Polpette light di pesce insaporite con riduzione di pomodoro agrodolce
Scopriamo chi ha inventato il tovagliolo da tavola e le sue evoluzioni nel tempo
Scienziato, artista, pittore, ingegnere: il genio di Leonardo Da Vinci ha rivoluzionato la storia dell’uomo, e sono sue molte invenzioni che hanno letteralmente mutato la storia del costume e della civiltà, persino della cucina. La sua genialità e l’intuito applicato ha consegnato alla storia, tra le tante cose, diversi utensili da cucina: nel Codice Atlantico si trovano i disegni di alcune di quelle che sarebbero poi divenute invenzioni: dal macinino da pepe, all’affettauova, il cavatappi e il girarrosto meccanico. Attribuita a Leonardo è inoltre l’invenzione del tovagliolo: nel suo capolavoro L’ultima cena, lo inserì accanto ai commensali come un elemento nuovo, mai visto e rappresentato prima.
Era il 1491 e Leonardo si trovava presso la Corte degli Sforza dove era stato nominato Gran Maestro di feste e banchetti. A lui non piaceva l’usanza di usare la tovaglia durante i banchetti sia per pulirsi le mani che la bocca, cosa che trovava sinonimo di inciviltà e disordine e per questo pensò di ideare una tovaglia più piccola da usare a questo scopo: una idea tanto semplice quanto geniale. Nel suo progetto, la piccola tovaglia doveva essere personale, così che ognuno potesse utilizzarla per poi ripiegarla senza rovinare l‘aspetto e l’igiene della tavola.
L’idea pare non fu subito apprezzata; Leonardo non si lasciò tuttavia intimidire e, amante dell’ordine e del pulito, nonostante i suoi contemporanei non avessero apprezzato, iniziò addirittura a disegnare schemi per illustrare come piegare i tovaglioli in forme creative (come uccelli, fiori e addirittura palazzi, come attesta il Codex Atlanticus presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano). Progettò addirittura un macchinario rotante per asciugarli dopo il lavaggio.
Prima di Leonardo il tovagliolo esisteva in una maniera del tutto diversa, si trattava diciamo di un tovagliolo commestibile, un pezzo di pane (“pane da bocca”) con cui ci si puliva la bocca durante i pasti e che veniva mangiato alla fine. Ai tempi dei Romani, che non sedevano a tavola e non usavano le posate, si utilizzava un pezzo di stoffa generalmente di lino annodato al collo per proteggere gli abiti e pulire le mani. Fino al Medioevo, i commensali, a prescindere dalle classi sociali, erano soliti pulire la bocca e le mani con la tovaglia.
Intorno al Quattrocento si diffonde l’uso di piegare il tovagliolo in tre o quattro parti per porvi sopra un piccolo pezzo di pane, a simboleggiare l’inizio di ogni pasto (una pratica antica da cui nasce il termine coperto che tutti oggi conosciamo). Ma è solo dal Seicento che il tovagliolo inizia a comparire in modo abituale sulle tavole, prima alla corte dei ricchi, poi in tutta Europa e man mano ad uso di ogni classe sociale. Da allora i tovaglioli ne hanno fatta di strada: di tessuto, dai più pregiati e costosi, ricamati a mano, dipinti, inamidati e intagliati con le tecniche della tradizione manufatturiera a quelli più moderni, semplici da lavare e stirare, colorati, fino a quelli monouso, pratici e veloci.
Con il tempo il tovagliolo ha conquistato il suo irrinunciabile posto a tavola, divenendo elemento fondamentale della mise en place oltre che oggetto delle regole del più ferreo galateo. Le buone maniere impongono infatti di utilizzare il tovagliolo nella parte interna, ripiegata, in modo da evitare di mettere in mostra la parte sporca, lasciando così a vista sempre quella pulita; posizionato generalmente alla sinistra del piatto, non esiste tuttavia una regola universale per il posizionamento del tovagliolo, se non quella del rispetto della simmetria e dell’estetica dell’apparecchiatura.
Proibito invece usarlo per pulire posate o bicchieri, né per asciugare dell’acqua o peggio del vino versato accidentalmente sulla tovaglia. Da evitare, perché ormai fuori moda e per motivi igienici, le piegature troppo elaborate, la semplicità è infatti sinonimo di eleganza e preserva da una eccessiva manipolazione del tovagliolo. Nel lontano 1629 l’arte della piegatura artistica dei tovaglioli veniva insegnata all’Università di Padova, dove venne pubblicato un trattato delle piegature a cura del tedesco Mattia Giegher, per poi tornare in voga solo nel XX secolo con la realizzazione di cigni, ventagli, code di rondine, ninfee; oggi possiamo affermare che a tanto estro, un po' démodé, si preferisce la più sobria e semplice piegatura a libro.
Che sia di lino, di cotone o in fibre miste, di tessuto-non-tessuto o di carta, l’importante è che il tovagliolo si presenti piacevole al tatto, e se è ecosostenibile sarà ancora meglio! Generalmente quadrato, di dimensioni medie di 40/50 cm per lato (in passato erano anche più grandi, fino ai 70 cm), colorati, a contrasto, con stampi o ricami, addirittura nella versione da dessert o da cocktail, il tovagliolo esprime tutta la personalità del padrone di casa o del ristoratore che dà le sue linee guida.
Così, dopo un inizio un po' tormentato in cui Leonardo si dispiaceva per la sua invenzione ancora troppo incompresa, oggi il tovagliolo è imprescindibile a tavola… o almeno su quelle occidentali. Nelle culture asiatiche - tranne che in ristoranti di alto livello o di influenza occidentale - l'usanza del tovagliolo è ad esempio molto poco diffusa. L’etichetta giapponese, ad esempio, non tiene conto del tovagliolo e i commensali usano carte o fazzoletti propri; in Cina è abitudine trovare tovaglioli di carta sul tavolo per servirsene solo se si necessita, mentre in India e Malesia è diffuso l’uso di fontane o lavabi per lavarsi le mani prima e dopo aver mangiato.
Quindi, anche se Leonardo Da Vinci merita il nostro grazie per l’invenzione dell’immancabile tovagliolo, non dimentichiamo mai che "paese che si va, cultura che si trova", per godersi tutto il bello di accettarla e scoprirla.
Scritto da Viviana Di Salvo
Laureata in lettere con indirizzo storico geografico, affina la sua passione per il territorio e la cultura attraverso l’esperienza come autrice televisiva (Rai e TV2000). Successivamente “prestata” anche al settore della tutela e promozione della salute (collabora con il Ministero della Salute dal 2013), coltiva la passione per la cultura gastronomica, le tradizioni e il buon cibo con un occhio sempre attento al territorio e alle sue specificità antropologiche e ambientali.

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