Arriviamoci in piena forma con un po’ di attenzioni in più al nostro stile di vita
Niente è ciò che sembra, come nella “Natura morta con aringa” di Peter Claesz (prima parte)
Quante volte siamo rimasti affascinati dallo spettacolare realismo di una natura morta fiamminga al punto da provare l’impulso ad afferrare il pane o la frutta o gli oggetti lì raffigurati.
E quante volte davanti ad un dipinto riproducente una tavola imbandita, sia composto in un trionfo di ogni buon cibo sia raffigurante un solo ortaggio o frutto, rapiti entro un’atmosfera capace di evocare in noi il sentimento di una intimità lontana e la nostra stessa presenza davanti ad una tale magia, ci siamo accorti che la contaminazione dei sensi è stata tale da farci percepire il profumo o il sapore di quel cibo. Potere del mezzo pittorico che riesce a dar corpo a una realtà nascosta alla vista.
Che la pittura fosse capace di evocare fenomeni sinestetici (dal greco syn=unione ed aisthesis=sensazione, quindi percepire insieme) è tema dibattuto sin dal Rinascimento, benché la sua genesi sia molto molto più antica, all’interno della disputa sul Paragone delle Arti. Artisti, umanisti, poeti, letterati, dibattevano a quale arte, tra pittura e scultura, andasse assegnato il primato in termini estetici e di abilità nel rendere «con più verità e certezza le opere di natura», come Leonardo Da Vinci sosteneva facesse la pittura alla quale spettava, appunto, tale primato (Leonardo Da Vinci, Trattato della pittura, Parte prima, 3. Quale scienza è più utile, ed in che consiste la sua utilità, XV sec.).
Natura morta con aringa (quadro di apertura dell’articolo, ndr) è un’opera realizzata da Pieter Claesz nel 1636, come leggiamo sullo sfondo del quadro accanto alle iniziali del proprio nome che l’artista vi ha apposto. Il dipinto, pur rientrando nel genere delle nature morte, appartiene alla più specifica tradizione delle "Ontbijtjes" (piccole colazioni)inaugurata ad Haarlem, in Olanda, nella prima metà del XVII secolo dallo stesso Pieter Claesz e da Claesz Willem, detto Heda (Haarlem, 1593~1594 – 1680~1682). Pittore poco conosciuto ma creatore di opere di disarmante bellezza, Peter Claesz è annoverato tra i pittori olandesi barocchi proprio in virtù del suo essersi stabilito in Olanda, ad Haarlem, nel 1617, dove morì il 1° gennaio 1661. Il dipinto celebra un abbinamento d’eccellenza della tradizione culinaria olandese, birra e aringhe, ma non solo.Di un verismo e di un lirismo straordinari, l’opera ci immerge in un’atmosfera sacrale, evocante una dimensione di spiritualità inaspettata.
Un’evocazione per noi oggi riconoscibile solo a patto di risvegliare la connessione con un linguaggio che dell’arte figurativa aveva reso il mezzo privilegiato per trasmettere informazioni adatte allo spirito, e appena appena celate sotto la sembianza sensibile della mera rappresentazione naturalistica. E quale soggetto migliore del cibo per rappresentare la meraviglia della fabbrica umana, alla quale è offerto di poter trasmutare i nutrimenti organici in nutrimenti spirituali? Basta dunque guardare un dipinto come questo con la consapevolezza della secolare tradizione di significati che anche il genere della Natura morta,al pari degli altri, si è prestato a disseminare entro il percorso di un’umanità non sempre capace di coglierli, per accorgersi del valore del suo contributo.
A questo proposito, accanto all’ampiezza della letteratura relativa agli studi sui significati simbolici allusi in questo genere di dipinti, vale la pena di ricordare che l'espressioneNatura mortatraduce impropriamente l’espressione olandese still-leven che letteralmente significa natura in quiete, immobile, silenziosa. L’espressione Natura morta fa la sua comparsa in Francia nella metà del XVIII secolo. Gli oggetti sono messi in posa entro un rigoroso gioco geometrico di luci ed ombre.
Su un tavolo che segna un orizzonte relativamente basso, coperto per tre quarti da una tovaglia bianca, pulita, appena spiegata, è collocato a sinistra un massiccio boccale a colonna, in vetro, sfaccettato e decorato con gocce a forma di mora, colmo di birra fino a poco sotto la svasatura del bordo.
L’epoca del dipinto e il colore della birra, vanto della secolare produzione nelle Fiandre, inducono a riconoscere l’ambrata Koyt. Particolare e tipica birra prodotta in Olanda sin dalla fine del XVI secolo, nonostante l’alto impiego dell’avena nel materiale fermentabile (fino al 50%), la Koyt fu tra le prime birre a prevedere l’utilizzo dell’orzo diventando uno dei prodotti più tipici proprio nella città di Haarlem. In primo piano, un piatto di metallo con un’aringa aperta a metà e tagliata in sette parti, posto quasi in bilico sul bordo del tavolo. Accanto, sulla destra, un unico guscio vuoto di nocciola e, più indietro, del pane. Chiude il cerchio una ciotola di bacche o, più credibilmente, di grani di pepe nero. Un coltellodal manico finemente lavorato è messo tra il boccale di birra e il piatto.
Il bicchiere cilindrico, alto e robusto, dall’imboccatura larga, potrebbe essere riconosciuto come una versione antica del tumbler a sua volta derivata dall’evoluzione del tardo medievale footed-beaker. Si tratta di un tipico bicchiere di medio spessore, dal fondo piatto e privo di stelo o piede separato. È caratterizzato da una struttura a colonna, si allarga verso il bordo, generalmente a sezione circolare, talvolta mosso da scanalature esterne. Riveste particolare interesse il fatto che il bicchiere svasato poggiante direttamente sul piano del tavolo, quale risultato di una linea evolutiva risalente ad alcuni secoli prima, sia documentato per la prima volta nei dipinti fiamminghi del ‘600. La caratteristica forma a colonna permette di esaltare il colore ambrato e i profumi della birra, con un effetto neutro sulla schiuma, mentre lo spessore del vetro ne favorisce la conservazione della freschezza.
...fine prima parte
Scritto da Maria Cristina Fortunati
Laureata in Lettere moderne, con indirizzo Storico Artistico, alla Sapienza di Roma, sua città natale, in Scienze Psicologiche Applicate e in Psicologia dello sviluppo tipico e atipico, insegna Storia dell’Arte negli istituti di istruzione secondaria superiore.
Collabora da oltre un decennio con il Dipartimento di Studi Letterari, Filosofici e di Storia dell'Arte dell’Università degli Studi Roma Due di Tor Vergata nell’ambito della formazione degli insegnanti e da alcuni anni come docente a contratto presso la cattedra di Storia dell’Arte Contemporanea dello stesso Ateneo per l’insegnamento di Metodologie e Tecnologie didattiche della Storia dell’Arte. Interessata da sempre all’indagine iconografica e allo studio dei simboli nelle diverse culture, nonché allo studio della relazione tra arte e pubblicità, ha all’attivo diverse pubblicazioni scientifiche.
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