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Quando la chimica influisce su peso corporeo e benessere fisico della persona attraverso "sostanze invisibili" nemiche di salute e ambiente
Dal punto di vista medico-scientifico, l’obesità è una malattia che si caratterizza per l’accumulo patologico di grasso corporeo in relazione alla massa magra (in termini sia di quantità assoluta sia di distribuzione in punti precisi del corpo) con conseguenze importanti per lo stato di salute e la qualità della vita.
L'obesità appresenta ad oggi uno dei principali problemi di salute pubblica a livello mondiale ed incide in maniera decisiva sulla durata della vita in quanto comporta l’insorgenza di patologie croniche e degenerative (dall’ipertensione al diabete, dalle malattie ischemiche alle patologie cardiovascolari, ad alcune tipologie di cancro, ecc.). Nell’ultimo rapporto sull’obesità pubblicato dall’OMS nel 2022, si evidenziano purtroppo dati epidemiologici allarmanti che hanno raggiunto proporzioni epidemiche in tutto il mondo.
Dal documento infatti emerge che il numero di persone obese nel mondo è progressivamente raddoppiato a partire dal 1980. In Africa, ad esempio, il numero di bambini in sovrappeso o obesità è quasi raddoppiato dai 5,4 milioni del 1990 ai 10,6 milioni nel 2014; nello stesso anno, quasi la metà dei bambini in sovrappeso sotto i 5 anni di età viveva in Asia. Ad oggi, in Europa, il 59% degli adulti e quasi un bambino su tre è affetto da sovrappeso o obesità.
Da questi dati si deduce chiaramente che obesità e sovrappeso, prima considerati problemi dei soli Paesi ricchi, occidentali e industrializzati, ora sono in aumento anche nei Paesi a basso e medio reddito, specialmente negli insediamenti urbani, e costituiscono su ampia scala, un vero problema di salute pubblica sia dal punto di vista strettamente medico che economico e sociale. In questa direzione, ci si è chiesto cosa ci sia all’origine di un aumento di peso generalizzato (che colpisce individui ed animali) e che non sempre è possibile combattere e contrastare con la sola dieta alimentare e l’incremento dell’attività fisica.
Fatto salvo che l’obesità è causata in primis da una errata e squilibrata dieta alimentare nella quale l’apporto, sia in termini di calorie che di nutrienti, è eccessivo e superiore al fabbisogno individuale e da uno scarso esercizio fisico, recenti studi hanno tuttavia dimostrato che tra le cause è possibile annoverare un nuovo elemento: l’uso e il consumo di sostanze chimiche capaci di influire sul funzionamento dell’organismo umano e di determinare un aumento ponderale.
La comunità scientifica impegnata in questi studi ha evidenziato infatti che l’umanità vive ormai in un ambiente obesogeno (termine coniato per la prima volta nel 2006) cioè circondato da sostanze, ampiamente diffuse e pervasive dell’ambiente che interferiscono con il metabolismo favorendo l’accumulo di grasso e l’aumento del peso. Tra queste sostanze, almeno una cinquantina, troviamo gli ftalati, il bisfenolo A (BPA composto organico di sintesi), gli PFAS (polifluoroalchiliche, sostanze chimiche di sintesi prodotte unicamente dall’attività umana), il dietilstilbestrolo, il DEHP (uno ftalato usatissimo per conferire elasticità al PVC), la maggior parte dei ritardanti di fiamma organofosfati. Decine sono ormai gli studi condotti in questa direzione, al momento solo su modelli animali, che mettono in evidenza come l’esposizione a queste sostanze chimiche determini l’aumento di peso e di massa grassa.
Uno studio, per esempio, ha messo in evidenza che il 90% degli americani presenta nel sangue pfas e ftalati in quantità elevate; questo secondo le proiezioni degli studiosi produrrebbe una altissima probabilità di ingrassare in modo considerevole nei dieci anni successivi al prelievo evidenziato. Da queste evidenze si ricava che i meccanismi attraverso i quali gli obesogeni stimolano l’accumulo di grasso favorendo l’obesità sono di vario tipo.
Primo è sicuramente il meccanismo cellulare in base al quale le sostanze chimiche incriminate (soprattutto ftalati, bisfenolo A, plastificanti, ritardanti di fiamma, PFAS) si legano e stimolano il recettore chiamato PPAR-y rendono le cellule adipose perennemente attivate nella modalità di accumulo e mai su quella di smaltimento energetico; poiché ogni adipocita presenta molti di questi recettori, il processo si moltiplica inducendo uno stimolo tale ad immagazzinare che nel breve tempo crea un importante squilibrio tra l’immagazzinamento stesso e l’utilizzo di energia e dunque di grasso con conseguente aumento del peso.
Non meno determinanti, nell’aumento del peso, risultano le alterazioni che queste sostanze chimiche esercitano sul microbiota intestinale, sull’appetito, sul metabolismo basale (la quantità di energia consumata dal corpo in condizione di riposo), sulla funzione tiroidea, sui recettori dei glucocorticoidi e sugli ormoni sessuali. Nell’ambito delle sostanze chimiche obesogene non rientrano solo gli inquinanti di cui si è appena detto, purtroppo hanno un ruolo importante anche diverse sostanze abitualmente utilizzate nelle lavorazioni e trasformazioni industriali degli alimenti.
Fra queste meritano un cenno, perché particolarmente diffuse, il fruttosio (che rallenta il consumo di energia nei mitocondri, gli organi deputati alla respirazione cellulare), i dolcificanti compresi quelli cosiddetti “a calorie zero” come l’aspartame, la saccarina, il sucralosio (che interferiscono con l’insulina), il glutammato monosodico (esaltatore di sapidità), emulsionanti come il diottilsulfosuccinato di sodio, additivi come i parabeni e la carbossimetilcellulosa. Molte di queste sostanze vantano una lunga storia di consumo ma evidentemente, alla luce delle nuove evidenze scientifiche, sarebbe opportuno riconsiderarne l’uso e rivederne le quantità massime consentite, come è stato fatto per esempio dall’EFSA per il bisfenolo A (diminuito di 100mila volte nel dosaggio massimo consentito).
A tutt’oggi si registra purtroppo un ritardo negli interventi proposti e messi in atto, non a caso in occasione della giornata mondiale sull’obesità 2022, lo slogan messo in campo recitava “everybody needs to act”, questo per dimostrare che l’obiettivo primo per contrastare l’obesità a livello planetario è puntare l’attenzione sull’opportunità imprescindibile di agire in modo congiunto ai vari livelli (medico, scientifico, industriale, ecc) coordinando le diverse forze sociali, politiche ed economiche, per mettere in sicurezza gli 800 milioni di individui già affetti da questa condizione patologica e altri milioni a rischio di svilupparla. La tutela e la salvaguardia della salute umana appare evidentemente collegata con la sostenibilità ambientale a tutto tondo.
Dal momento dunque che le sostanze chimiche obesogene si trovano ovunque, nell’aria, nell’acqua, negli alimenti processati, nei packaging, nei prodotti per la cura della casa e della persona, negli arredi, nelle plastiche, nei pesticidi e nei concimi, l’azione prima che il singolo può compiere è quella di limitarne per quanto possibile l’uso e il consumo. Nello specifico, in cucina, prediligere la conservazione in vetro, limitare il consumo di alimenti conservati in scatola, acquistare e consumare alimenti sani e freschi, leggere attentamente le etichette, non utilizzare contenitori in plastica nel micronde, preferire pentole e tegami in ghisa e acciaio inossidabile. In questo modo sarà più facile controllare il modo con cui l’organismo elabora un pasto e lo trasforma in grasso!
Photo made in AI
Scritto da Viviana Di Salvo
Laureata in lettere con indirizzo storico geografico, affina la sua passione per il territorio e la cultura attraverso l’esperienza come autrice televisiva (Rai e TV2000). Successivamente “prestata” anche al settore della tutela e promozione della salute (collabora con il Ministero della Salute dal 2013), coltiva la passione per la cultura gastronomica, le tradizioni e il buon cibo con un occhio sempre attento al territorio e alle sue specificità antropologiche e ambientali.

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