Sempre più diffuse sul mercato diverse versioni di prodotti caseari “arricchiti” e “di origine vegetale”
“E che cosa amerò se non l’enigma delle cose?” (Friedrich Nietzsche)
Édouard Manet, Colazione nell’atelier, 1868
“Nella Colazione nell'atelier, ad esempio, vedo che il caffè è servito
insieme a un limone mezzo sbucciato e a un piatto di ostriche fresche,
nonostante questi alimenti non vadano insieme nella realtà.
Ma allora, perché sono stati collocati lì?”
(Jules-Antoine Castagnary, 1869)
Non inganni l’apparente ingenuità della domanda posta dal critico Castagnary all’indomani dell’esposizione al Salon di Parigi del dipinto Colazione nell’atelier di Édouard Manet, oggi conservato alla Neue Pinakothek di Monaco di Baviera. L’influente critico d’arte, infatti, nelle righe successive alla domanda, offre una risposta che rivela tutto il sarcasmo e il veleno con il quale la critica tradizionalista accoglieva opere tanto moderne e, indubbiamente, singolari: “Il motivo lo vedo fin troppo bene. Manet [...] eccelle nel dipingere oggetti inanimati, donde la sua superbia quando si tratta di eseguire nature morte, e perciò cerca di inserirli ovunque ne ha la possibilità [...].”. Non va meglio quando descrive le figure, la cui distribuzione nella tela definisce “altrettanto azzardata e disordinata”.
Realizzato nel 1868, un anno prima della stessa esposizione al Salon, Colazione nell’atelier presenta in modo più marcato quelle novità tecnico-stilistiche che già avevano caratterizzato tele come Colazione sull’erba e Olympia, esposte al Salon des Refusés [Salon dei Rifiutati] di Parigi nel 1863 (dato il rifiuto, appunto, del Salon ufficiale) e con le quali Manet aveva ottenuto la prima rumorosa indignazione della critica accademica.
La figura del giovane in primo piano, grazie anche alla mirabile trattazione pittorica della giacca di velluto nero che tanto impressionò Henri Matisse, si distacca in modo netto dal piano di fondo e dalle altre due figure. Un po’ come i tre personaggi in primo piano di Colazione sull’erba, il ragazzo appare quasi come un ritaglio fotografico giustapposto al contesto che è trattato in maniera meno nitida. Le pennellate sono poderose e i volumi sono costruiti con magistrali contrapposizioni di luci e di ombre ottenute con ampie macchie di colore.
I ripensamenti rivelati dalle radiografie del dipinto mostrano i passaggi di un’esecuzione molto elaborata tanto che, anche se nel titolo dell’opera ne permane la memoria, nella versione definitiva scompaiono gli elementi tipici dell’atelier, che pure doveva intravedersi oltre la vetrata sul fondo. Come per la maggior parte dei suoi dipinti, qui più che altrove, Manet attinge al repertorio iconografico fiammingo che suggestiona le scelte compositive dell’interno con le immancabili e splendide nature morte: dalla tavola con le pietanze della colazione sulla destra e il poderoso limone sbucciato in primo piano, alle armature sulla sinistra davanti alle quali sta un gatto nero accovacciato sulla sedia che, come quello dipinto nell’Olympia omaggia, forse ancora una volta, Le chat del poeta Charles Baudelaire.
Dopo il bel precedente de La colazione di François Boucher (1739), è Manet a rilanciare l’interesse per il soggetto a partire dalla più celebre Colazione sull’erba del 1863. Da quel momento, quello della Colazione diviene un tema capace di catalizzare l’interesse degli impressionisti al punto da stimolare la produzione di una quantità tanto ricca quanto variegata di interpretazioni sul tema. Nell’impressione di un fermo-immagine, questi artisti sono stati capaci di fotografare l’intimità di un attimo e renderlo universale. Solo per citarne alcune, ricordiamo Colazione dei canottieri (1880-1882) e Colazione in riva al fiume (1875) di Pierre-Auguste Renoir, Colazione sull’erba (1866), Colazione in giardino (1873) e Colazione sotto la tenda (1883-1886) e di Claude Monet, Colazione sull’erba di Paul Cézanne (1876-1877), Colazione in giardino di Giuseppe De Nittis (1883-1884). Un’opera, quella di Manet, che costituisce la chiave di volta anche per omaggi e reinterpretazioni più moderne, che vanno da Colazione sull’erba di Pablo Picasso (1961), a Luncheon on the grass di Alain Jacquet (1964), all’aggiornamento del soggetto con la performance di Albinel, Cazal e Snyers (1975) o di Daniel Spoerri (1983), alla scultura-installazione Déjeuner déjà vu (Colazione già vista) di John Seward Johnson (1994) e fino ai più recenti omaggi di Vinogradov e Dubossarsky (2002) e Mickalene Thomas (2009).
Il grande successo che questo soggetto conobbe si deve in gran parte anche al suo prestarsi in modo particolarmente efficace a quelle rappresentazioni della realtà “semplici e sincere”, per dirla come Emile Zola, che tanto si andavano a ricercare nella seconda metà del XIX secolo in Francia. Colpisce il contrasto tra il significato del termine colazione e la scena che vediamo. Sebbene nel francese moderno il termine che traduce l’italiano “colazione” sia “déjeûner” (letteralmente rompere il digiuno), collatión è la parola con la quale nel francese antico (a sua volta derivato dal latino) si intendeva il conversare durante il pasto (collàtus azionem, da collàtus, participio passato di cònfero, cioè "contribuire","conferire", nel senso che ciascun commensale “conferiva, metteva la sua parte” durante il pasto).
Nella scena dipinta da Manet non accade nulla di tutto questo ed anzi il senso di estraneità e di lontananza dei personaggi gli uni dagli altri e di ciascuno nei riguardi dell’ambiente è sottolineato, tra l’altro, dai due uomini che indossano il cappello pur stando (almeno uno dei due) a tavola, e dalla donna che tiene il manico della caffettiera con l’avambraccio sinistro rovesciato, in una postura piuttosto inadatta per versare una bevanda. Insomma: l’atmosfera evocata è tutt’altro che quella di una piacevole colazione in cui ciascuno conferisce agli altri qualcosa…
Scritto da Maria Cristina Fortunati
Laureata in Lettere moderne, con indirizzo Storico Artistico, alla Sapienza di Roma, sua città natale, in Scienze Psicologiche Applicate e in Psicologia dello sviluppo tipico e atipico, insegna Storia dell’Arte negli istituti di istruzione secondaria superiore.
Collabora da oltre un decennio con il Dipartimento di Studi Letterari, Filosofici e di Storia dell'Arte dell’Università degli Studi Roma Due di Tor Vergata nell’ambito della formazione degli insegnanti e da alcuni anni come docente a contratto presso la cattedra di Storia dell’Arte Contemporanea dello stesso Ateneo per l’insegnamento di Metodologie e Tecnologie didattiche della Storia dell’Arte. Interessata da sempre all’indagine iconografica e allo studio dei simboli nelle diverse culture, nonché allo studio della relazione tra arte e pubblicità, ha all’attivo diverse pubblicazioni scientifiche.
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