base di carciofi, fave e piselli: una è siciliana, della zona di Palermo, nota come frittedda, dove le verdure cotte insieme vengono finite in cottura con zucchero e aceto e poi fritte (dando luogo ad un sapore tipicamente agrodolce), e l’altra è toscana, conosciuta a Lucca come garmugia, che invece viene lasciata brodosa per essere mangiata come una minestra, con l’aggiunta di macinato di vitello al posto della pancetta e anche di asparagi. 

Photo by Redazione Prodigus

Dopo la laurea in Lettere Antiche segue la passione per la cucina non smettendo mai di approfondirne l'essenza sia nella pratica che nell'approfondimento degli aspetti storici. Oggi cura varie attività che cura in qualità di chef e libero professionista, supportando diverse tipologie di aziende.

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