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I disturbi del comportamento alimentare sono sempre più diffusi. Ma cosa fare per combatterli, e soprattutto per prevenirli?
I disturbi alimentari riguardano sempre più persone, e colpiscono sempre più precocemente le bambine. Ci si ammala di anoressia e bulimia già intorno ai dieci anni, tanto che medici, psicologi e istituzioni provano a correre ai ripari. Intensificando le campagne di informazione, anche presso le scuole, e creando strutture sanitarie dedicate.
Non si tratta di patologie ereditarie, piuttosto di disturbi che possono insorgere più facilmente in adolescenti che hanno un genitore, più frequentemente la mamma, che in passato ha dovuto affrontare lo stesso problema. Il rapporto con la mamma e con entrambi i genitori gioca un ruolo fondamentale in fase adolescenziale. Se le relazioni parentali presentano delle incrinature, che si generano normalmente sin nei primi anni di vita del bambino, poi adolescente, quindi adulto, queste crepe espongono i ragazzi ad una maggiore fragilità.
“Debolezza” che spesso sfocia in un disturbo del comportamento alimentare. Non si parla di malattia vera e propria, lo sono più le conseguenze di un errato rapporto con il cibo; ma l’esito di questa condizione può essere, in molti casi, drammatico. Il rapporto con la mamma non è l’unico elemento in gioco: il corpo delle bambine comincia a mutare con il menarca, il cui arrivo è sceso dai 15 ai 9 anni. L’ambiente esterno e i social possono influenzare negativamente la percezione che le bambine hanno di se stesse, in particolare del proprio aspetto. E’ qui che il confronto con i genitori dovrebbe intervenire, come una sorta di salvagente.
Cosa possono fare mamme e papà per prevenire comportamenti scorretti dei propri figli, che possono portare ad anoressia e bulimia? Ascoltarli costantemente è un primo suggerimento da seguire, osservarli con discrezione, senza invadere spazi e relazioni amicali, far sentire la propria presenza senza essere iperprotettivi. Parlare con i figli è fondamentale, una buona comunicazione è la strada per conoscersi meglio, imparare gli uni dagli altri.
Condividere i pasti è un’altra buona abitudine da rispettare, se si può: le statistiche dicono che nelle famiglie degli obesi i pasti non sono momenti di vita condivisa. Se ci si accorge che un figlio non mangia, forzarlo non serve, piuttosto si deve cercare di capire quale sia il motivo del cambio di atteggiamento nei confronti del cibo, possibilmente anche chiedendo aiuto ad esperti e professionisti. Ci sono molte strutture alle quali rivolgersi, anche nell’ambito delle Asl.
La prevenzione, nel caso dei disturbi alimentari, rimane la via da privilegiare.
Fonte: Donna Moderna
Scritto da Redazione ProDiGus
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